«Ma mica le molestie ci sono solo nel mondo del cinema. Adesso va di moda questa narrazione, ma la questione non si ferma certo solo ad attrici e registi», avvisa Loredana Taddei responsabile delle politiche di genere della Cgil. Basta infatti alzare il velo sul mondo del lavoro per scoprire una realtà, purtroppo quotidiana, che presenta cifre impressionanti e che è fatta di avance, ammiccamenti, battute, ricatti e violenze, che nei casi estremi posso arrivare finanche allo stupro.
Gli ultimi dati li ha forniti a fine settembre in Parlamento il presidente dell’Istat Giorgio Alleva spiegando che 9 donne su 100 nel corso della loro vita lavorativa sono state oggetto di molestie o di ricatti a sfondo sessuale. Parliamo di qualcosa come 1 milione e 403 mila casi. Dalla carezza non gradita alla pacca sul sedere, dal bacio rubato sino alla richiesta esplicita di prestazioni sessuali per avere un lavoro, per mantenere il posto o magari per fare carriera. Poi ci sono gli stupri, consumati o anche solo tentati (84% dei casi): 76 mila in tutto sempre considerando l’intero arco lavorativo delle donne.
Chi sono le vittime
Molestie e ricatti sono sostanzialmente trasversali, ma riguardano innanzitutto le donne di età compresa fra i 25 ed i 44 anni, diplomate o laureate, residenti al Nord, nei grandi centri, occupate nel settore dei servizi (trasporti e comunicazioni) e nel settore pubblico.
«I ricatti sessuali si verificano nei momenti in cui le donne si trovano più in difficoltà e nascono da una situazione asimmetrica: la donna ricerca lavoro dopo averlo perso, lo cerca al Sud dove è difficile trovarlo, si mette in proprio, vuole fare carriera e la sua carriera dipende dal giudizio o dall’azione di qualche superiore», segnalava tempo addietro Linda Laura Sabbadini che dai tempi dell’Istat segue questi temi.
«In molti casi non c’è nemmeno bisogno di esplicitare il ricatto, la donna lo percepisce subito, lo capisce dagli atteggiamenti dei superiori - spiega Taddei -. Quello delle molestie purtroppo è un fenomeno che c’è da sempre e che per questo è considerato normale, tant’è che nella maggioranza dei casi non lo si denuncia nemmeno, perché ci si vergogna o perché si teme di venir ridicolizzati dai colleghi». E in effetti, segnalava Alleva, «solo una donna su 5 racconta la propria esperienza».
E, soprattutto, «quasi nessuna ha denunciato il fatto alle forze dell’ordine», lo fa appena lo 0,5%. Per il resto gli esiti finali sono altrettanto sorprendenti: l’11% viene infatti licenziata, il 34% cambia volontariamente lavoro o rinuncia a far carriera, un altro 1,3% è stata trasferita di ufficio.
Poi c’è un 4,7% che continua a lavorare ed un 1,4% che cede alle richieste.
Norme inadeguate?
«Certamente, soprattutto in tempi di crisi, pesa molto la sudditanza psicologica della donna, che nel campo del lavoro ha sempre poche opportunità» segnala la presidente della Commissione d’inchiesta parlamentare sul femminicidio Francesca Puglisi (Pd). In Italia occorre rafforzare l’apparato legislativo, come segnala anche l’Ocse in un suo recente rapporto? «Con la legge del 2013 sulla violenza di genere abbiamo fatto molti passi avanti - risponde - ma è vero che sul fronte delle molestie sui posti di lavoro siamo meno attrezzati. Per questo abbiano deciso di ampliare il nostro raggio d’azione e già la prossima settimana ascolteremo Cgil, Cisl e Uil». «La questione delle norme merita una analisi approfondita - risponde a sua volta la Taddei -. Però, in quanto a regole, voglio ricordare che in Italia solo nel 2016 siamo riusciti a recepire l’accordo quadro europeo sulle molestie. Confindustria ha fatto resistenza e ci abbiamo messo 9 anni».
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