Oltre quattro milioni di donne — l’11,3% del totale — hanno subito violenza fisica e/o sessuale negli ultimi cinque anni. Il 31,5% (quasi una donna su tre) ha subito violenza nel corso della vita. È la stima che emerge dall’ultima indagine sulla violenza contro le donne effettuata dall’Istat. Sono cifre che si aggiungono a quelle sui femminicidi. Mostrano come esercitare violenza sulle donne sia un fenomeno diffuso, di cui i femminicidi sono la punta drammatica dell’iceberg. Oltre un terzo di chi ha subito violenza fisica o sessuale nel corso della vita è stata vittima di un fidanzato, marito, compagno, attuale o, soprattutto, passato.
Mettere fine ad un rapporto che non funziona e magari è violento non sempre protegge le donne dalla rabbia di chi non riconosce loro questo diritto, come troppo spesso documenta anche la cronaca nera. Partner ed ex partner sono presenti in maggiore misura nella violenza che non lascia tracce sul corpo, ma incide sulla consapevolezza della propria dignità e valore, minando il senso di sicurezza e mantenendo chi ne è oggetto in uno stato di tensione permanente: la violenza psicologica fatta di insulti, sistematiche squalificazioni, limitazioni dell’autonomia. Gli ex partner costituiscono anche un terzo degli stalker, cioè di chi opera vere e proprie persecuzioni nella vita quotidiana. Non stupisce, allora, che siano le donne separate o divorziate ad essere oggetto più spesso di violenza. Non sembra, invece, ci sia differenza tra autoctone e straniere nella esposizione al rischio di violenza. Ma le straniere subiscono più violenze fisiche e più stupri o tentati stupri, meno molestie sessuali delle italiane.
Dall’indagine emergono alcuni dati a prima vista sorprendenti. Le donne laureate e con posizione professionale elevata sono oggetto di violenza più spesso di quelle meno istruite, in posizione professionale più bassa o non occupate, quasi che le maggiori risorse di affermazione e riconoscimento di sé, più che avere un effetto protettivo, avessero l’effetto di scatenare l’aggressività di chi non ammette l’autonomia femminile.
Ci sono tuttavia importanti segnali positivi, come ha sottolineato Linda Laura Sabbadini, cui si deve in larga misura che l’Italia sia, con l’Istat, uno dei Paesi che monitora periodicamente questo fenomeno. Rispetto al quinquennio precedente il 2006, quando fu fatta la precedente indagine, negli ultimi anni è diminuita la violenza da parte dei partner e degli ex partner e in generale la percentuale di chi ha subito violenza fisica, sessuale e psicologica, soprattutto tra le più giovani. Sono anche aumentate le denunce e il ricorso ai centri antiviolenza, anche se il fenomeno continua a rimanere largamente sommerso.
La maggiore consapevolezza delle donne circa l’inaccettabilità di rapporti violenti, la maggiore sensibilità al fenomeno nell’opinione pubblica, che ha anche prodotto maggiori competenze e attenzione in chi deve affrontarlo professionalmente e aiutare le vittime — tutto questo concorre sia a ridurre il fenomeno sia a fornire aiuto a chi lo subisce. Vuol dire che ci si è mossi nella direzione giusta. Non si deve tuttavia trascurare il fatto che contestualmente sono aumentate le violenze più gravi, sia fisiche che sessuali, da parte di partner, ex partner ed estranei. Così come sono aumentati gli episodi in cui gli atti di violenza vedono come vittime donne con figli e questi ultimi come testimoni, passando dal 60,3% del 2006 al 65,2% del 2014. È come se l’accresciuta consapevolezza individuale e collettiva avesse ridotto il fenomeno nei suoi aspetti meno gravi, frenando i violenti meno incalliti, senza tuttavia scalfire il nocciolo duro. La strada è ancora lunga. Troppe donne continuano ad essere a rischio e troppi minori continuano a sperimentare la violenza contro le donne, contro le loro madri e sorelle, come un fatto tragicamente normale.
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