Nelle ultime settimane molte donne in tutto il mondo hanno preso parola pubblica contro le molestie e l’hanno fatto tutte insieme: donne considerate perbene e anche donne considerate permale. E mentre prima tacevano ora parlano tutte, di uomini comuni e dei cosiddetti uomini potenti. E accumulano storie e testimonianze che si somigliano molto tra loro. Il fatto è politico e si chiama fine del patriarcato, cioè di quel sistema basato sul silenzio-assenso delle donne al sistema maschile. Fine del patriarcato non significa però che sia finita la pretesa che quello stesso sistema continui a funzionare e infatti è in movimento un esercito ben organizzato che cerca di tenere le donne al loro posto o cerca di riportarcele.
Questa contro-azione si compone di argomentazioni molto grossolane e sessiste. E poi ce ne sono altre più raffinate e insidiose, che provengono da chi in modo paternalistico sta cercando di dare consigli alle donne su come darsi una regolata e su come gestire questo polverone per non arrivare a un «maccartismo da cerniera lampo».
Negli ultimi giorni mi è stata fatta una domanda certamente più interessante di altre, di cui vale la pena parlare, dando per scontato che non si tratti di un raffinato trucco per spostare la questione. La domanda ha a che fare con il garantismo nei confronti degli uomini accusati di molestie: diamo per scontato che le persone accusate siano colpevoli? Luca Sofri se ne è occupato qui, non tenendo però conto di alcune cose fondamentali.
Non è in corso alcuna caccia alle streghe, come qualcuno ha scritto facendo intendere che il posto delle perseguitate è stato preso da alcuni uomini accusati di stupri e di molestie (uomini bianchi e potenti, è bene ricordarlo). Non penso che le donne non possano mentire e non penso che tutte le buone stiano da una parte e tutti i cattivi dall’altra. Se c’è bisogno di una nuova rassicurazione in questo senso, eccola: che non tutti gli uomini siano dei potenziali stupratori e che tutte le persone accusate non siano automaticamente colpevoli è verissimo e ovvio, ci mancherebbe.
Se stiamo parlando di “garantismo giudiziario” c’è un’altra cosa fondamentale di cui tenere conto e che pensavo fosse scontata: una persona accusata pubblicamente da un’altra ha a sua disposizione un importante e indiscutibile strumento di garanzia. Può cioè querelare chi lo ha offeso o denigrato se ritiene che sia stato detto il falso. E se perde tutto in seguito a queste accuse? Di nuovo: chi si sente danneggiato ingiustamente da queste accuse può denunciare chi lo accusa. Deve farlo: è infatti nell’interesse di tutti e di tutte (di chi sporge denunce vere, innanzitutto) che le denunce false vengano punite.
Ma il garantismo “giudiziario” (una volta stabilito che c’è lo strumento della querela a cui può fare ricorso l’accusato) c’entra poco con questa storia. Oltre al garantismo vero e proprio c’è infatti un garantismo che potremmo chiamare delle coscienze.
Anche chi accusa avrebbe avuto a suo tempo uno strumento di garanzia, quello di sporgere denuncia. Strumento che prevede in Italia dei tempi molto precisi (entro sei mesi uno stupro e entro tre mesi una molestia: pochi, ma questa è un’altra storia).
Una volta stabilito che la persona offesa ha sempre a sua disposizione uno strumento di garanzia, dovremmo cercare di capire perché chi sta dall’altra parte e dice di aver subito delle molestie ha scelto di non usare il proprio. (Non parlo per suggestioni: se ci fosse bisogno di conferme l’ISTAT dice da decenni che la percentuale delle denunce è molto bassa, mentre è altissima la percentuale delle donne che afferma di aver subito violenza). Le molte donne che parlano, anche sul punto della non-denuncia raccontano tutte la stessa versione della storia.
Il condizionamento verso una mancata denuncia e il mancato esercizio di una procedura coerente con lo stato di diritto è altissimo quando si parla di abusi e di molestie: ci sono la paura, lo stigma, la vergogna, il peso delle conseguenze, la frequente asimmetria delle posizioni di potere e altro ancora. E poi c’è il fatto non secondario che le molestie sono qualcosa di difficile da dimostrare di per sé, che spesso le donne vengono scoraggiate a farlo e che molte sentenze non tengono conto del documento più avanzato e autorevole che sia mai stato prodotto in materia: la Convenzione di Istanbul che è stata ratificata dall’Italia, che è in vigore dal 1 agosto 2014 ma di cui in Italia manca il sostanziale recepimento. La Convenzione stabilisce, solo per fare un esempio, che gli antecedenti sessuali e la condotta della presunta vittima siano ammissibili unicamente quando sono pertinenti e necessari: di questo, come affermano molte giuriste e giuristi, spesso nelle aule di tribunale non viene tenuto conto e le “sentenze dei jeans” non sono solo un lontano ricordo.
Quello che sta accadendo in queste settimane (donne che parlano su giornali e tv) non rientra nelle consuetudini: è vero, ma perché non rientra nelle consuetudini? E dunque torniamo pure al problema iniziale, al garantismo, riformulando però la questione in modo che quel principio non sia solo una bella scatola vuota: il garantismo vale in egual misura anche per le persone che a un certo punto decidono di parlare delle molestie che hanno subito? Possiamo affermare serenamente che a una donna che parla di abusi è garantita quella che potremmo chiamare “presunzione di credibilità”? O meglio: c’è la reale garanzia di una dialettica non sbilanciata sulla questione delle molestie? E non è forse qui che si mostra, invece, l’enorme deroga al garantismo di cui si sta parlando? Nessuna chiede di mettere in galera gli accusati sulla base delle cose che vengono dette sui giornali e non nei tribunali: si sta chiedendo che il garantismo valga per tutte e tutti allo stesso modo. Ponendo queste domande non sto facendo deroghe a un principio fondamentale, come ormai è chiaro, sto dicendo che il circolo del garantismo, nel caso delle molestie e degli abusi, non è virtuoso e mi chiedo se la priorità non sia quella di lavorare affinché lo diventi.
Il punto fondamentale della storia da cui partire è dunque un altro: che tutte le donne sanno di cosa stiamo parlando quando parliamo di molestie e di abusi e che tutte sanno perché è così difficile denunciare. Personalmente i casi singoli mi interessano davvero pochissimo, così come interessano poco ad alcune delle donne che hanno parlato nelle ultime settimane (partendo però necessariamente dalle loro esperienze). Mi interessa moltissimo, invece, che si apra uno spazio in cui le donne possano parlare senza venire condannate immediatamente o giudicate a prescindere. Mi interessa infine capire (e torno al punto) perché molte in questa storia (sostenute dai dati) affermino di ritrovarsi in un sistema in cui è difficilissimo, di fatto, la possibilità di esercitare il loro strumento di garanzia. La possibilità è la condizione della garanzia e anche di uno stato di diritto. Ed è da questa parte che c’è del lavoro da fare.
http://www.ilpost.it/giuliasiviero/2017/11/14/le-donne-parlano-molestie-problema-del-garantismo/
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