lunedì 2 novembre 2015

Benedetta Selene Zorzi, la teologa che promuove il gender di Giovanni Panettiere

SU UN PUNTO al Sinodo sulla famiglia i vescovi liberal e conservatori hanno convenuto senza particolari fibrillazioni: la condanna della teoria gender. Una vera e propria «ideologia» che - recita il paragrafo 8 della relazione finale, votato da 245 padri sinodali, con appena 9 contrari - «nega la differenza e la reciprocità naturale di uomo e donna. Essa prospetta una società senza differenze di sesso e svuota la base antropologica della famiglia». Peggio ancora, il gender è responsabile di «progetti educativi e orientamenti legislativi che promuovono un’identità personale e un’intimità affettiva radicalmente svincolate dalla diversità biologica fra maschio e femmina. L’identità umana viene consegnata ad un’opzione individualistica, anche mutevole nel tempo». Ma è proprio così? Il gender è questo? O almeno, è solo questo? Ne parliamo con la teologa Benedetta Selene Zorzi, ex monaca benedettina, autrice di 'Al di là del genio femminile' (2014), un libro che approfondisce gli studi di genere in relazione alla Bibbia, alla patristica e al magistero della Chiesa. Il tutto con una chiarezza espositiva e una capacità di sintesi non comuni per un tema tutt'altro che agevole.
Partiamo dall’inizio... Teoria o ideologia gender?
«Le teorie sul genere sono molte e anche varie. Non sempre sono simili nel collegare il dato biologico a quello culturale. Il tipo di approccio a questa categoria cambia anche a seconda del modello di disciplina con la quale la si accosta, storica, sociologica, psicologica, filosofica eccetera».
Niente ideologia, quindi?
«Il termine ‘ideologia del gender’ è in uso unicamente all’interno delle gerarchie cattoliche: in questo ambito l’espressione viene combattuta in quanto tale. Il termine appare come un blocco monolitico, connotato dai contenuti più vari, risultando assai contraddittorio. Non se ne sanno indicare nemmeno gli autori».
Come se ne esce?
«Dicendo sì alle teorie sul genere che sono utilissime alla causa delle donne, all’emancipazione, sia femminile sia maschile, e alla difesa dei diritti delle minoranze. No, invece, all’ideologia del gender, perché così presentata non sembra effettivamente portata avanti da nessuno e, se così fosse, sarebbe confusa e dannosa».
Per il Sinodo gli studi di genere cancellano la differenza sessuale, maschio-femmina.
«Totalmente il contrario. Le teorie del genere intendono dare conto delle differenze, valorizzarle. Puntano a studiare come si creano e perché le discrepanze di valore, di trattamento, di potere tra uomini e donne. Vogliono dare conto del perché e secondo quali strategie mentali e politiche la differenza sessuale crei penalizzazioni di dignità e di opportunità alle persone. Studiare le differenze di genere fa penetrare lo sguardo e accorgersi che la diversità fra uomini e donne è solo la prima della tante che attraversano la cultura, le nostre società e le persone stesse. Le uguaglianze tra maschio e femmina per le quali le teorie di genere si battono è l’uguaglianza di dignità, di opportunità e di responsabilità da assumere».
Da ex monaca, come si spiega questa avversione dei vertici ecclesiali nei confronti del gender? 
«Con lo stesso motivo che mi ha portato a lasciare il monastero: le istituzioni ecclesiali sono fondate su un modello di antropologia sessuale in cui la donna è considerata subordinata e funzionale/strumentale alla completezza e realizzazione dell’uomo maschio. Su questo oramai gli studi, anche a livello teologico, sono abbondantissimi, ma spesso poco conosciuti o ignorati dai teologi e dalle gerarchie. Mi sembra che dietro la creazione di questo nemico caricaturale che chiamano ‘ideologia del gender’ vi siano almeno tre paure: quella di perdere i privilegi dell’ordinazione maschile, quella di scoperchiare la questione omosessualità e quella di accettare il nuovo protagonismo femminile nella storia».
Quanti e quali pregiudizi di genere si celano nella morale familiare cattolica? 
«Gli stessi che si nascondono in quella antropologia e teologia di cui sopra e che hanno fondato una determinata morale dove la sessualità e la donna sono dati secondari e funzionali al maschio».
La rivoluzione della tenerezza di Francesco ha bisogno degli studi di genere? 
«Tutti abbiamo bisogno della prospettiva di liberazione che gli studi di genere offrono e di illuminare le assunzioni acritiche che ci portiamo dentro e che abbiamo ereditato da secoli di androcentrismo. Anche il Papa è un uomo cresciuto in una istituzione e secondo una formazione androcentrica e non può sfuggire al suo tempo. Certamente però tutti possiamo evolvere e superare determinati schemi mentali. Mi piace pensare che la rivoluzione della tenerezza di papa Francesco sia un esito dell’evoluzione che il femminismo prima e lo smascheramento che gli studi di genere permettono ai meccanismi di potere poi hanno innestato nella visione dell’essere umano che abbiamo attualmente. Ho però l’impressione che l’allineamento tra questa rivoluzione e quella di cui hanno bisogno le istituzioni cattoliche richieda un processo lungo».



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