venerdì 24 luglio 2015

Private del diritto al rispetto di simona Sforza

 Con questa ennesima sentenza colma di moralismo, a mio avviso è come se dicessero a tutte noi che non solo è inutile denunciare, che lo stupro alla fine è una cosa da poco, ma anche che dobbiamo stare al nostro posto, non dobbiamo alzare la testa, chiedendo pari diritti. L’obiettivo è ricacciarci in un luogo storico in cui eravamo senza diritti e senza voce. È come se ci stessero consigliando: “Se state al vostro posto nulla di così terribile vi potrà capitare”. Stare al nostro posto, seguire una infinità di regole e di consigli di “sano comportamento donnesco”, essere in linea con un modello che è stato creato per noi e tramandato al maschio nei secoli per far di noi quello che meglio crede, per soddisfare il suo desiderio di dominio, da esprimere anche attraverso un atto di violenza. Siamo donne e come tali vogliono farci credere che dobbiamo avere un margine ridotto di scelte, di movimento, di azione e di modi di essere e dividere. Come se ancora, sulla base di una Natura diversa, noi dovessimo auto-ridurci a qualcosa di minuscolo, adeguato a qualcosa che gli uomini si aspettano da noi.
Aggiungo un altro elemento di analisi. Questa sentenza è il risultato di una giustizia che agevola di fatto chi meglio può difendersi, chi ha gli avvocati migliori e non chi in tutto questo orrore è la vera vittima, l’unica che andrebbe difesa, ascoltata e creduta. Perché è un problema di giustizia equa, che metta difesa e accusa ad armi pari, senza che il risultato finale sia fortemente influenzato in base alle disponibilità economiche e di potere delle parti in causa. Perché è soprattutto, ancora, una questione di potere, di differenziale di potere, di vario tipo. E questo il punto più importante su cui riflettere.
Questo continuare a emettere sentenze semplicemente sulla base di uno scavare nella vita di una persona, senza ascoltare i fatti in questione. La sentenza di fatto è come se cancellasse il diritto della donna a non essere abusata e a vedersi riconosciuta dalla giustizia come parte lesa. I suoi diritti esistono solo se il suo comportamento viene ritenuto moralmente conforme. Come se i diritti umani potessero essere sospesi per una o più ragioni. Puoi violentare liberamente se una donna ha uno o più elementi “non conformi”.
Un no è un no, un abuso è tale, da sobria o meno. Se non si sancisce questo una volta per tutte, ci ritroveremo ancora di fronte a questi orrori.
Siamo un Paese che ancora marchia a fuoco le donne che pensano e scelgono con la propria testa, che parlano, che si esprimono, che si dichiarano femministe, che si battono per i diritti, che vanno a studiare fuori casa, che si cercano un lavoro e cercano di essere autonome. Perché ancora oggi, noi dobbiamo rinunciare a queste cose, altrimenti siamo strane, pericolose, pazze, fuori-norma e in quanto tali, tutti sono legittimati a fare di noi ciò che vogliono e a privarci dei nostri diritti fondamentali. Non voglio credere che questo stato di cose sia immutabile, perciò da qualche parte credo che esista un modo per cambiare questo contesto e questa mentalità che poi porta a creare l’humus ideale per questo tipo di sentenze.
Abbiamo ancora un forte ritardo culturale se ancora oggi sentiamo dire che se una ragazza, una donna è indipendente, cerca di esserlo, compie le sue scelte autonomamente, vive cercando di essere felice, libera, senza catene, fuori dalle gabbie è da considerare non normale. Ce ne fossero tante di donne così! Se pensiamo che una ragazza possa fare in potenza meno cose di un ragazzo, se nemmeno la nostra famiglia ci rispetta se chiediamo di essere considerate allo stesso modo, dobbiamo rimboccarci le maniche per invertire la nostra storia. Oggi, dopo tanti anni, rispondo a una battuta di mio cugino che quando mi trasferii a Milano nel 2003, mi disse: “Ah ti stai divertendo.. bella vita”. In pratica, essendo donna sarei dovuta rimanere nella mia città natale, perché l’unica prospettiva idonea a una donna era quella di sposarsi. Il fatto che avessi trovato lavoro a Milano era un dettaglio, ai suoi occhi ero andata a Milano per fare la bella vita, per divertirmi e per essere finalmente marchiata “secondo il libro sacro della tradizione maschile” come una “con i grilli per la testa” in tutti i sensi. Nessun pensiero lo ha mai sfiorato (a lui come a tanti altri) che io stessi facendo enormi sacrifici per darmi un futuro, una prospettiva di vita e di lavoro. Ero la pecora nera della famiglia, lo sono, oggi forse più di ieri, con lo stesso orgoglio di avere una nuvola da “irriducibile” che mi segue. Vi ho raccontato questo aneddoto, per farvi capire come il pregiudizio culturale sia più forte di anni di conoscenza. Il pregiudizio dovuto a un tipo di cultura e di mentalità direi di tipo patriarcale, è come se azzerasse la percezione reale della persona e portasse a giudicarla e a etichettarla secondo parametri immaginari, gli stessi che portano a giustificare dei modelli di comportamento differenziati per genere e che portano a partorire sentenze come quella che ha scagionato quei sei “bravi ragazzi”.
Così si rovina per sempre la vita di una ragazza, di una donna, convincendola che comportandosi bene, assecondando un certo modello di vita e di comportamento, avrà una vita esente da “guai”. Niente della vita di una donna deve poter diventare un alibi, un via libera al fatto che i suoi diritti umani fondamentali possano essere violati. Lo ripeto, non è tollerabile che si emettano sentenze sulla base di giudizi morali e richiamando dettagli della vita della vittima. Aver convissuto, aver avuto qualche rapporto occasionale vuol dire automaticamente “autorizzare” tutti gli uomini a violentarti? Ciascuna donna dovrà sentirsi in pericolo di stupro semplicemente perché non ha il pedigree di una vita immacolata, lineare? Chi ha stabilito poi cosa sia una vita lineare? Nulla può giustificare mai uno stupro. NULLA MAI! Che facciamo, autorizziamo tutti gli uomini violenti a commettere stupri e violenze se qualche dettaglio del mosaico della vita di una donna non è al suo posto?
Se essere “bisessuale dichiarata, femminista e attivista lgbt” deve essere considerato dalla giustizia italiana un lasciapassare, che esenta gli uomini da un rispetto dei diritti di un altro individuo, io non ci sto. E nessuna di noi ci deve stare. Non voglio sentire più da nessuno, né tantomeno da una donna, che in qualche modo “se l’è cercata”. Perché questa, come altre sentenze similari, colpisce tutte noi: un giorno potremmo trovarci al posto della “ragazza dello stupro della Fortezza”, e non essere credute, non avere giustizia vera.

Nessuna giustificazione alla violenza deve avere cittadinanza. Facciamo sentire la nostra voce, URLIAMO IL NOSTRO NO! Mi unisco all’idea di Lea Fiorentini Pietrogrande, facciamo una manifestazione tutte insieme, per abbracciare e sostenere questa ragazza e tutte le donne vittime di violenza!

La sera del 28 luglio le compagne Unite in rete – Firenze stanno organizzando una manifestazione per ribadire che vogliamo vivere le strade liberamente, nonostante qualcuno voglia farci stare a casa e in silenzio.

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