Perché non vengano lasciate preda degli sfruttatori e dei trafficanti, perché non vengano respinte nei loro paesi d’origine dove le attende un destino di segregazione, stupro o condanna a morte.
All’On. Angelino Alfano, Ministero dell’Interno
All’On. Giovanna Martelli, Consigliera per le pari opportunità presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
All’On. Luigi Manconi, Presidente della Commissione straordinaria per la promozione dei diritti umani
La presenza delle donne nei Centri di prima accoglienza e in quelli di identificazione è spesso sfuggente. La cronaca si occupa di loro, delle loro condizioni, solo in coincidenza di criticità.
La notizia del possibile rimpatrio di decine di giovani donne, provenienti dalla Nigeria, deve finalmente richiamare l’attenzione della politica sulla crucialità che queste donne incarnano: le violenze certe dalle quali fuggono, quelle dovute alla loro invisibilità nel fenomeno globale delle migrazioni, quelle insite nel contesto di approdo, spesso violento e ricattatorio, e quelle proprie delle reti femminicide e schiavistiche.
Secondo notizie che sembrano più che supposizioni, un numero imprecisato di donne arriva nel nostro paese, in fuga non solo da guerre e fame, ma anche per sfuggire a leggi imposte da schiavisti e bande criminali: queste donne, non di rado, con promesse false vengono “importate” come merce sessuale e come schiave.
Le nostre leggi offrono a queste donne, sottoposte a ricatti e a mire criminali delle reti dello sfruttamento sessuale, salvaguardie e possibilità, diritti dei quali le stesse titolari sono inconsapevoli.
La continua emergenza, determinata dalla naturale ricerca di nuovi orizzonti di sopravvivenza e di vita da parte di donne uomini, non aiuta a evidenziare la strumentalità dei divieti e delle barriere, forse le più invalicabili nella storia del mondo; e non aiuta ad affermare il dovuto riconoscimento delle differenze tra generi nella migrazione.
Gli stereotipi di moglie e madre, che sono i soli a giustificare tanto la comparsa in cronaca quanto l’attribuzione dei diritti, in un paese come il nostro, che si dichiara sulla soglia del riconoscimento della piena libertà delle donne, devono cedere il passo ad altre consapevolezze verso quelle donne che giungono nel nostro Paese non solo in fuga dalle armi, ma anche dalle guerre che nei loro paesi “in pace” sono state dichiarate verso il loro genere.
Il rimpatrio, per una donna fuggita da paesi come la Nigeria, può significare morte per lapidazione, per stupro, per segregazione sessuale.
Noi chiediamo di essere rassicurate sull’applicazione dell’Art. 18 del Testo Unico di pubblica sicurezza, sull’applicazione della legge 75 e delle norme italiane e internazionali che regolano la materia del rimpatrio verso paesi nei quali è prevista la pena capitale, oppure limitazioni della libertà per reati non contemplati dal diritto del paese ospitante.
Le sottoscritte: Stefania Cantatore (UDI), UDI di Napoli, Elvira Reale (Salute donna), Associazione Salute donna, Chiara Carpita (Resistenza Femminista), Imma Barbarossa, Simona Ricciardelli, Clara Pappalardo (ARCI donna Napoli), Carla Cantatore (UDI).
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