mercoledì 9 marzo 2016

Otto Marzo, non c’è nulla da festeggiare Nadia Carì (esperta di politiche di genere)

Genova - 8 marzo 1946 per la prima volta l’Italia, incinta della sua Costituzione, ricorda la Festa della donna. La Carta nascerà bellissima e agonizzerà tristemente 70 anni dopo.
8 Marzo: una ricorrenza dedicata alla rivendicazione dei diritti delle donne e alla riflessione su quanto ancora c’è da fare per ottenere quella parità di opportunità che ancora non c’è.
Con gli anni questa giornata ha perso il suo valore originario e si è trasformata in una festa priva di contenuto.
Non c’è niente da festeggiare in un Paese dove le donne guadagnano il 20% in meno degli uomini a parità di competenze e orario di lavoro, dove il tasso di occupazione femminile è ancora sotto il 50%, dove il primato del lavoro atipico è femminile. Perché festeggiare le donne, quando in Italia essere donna è difficilissimo? Leghiamo piuttosto la ricorrenza a qualche obiettivo vincolante per la classe politica. Vista l’indifferenza di quest’ultima per la condizione femminile, meglio sarebbe una coerente indifferenza. Fare finta di niente, in attesa che passino articoli e convegni.
L’8 marzo non c’è davvero nulla da festeggiare. Anche per chi lo commemora, istituzioni in testa. Si fanno tanti discorsi vacui e funzionali a una sola giornata, ma nulla che possa far decretare che il nostro Paese sia un paese per donne. Quelli che si indignano per le violenze e che celebrano le donne figure indispensabili per l’immagine positiva del paese, sono gli stessi che sui social le ridicolizzano postando video di donne incapaci a parcheggiare o che appena gli fai notare che in grammatica italiana, come il femminile di operaio è operaia, anche il femminile di medico deve fare medica, storcono il naso, dicendo che è brutto e suona male e ti spiegano che si nomina al maschile, ma significa anche il femminile.
E tu a fargli capire, mentre loro si sdilinquiscono di fronte a petaloso (che proprio bello non è), che maschile e femminile non sono la stessa cosa e che uno non può, e non deve, ricomprendere l’altro, anche se solo nominalmente. Che una lingua non è bella o brutta, ma definisce le cose e le cose hanno tutte un genere. E allora di fronte a un quadro in cui non esiste parità salariale, gli stereotipi di genere impazzano, il sessismo della lingua impera, conciliazione e condivisione sono termini pressochè sconosciuti, la violenza domestica non si placa, l’interruzione di gravidanza sta saldamente nelle mani dei medici obiettori di coscienza, non mi va di accodarmi alle celebrazioni.
http://www.ilsecoloxix.it/p/cultura/2016/03/08/ASVAp8sB-festeggiare_marzo_nulla.shtml

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