sabato 27 febbraio 2016

MINISTERO GIUSTIZIA SU SANZIONI ABORTO CLANDESTINO

“L’adeguatezza in concreto delle sanzioni determinate potrà essere riconsiderata” nell’ambito di “interventi correttivi” da compiere nel termine di 18 mesi dall’ultimo dei decreti attuativi.

È la risposta del Ministero della giustizia all’interrogazione sottoposta il 25 febbraio in Commissione Giustizia della Camera da Marisa Nicchi (Sel) e Daniele Farina (Sel), che hanno chiesto al Ministro di intervenire per ridurre considerevolmente la sanzione amministrativa per aborto clandestino prevista dal decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8. Nel rispondere al question time, il sottosegretario di Stato Gennaro Migliore ha dichiarato che i reati soggetti a depenalizzazione sono stati suddivisi in tre gruppi e che “la sanzione amministrativa per l’aborto clandestino è stata commisurata entro il primo dei predetti scaglioni e, dunque, in quello meno afflittivo”.
Ricordiamo che la sanzione va dai 5.000 ai 10.000 euro e sostituisce la precedente di 51 euro già prevista dalla legge 194 del 1978. È prevista prevista per le donne che interrompono volontariamente la gravidanza senza rivolgersi al medico o al consultorio per il certificato oppure che praticano l’interruzione entro i 90 giorni al di fuori dalle strutture ospedaliere pubbliche o convenzionate. Ricordiamo anche che non è stata toccata dal decreto la pena di reclusione di tre anni per chi procura l’interruzione di gravidanza fuori dalle strutture preposte.
“Apprezziamo la disponibilità del Governo a riconsiderare la questione, ma il termine di diciotto mesi entro il quale adottare eventuali interventi correttivi è eccessivamente lungo”. Lo ribadisce Marisa Nicchi mentre invita l’opinione pubblica a “vigilare perché i tempi della correzione siano accorciati”.

ABORTO CLANDESTINO, I DATI DELLE PROCURE

Nel 2014, secondo i dati del Ministero della giustizia, erano stati 241 i procedimenti penali definiti dagli uffici giudicanti per procurato aborto clandestino, con 436 persone coinvolte di cui il 9% medici e il 2% paramedici. Nel 75% dei casi la professione non è stata rilevata. Il procedimento si è concluso con decreto di archiviazione nel 78% dei casi.
Scrive il Ministero nella relazione al Parlamento di marzo 2015 che una parte significativa delle persone iscritte nei procedimenti penali per procurato aborto è costituita da stranieri (33,0% nel 2014), con due tipi di motivazioni ipotizzate. Da un lato all’ignoranza della legge e del suo funzionamento, per la quale i procuratori propongo l’adeguamento dei consultori pubblici in relazione al loro attuale bacino d’utenza. Dall’altro, pratiche legate all’ambiente della prostituzione, con istigazione all’aborto clandestino dove “le investigazioni, anche a causa delle condizioni di assoggettamento e di omertà proprie di questo tipo di ambiente, risultano spesso difficoltose”.
In ogni caso, si afferma nella relazione del Ministro,
“l’esiguo numero di procedimenti non rifletterebbe la reale portata del fenomeno, che si presume invece essere largamente diffuso e praticato anche in strutture sanitarie private, e riguarderebbe in misura sempre maggiore donne extra-comunitarie“.
Mentre alcuni procuratori sottolineano che
“pur avendo comunicato che pochi o nessun procedimento penale è sopravvenuto presso il proprio Ufficio, affermano tuttavia che vi sono certamente aborti clandestini nell’ambito del territorio di propria competenza, ma che tali aborti (spesso taciuti dalla donna, dai familiari e dai medici) rimangono nascosti, anche perché gran parte delle forze di Pubblica Sicurezza viene impegnata su altri fronti investigativi, quali ad esempio quello della criminalità organizzata (soprattutto nel Sud)”.

A RISCHIO LA SALUTE DELLE DONNE, SOPRATTUTTO STRANIERE

Sono straniere le donne più esposte ai rischi legati all’aborto clandestino. A confermare questa osservazione del Ministero di giustizia è l’esperienza dei medici territoriali che lavorano nei consultori. Come Arturo Fabra, ginecologo al consultorio di Gubbio, in Umbria, che con trent’anni di attività tra consultorio e ospedale ha una buona visibilità sul fenomeno:
Le pazienti della Africa sub sahariana e sub equatoriale, e anche alcune pazienti provenienti dalla Romania, hanno l’abitudine di acquistare in internet il misopristolo, poi vanno in ospedale. Magari non fanno neanche il test di gravidanza: sono terrorizzate da un ritardo mestruale. Quindi arrivano in ospedale con una metrorraggia (sanguinamento dell’utero non dovuto a mestruazione), si fa un lieve raschiamento e neanche le possiamo possiamo categorizzare come tentativo di aborto. In Umbria non mi sembra un fenomeno diffuso. Di sicuro le più esposte sono le pazienti straniere appena arrivate che parlano con un’amica, magari un po’ più addestrata ad utilizzare internet, che comunica questa possibilità. L’evento, quando arrivano in ospedale, è l’occasione di presa di contatto con i servizi, l’occasione per diventare utenti del consultorio e avviare la contraccezione.
La sanzione, come si sottolinea nell’interrogazione di Nicchi e Farina, rischia di scoraggiare le donne che dovessero avere complicazioni , in particolare le più deboli, precarie e immigrate, a recarsi in ospedale, con gravi rischi per la loro salute.
A sottolineare i rischi per la salute delle donne che ricorrono all’aborto farmacologico fai da te sono medici e mediche e ostetriche che hanno sottoscritto la lettera aperta alla Ministra Lorenzin per protestare contro la sanzione e per chiedere una reale presa in carico del problema e che si può sottoscrivere in questa petizione. Problema che invece il Ministero della salute continua ad ignorare affermando nelle relazioni al Parlamento sullo stato di applicazione della legge 194 che il fenomeno dell’aborto clandestino si sarebbe mantenuto costante negli ultimi 10 anni. Un’altra petizione è stata lanciata da Marisa Nicchi per chiedere al Ministero della Giustizia di eliminare le multe introdotte con il decreto depenalizzazioni. Mentre le promotrici del gruppo #ObiettiamoLaSanzione, il tweet-bombing di lunedì 22, si rivolgono all’Intergruppo Parlamentare per le donne, i diritti e le pari opportunità con una lettera aperta in cui chiedono  “esaminare senza indugio e in modo concreto e serio, il fenomeno degli aborti clandestini (quantificati con una rilevazione ferma al 2005 – tra i 12mila e i 15mila casi per le italiane e tra i tremila e i cinquemila per le straniere)” e di attivarsi per cancellare la sanzione.




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