La sfortunata coincidenza di date, che ha visto in parallelo nelle piazze di Roma le manifestazioni per la Giornata mondiale per il rifugiato e la manifestazione del Family Day, sollecita qualche riflessione sui diritti che vada oltre le singole rivendicazioni. Cos’avevano in comune le due piazze? Quella antistante il Colosseo, dove si riuniva il presidio contro le stragi di migranti nel Mediterraneo, e quella di San Giovanni, in cui si gridava alla difesa dei bambini contro i pericoli dell’“ideologia gender”?
In comune non avevano niente.
Niente, perché la prima chiedeva diritti per tutti e tutte, qualunque sia la nazionalità e il colore della pelle, giovani e non giovani, lavoratori e lavoratrici migranti e non, chiedeva di abbattere i muri delle nostre fortezze e di fermare i nuovi muri che si vorrebbero costruire, chiedeva accoglienza e protezione per chi fugge dalle guerre.
L’altra dichiarava guerra ai diritti delle minoranze, era una piazza d’odio verso le diversità, la cui copertura ideologica, la battaglia contro un fantomatico “pericolo gender”, altro non è che bugia concordata e vuotamente ripetuta. Questa seconda piazza ha piuttosto molto in comune con le manifestazioni e i presidi anti-immigrati o anti-rom o anti-prostitute, fomentati da forze politiche xenofobe e razziste.
Nel finale del film Selma di Ava DuVernay, che racconta la grande marcia del 1965 per i diritti civili e politici dei neri in Alabama, Martin Luther King a Montgomery rivolge alla folla queste parole: “Vediamo uomini bianchi governare il mondo, e tenere a bada i bianchi poveri con una crudele bugia. E quando il figlio dell’uomo bianco piange per la fame e lui non ha niente da dargli, lo nutre con la stessa crudele bugia. Una bugia che gli sussurra: qualsiasi sorte ti sia toccata nella vita, puoi almeno esultare nel sapere che il tuo essere bianco ti rende superiore al nero. Ma noi sappiamo la verità, e noi seguiremo quella verità, verso la libertà”.
I discorsi e la manifestazioni d’odio e pregiudizio, quelle che vedono scendere in piazza cittadine e cittadini spaventati dalla crisi, che li spingono a stringersi in comunità del rancore e dell’esclusione, servono a questo, a placare la rabbia e le difficoltà quotidiane di un paese malconcio e impoverito con delle bugie che sussurrano loro: comunque vadano le cose, potrai almeno esultare sapendoti superiore ai gay, ai trans, o ai migranti, agli africani, ai rom, ai musulmani.
C’è una posta in gioco nella “guerra sul gender” che viene sapientemente condotta da gruppi integralisti cattolici con il supporto di una parte delle gerarchie ecclesiastiche. Riguarda la libertà di insegnamento, la libertà dalla violenza di genere, dagli stereotipi, dall’omofobia.
Su Femministerie ne abbiamo parlato qui, qui, e qui. Ma prima ancora, in queste piazze del rancore, quelle delle Sentinelle in piedi o del Family Day, c’è una parte di società disposta a farsi raccontare e a raccontare a propria volta delle menzogne per difendere una presunta supremazia (quella del modello eterosessuale tradizionale) contro l’avvento di ciò che è diverso da sé, contro ogni altra forma di amore. Spetta a tutte e tutti gli altri, che sono la maggioranza del paese, svelare queste menzogne e raccontare la verità.
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