martedì 28 novembre 2017

Violenza sulle donne: un 25 novembre tra ipocrisie e nuove libertà Da una parte il silenzio del ministro Orlando, dall'altra il messaggio lanciato dalla Boldrini con un'aula di Montecitorio tutta al femminile. Le sfide da affrontare sono tante, ma una rivoluzione è in atto. E indietro non si torna. di CRISTINA OBBER



Il 25 novembre non è una celebrazione, è la commemorazione di tutte le violenze subite dalle donne e dalle bambine di tutto il mondo. È una data scelta dalle Nazioni Unite in memoria delle tre sorelle Mirabal, anime ribelli e coraggiose assassinate in un’imboscata nel 1960 dalla dittatura domenicana alla quale si opponevano; la loro morte scosse il Paese, diede linfa alla lotta e divenne riscatto, liberazione.
C’è chi dice che le giornate non servano, io penso invece che pur vigilando sulle strumentalizzazioni e pur mantenendo viva un’attenzione continuativa in ogni mese dell’anno su ogni tema che ci sta a cuore, sia importante creare occasioni per informare, discutere e manifestare collettivamente. Per non dimenticare ciò che è stato, per dirsi cosa sarà.

LAURA BOLDRINI PORTA LE DONNE A MONTECITORIO
Il 25 novembre è anche la giornata dei bei discorsi che rimangono tali, delle passerelle istituzionali, dei facciamo finta che tutto va bene.
Io quest’anno sarò a Montecitorio, in un’aula che la presidente Laura Boldrini ha voluto piena di donne; chissà se ci sarà anche la ministra Lorenzin, dalla quale Serafina Strano, stuprata da un paziente durante un turno di guardia medica in provincia di Catania, si aspettava almeno una telefonata. Invece niente di niente. La dottoressa ha ripreso il lavoro nella sua solitudine, condividendo con le colleghe le paure per nuove aggressioni, in assenza di interventi per la sicurezza. La ministra probabilmente minimizza come fa con le continue violazioni della legge 194. Per lei va tutto bene, le interruzioni di gravidanza diminuiscono. Peccato che meno interruzioni nelle statistiche non significhino solo maggior uso di contraccettivi ma anche il ritorno all’aborto clandestino a cui mai avremmo pensato di tornare. Anche questa è violenza sulle donne.
In questi giorni è tornato alla cronaca il caso di Firenze, dove due studentesse americane hanno denunciato per stupro due carabinieri che si erano offerti di accompagnarle a casa. Nell’incidente probatorio la difesa ha insistito sulla consensualità dei rapporti sessuali, come sempre accade in questi casi e ogni volta ci fa tornare con la memoria al documentario Processo per stupro girato al tribunale di Latina a fine Anni ’70.
A Montecitorio non ci saranno uomini, un’aula piena di donne è certamente un atto simbolico significativo. Ma io avrei concesso una seggiolina al ministro della Giustizia Orlando.

ODIO L’INDIFFERENZA
Le dirigenti nazionali di Cgil, Cisl e Uil avevano lanciato a giugno 2017 una protesta contro la riforma del sistema penale in tema di giustizia riparativa che inseriva il reato di stalking tra quelli per cui è previsto un risarcimento pecuniario a discrezione del giudice e senza l’approvazione della parte lesa; avevano chiesto al ministro un incontro ma Orlando non si era degnato di rispondere. Loro non si sono date per vinte e il seguito della protesta aveva costretto il ministro a impegnarsi pubblicamente per rimediare allo scempio. Invece la riforma è entrata in vigore il 3 agosto senza nessun intervento, mentre gli italiani e soprattutto le italiane facevano i bagagli per il mare. E forse anche lui, Orlando.
Siamo a fine novembre e dopo numerosi emendamenti presentati da varie parti politiche, finalmente il governo ha inserito nella legge di bilancio la modifica alla riforma che, se approvata, ne escluderà il reato di stalking.
Nel frattempo a Torino una giudice, applicando la legge, ha ritenuto congruo un risarcimento di 1.500 euro per due mesi di atti persecutori, nonostante il rifiuto della vittima. Reato estinto. Mi sarebbe piaciuto portare questo caso all’attenzione del ministro e chiedergli conto della sua inerzia. Di una indifferenza che ritroviamo anche in tante donne che siedono in parlamento, il maggior numero di donne nella nostra storia, che nemmeno si indignano per la mancanza di una ministra delle Pari opportunità.
La violenza è un problema culturale, dunque va affrontato in un'ottica di prevenzione, su tutti i livelli, con inteventi formativi.

UN GOVERNO LONTANO DALLA GENTE
Anche per ciò che riguarda la violenza contro le donne c'è uno scollamento tra il governo e la società: l’approccio istituzionale è quello dell’intervento emergenziale, del tappabuchi. Nessun intervento sull’educazione, dove tutto dipende dall’iniziativa personale di pochi insegnati e dirigenti. Si è ratificata la Convenzione di Istanbul che dedica ampio spazio ad educazione e prevenzione ma non si è di fatto applicata. Anche da Telefono Rosa come dalla rete dei centri antiviolenza Di.r.e il messaggio in questi anni è chiaro: la violenza è un problema culturale e dunque va affrontato in un’ottica di prevenzione, su tutti i livelli, con interventi formativi; il sostegno alle vittime non può prescindere dal rispetto dei loro tempi e delle loro scelte, i protocolli non tengono conto che ogni donna, ogni famiglia è diversa da un’altra, così come ogni uomo violento è diverso da un altro uomo violento, e questo vale soprattutto per la prevedibilità o imprevedibilità dei suoi atti. Ci vuole grande attenzione per i bambini coinvolti che vengono a volte smistati come pacchi nelle case famiglia, anch’esse divise tra quelle nate con un valido intento sociale e quelle che sono semplicemente diventate un buon business. Quando si stanziano dei finanziamenti, ai cittadini non è dato capire dove vadano i soldi alimentando il dubbio che ne beneficino gli amici degli amici o associazioni e centri antiviolenza nati sull’onda del finanziamento in arrivo, senz’arte né parte.
Sempre al ministro Orlando vorrei chiedere come mai, insieme al ministro dell’interno, ha emesso un decreto che per gli eredi delle vittime di reati violenti (come il femminicidio) quantifica un importo di indennizzo di Stato che non arriva a 10 mila euro. Apprezzo che la cifra prevista sia stata aumentata da 2,6 a 7,6 milioni di euro, ma il punto è che la dignità delle persone passa anche attraverso il valore pecuniario che si riconosce alle loro vite. Orlando è stato sentito in questi giorni dalla Commissione parlamentare sul femminicidio, e tra le cifre monitorate dal suo ministero si evince che nel 98% dei casi l’autore è un uomo e la nazionalità è italiana nel 77,6% dei casi. Cifre che non fanno che confermare quello che continuiamo a scrivere in questi anni e che andrebbero ricordate a tutti i negazionisti, coloro che negano ci sia un problema maschile e perseverano nel dire che la violenza è violenza e coinvolge entrambi i generi. Certo, esistono le donne stronze, lo sappiamo. Ma qui parliamo di morte.
Esistono anche le negazioniste, ed è il sessismo interiorizzato dalle donne il più pericoloso.

DALLE ANCELLE ALLA FORZA DELLE DONNE
Tra i negazionisti ci sono gli integralisti cattolici (quelli del Family day che esaltano la moglie sottomessa alla felicità del marito) con i loro penosi tentativi di afferrare qualcosa che gli è già sfuggito di mano. Che se ne facciano una ragione, per il padre padrone la pacchia è finita, le donne non sono più disposte a chinare il capo e passare la vita ad espiare, si riprendono la propria libertà.
Esistono anche le negazioniste, ed è il sessismo interiorizzato dalle donne il più pericoloso; è quello che ci fa crescere e costruire la nostra affermazione soltanto in riflesso a quanto un uomo ci dica brava. Queste ancelle del patriarcato sembrano rapite dal proprio personale tentativo di accattivarsi quel pubblico in prevalenza maschile di cui ricercano l’approvazione. Quando le incontro non posso che provare una umana pietas ricordando quel Perdona loro che non sanno quello che fanno. Sono poche, ma sono lo specchio di quanto sia faticoso il percorso di liberazione, inarrestabile ma pieno di ostacoli. Sono loro le vittime più tristi di questo 25 novembre. Perché quelle che parleranno a Montecitorio, attraverso testimonianze di violenza e di riscatto, ci daranno invece una lezione di forza. Parlerà anche Antonella Penati, mamma di Federico Barakat, ucciso dal padre in un incontro protetto presso la sede Asl di San Donato Milanese. Tutti assolti gli operatori dei servizi sociali che avevano in custodia il bambino al momento del figlicidio, ma la Corte dei diritti umani di Strasburgo proprio in questi giorni ha chiesto conto al governo italiano della morte del bambino, dando seguito al ricorso di una madre che non ha mai smesso di lottare. Anche questo ascolto sarebbe valso la seggiolina per Orlando.

LE COSE CAMBIANO (PER FORTUNA)
Nonostante di fronte a ogni notizia di violenza ci sembri che non cambi nulla, tante cose sono cambiate e altre stanno cambiando. D’altronde siamo il paese che nell’1981 prevedeva ancora l’attenuante per delitto d’onore, che solo nel '96 ha decretato che lo stupro è reato contro la persona e non contro la morale pubblica. Le cose cambiano ma ci vuole tempo, perseveranza, e coraggio. Nonostante le difficoltà, sono in aumento le denunce per violenza sessuale e questo anche per una maggiore consapevolezza delle donne di avere il diritto di chiedere giustizia, di non sentirsi in colpa. E questo sia per la violenza sessuale sia per le molestie e per la violenza domestica. Denunciare significa chiarire di non essere complici. Il femminicidio è una costante figlia della nostra cultura: un tempo le notizie rimanevano nelle pagine di cronaca locale, oggi occupano spazi in prima pagina e nonostante una narrazione ancora molto stereotipata e rivittimizzante (procura nuova violenza alle vittime, come quando si giustifica parzialmente l’uomo violento colpevolizzando la donna) diventano visibili all’intero Paese. Queste morti esistono. Non possiamo più ignorarle, dentro di noi in qualche modo l’informazione ricevuta sedimenta e dobbiamo tenerne conto. La visibilità della violenza crea un effetto domino (come si è visto per la questione molestie prima in America e poi in Italia) della denuncia che scaturisce dal sapere di non essere sole.
Nel 2016 a Bitonto, in Puglia, l’associazione Io sono mia per il 25 novembre ha steso panni su tutta la piazza principale del paese con lo slogan Panni sporchi in piazza; un messaggio semplice e chiaro per rappresentare la rottura con un passato di omertà e rassegnazione, dove tra moglie e marito non si poteva mettere il dito nemmeno se lui la massacrava di botte.
Oggi ci sono tante iniziative impensabili solo dieci anni fa. E non parlo solo delle piazze piene di donne che prima con Se non ora quando e oggi con Non una di meno hanno riunito le donne nella loro protesta.

NUOVE PRATICHE
Il 18 novembre ho tenuto una formazione sulla violenza di genere organizzata dal Centro per le famiglie del comune di Rimini. In aula, oltre ad alcune operatrici del centro, ufficiali di polizia, carabinieri e guardia di finanza, sezione anticrimine; personale medico, psicolog*, assistenti sociali, avvocat*, operatrici del centro antiviolenza della città; una magistrata, un’insegnante. Una platea di 70 persone tra cui anche alcuni uomini di un centro per il recupero maltrattanti. È l espressione di una consapevolezza comune della necessità di confronto e collaborazione per affrontare con una metodologia multidisciplinare un problema che nessuno più può considerare privato e personale. Una consapevolezza nuova, che si fa strada sempre di più in tutte le professioni.
Il 25 novembre a Venezia verrà presentato il Manifesto delle giornaliste e i giornalisti per il rispetto e la parità di genere nell’informazione, affinché la narrazione mediatica della violenza non accosti ai crimini termini fuorvianti come ‘troppo amore’ o raptus, perché chi ama non uccide e in più del 90 % dei casi gli uomini violenti si rivelano lucidi e determinati. L’importanza del linguaggio si esprime anche negli aspetti che sembrano minori, come quelli che riguardano l’uso della grammatica che declina le professioni al femminile, per dire che non si fanno lavori da maschio, ma che si lavora portando sé stesse nel mondo. La violenza diventa sempre più visibile dunque, in tutte le sue forme, ed è in questo riconoscimento collettivo che una società evolve e può dire basta. Dare un volto - anche anonimo- agli uomini violenti che abusano di potere e controllo, nel loro privato come nel mondo del lavoro, costringe tutti gli uomini ad ammettere di aver taciuto per convenienza di genere, li costringe a guardarsi negli occhi senza più fingere che non li riguardi. E a capire che se le relazioni si basano sul potere non si può parlare di benessere e tantomeno di felicità, nemmeno per loro.

È in atto una rivoluzione, e nonostante il percorso ci ponga di fronte tante sfide, non si torna indietro.

Un giorno in un istituto tecnico un ragazzo mi disse «Il mondo si cambia di botto».

Cerco di ricordarlo.
http://www.letteradonna.it/it/articoli/punti-di-vista/2017/11/24/25-novembre-giornata-contro-violenza-donne/24808/

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