sabato 20 febbraio 2016

Cristina Obber lettera aperta al cardinale Bagnasco

Gentile cardinale Bagnasco, lei ha detto che con il ddl Cirinnà “si indebolisce l’istituto familiare”.
Mi creda, “l’istituto familiare” è già indebolito.
Il verbo indebolire presuppone qualcosa di solido, rassicurante.
Il modello papà, mamma e due bambini che vissero felici e contenti mostra ogni giorno le sue fragilità.
E glielo dice una persona che nella famiglia crede e che nonostante lo sfacelo di una ne ha costruito un’altra in cui sta proprio bene. Ma quello che fa della mia famiglia un luogo che mi piace non è l’istituzione in sé, non è un modello a cui ci ispiriamo.
La nostra buona vita insieme la dobbiamo all’amore che ci è capitato di incontrare e al rispetto che proviamo gli uni verso gli altri come persone.
Ci sono innumerevoli esempi che dimostrano come “l’istituto familiare” non dia garanzia di devozione familiare nella vita quotidiana delle persone.
Mi pare quasi banale rifarmi alla cronaca recente ma paradossale sembra che stiamo ancora qui a discutere di queste faccende che appaiono noiose e fuori dal tempo a chi ci guarda da tanti altri luoghi in Europa e nel mondo.
Sarò banale dunque e le ricorderò solo alcuni esempi di “istituti familiari” che meriterebbero la sua attenzione.
-tra gli uomini coinvolti nello scandalo del Parioli molti erano sposati e con figli e pagavano per fare sesso con ragazzine di 14 e 15 anni, in alcuni casi coetanee delle loro figlie.
-ai primi posti del turismo sessuale ci sono sempre gli italiani, spesso coniugati e con prole. uomini che pagano per stuprare (perchè per essere stupro non serve che tu ti opponga fisicamente, se hai 8 o 10 anni) bambine e bambini che più sono piccoli più costano.
-in questo paese c’è chi pensa che sarebbe buona cosa aprire dei bordelli “istituzionalizzati” così che gli uomini non coniugati e coniugati possano soddisfare il loro (dis)umano bisogno di pretendere prestazioni sessuali in cambio di soldi (come se non sapessimo che la grande maggioranza delle prostitute non sceglie di accettare quei soldi ma è costretta a farlo, come se non fosse il caso di riflettere sul proprio rapporto con il sesso, con il proprio corpo e il corpo dell’altro, individualmente e socialmente. E questa riflessione la estenderei al voto di castità ma non è della sessualità dei sacerdoti che stiamo parlando né della pedofilia che Ahinoi! ne trova non pochi coinvolti).
-quando si parlava del caso Ruby furono in molti a trovare i comportamenti dell’allora presidente del consiglio comprensibili; furono in molti a dire che chiunque, badi bene, chiunque, avrebbe fatto altrettanto potendoselo permettere. L’unico uomo che ha compiuto i settant’anni e che conosco bene è mio padre e posso dire che quel chiunque almeno per mio padre non valeva. Se gli avessero detto Ecco centomila euro, puoi organizzarti un’orgia con dieci ragazze che hanno compiuto 18 anni ieri, mio padre avrebbe detto che non avrebbe saputo cosa farci con dieci ragazzine in un lettone, che non rientrava nei suoi interessi. Avrebbe utilizzato quei centomila euro per andare a funghi con mia madre, e magari concedersi di farlo tra i boschi di qualche montagna mai esplorata. Eppure molti uomini e molte donne sorrisero su quella che definirono “la debolezza” del presidente, appunto.
-gli abusi su minori in famiglia hanno cifre spaventose anche nel nostro paese, lo chieda a chi gestisce il numero 114 Emergenza Infanzia del ministero. Nella maggioranza dei casi l’abusante appartiene al nucleo familiare.
Il pensiero da lei espresso che di fronte alla violenza domestica sia importante rispettare la privacy di quel singolo “isituto familiare” fa si che la violenza continui a perpetrarsi di generazione in generazione, lasciando sulle vite di tanti bambini dolore, angoscia, insicurezza, e mettendoli a rischio di diventare a loro volta abusanti o vittime da adulti. Questo pensiero non fa che consolidare il potere di abusare di chi abusa sentendosi protetto proprio -e anche- dall’istituzione religiosa (a proposito di paradossi).
-nel commercio di materiale pedo-pornografico sono coinvolti anche molti uomini italiani ben inseriti in “istituti familiari”, le cifre esatte può chiederle alla polizia postale; le foto che hanno maggior valore sul mercato di questo materiale sono quelle in salotto o in cameretta, quelle che dimostrano cioè di avere a disposizione il minore quando si vuole, perché questo “potere” significa prestigio in quel bell’ambiente.
-gli autori di femminicidio molte volte sono i mariti delle donne uccise.
Di recente ho avuto il piacere di ascoltare il cardinale Scola. In quell’occasione ha detto che le chiese sono vuote solo per le persone che non ci vanno.
Se è vero che le chiese sono piene sarebbe una gran cosa se vi prodigaste entrambi -come ecclesiastici autorevoli e di grande influenza- nell’ inserire qualche riflessione sull’ “istituto familiare” durante le prediche della domenica.
Ma non con il mantra del peccato, la punizione, il senso di colpa, l’espiazione.
Cercate di parlare di relazione, di generosità e di rispetto.
Perché questi sono gli elementi che permettono all’amore di diventare famiglia.
E le famiglie le fanno le persone, non le leggi.
Le famiglie che voi osteggiate ad esempio, ci sono già. Le leggi servono a regolamentare i diritti e i doveri, non i sentimenti.
I sentimenti volano e creano famiglia indipendentemente dalle leggi.
Ciò che indebolisce le relazioni è la venuta meno dei principi fondamentali che riguardano l’integrità degli individui, la loro convivenza, la loro reciproca solidarietà; le parole di Gesù Cristo sono le stesse che troviamo nella Costituzione, in cui trionfa una parola bellissima, libertà.
Se nell’ “istituto famiglia” ritroviamo poca libertà di essere noi stessi e molta libertà di mentire e di agire nella contraddizione e nella violenza, è da questa contraddizione che dobbiamo partire, per sovvertire anziché consolidare l” isituto familiare” laddove non fa che perpetuare un esercizio di potere fonte di sofferenza e soprusi.
Per far si che la famiglia non venga percepita come una gabbia dobbiamo ripartire dalla libertà degli individui che la compongono e dal rispetto di questa libertà.
Allora ciò che oggi è già debole, potrà rafforzarsi, in tutte le sue sfacettature. Allora l’ “istituto familiare” sarà maggiormente rappresentativa della società che vorrebbe rappresentare e tutelare.
Un’ultima cosa ci tengo a dirle, cardinale. La invito a riflettere sul dolore che ogni singolo ragazzino o ragazzina sente su di se quando si riconosce omosessuale in una società e all’interno di una religione che lo fa sentire sbagliato, che ne fa un soggetto debole, a proposito di debolezza, facendogli credere di essere destinato all’infelicità. Sappiamo che a volte questo peso è insopportabile, come sappiamo che anche per chi resiste e reagisce il peso da portare è ingiusto.
Perché l’ istituzione Chiesa si rende complice di questa sofferenza?
Ho la fortuna di incontrare adolescenti in tutto il paese, nelle scuole che mi invitano a confrontarmi con loro su tanti temi. Incontro omofobia, non lo nego, ma raccolgo anche molte confidenze e considerazioni sulla fede, sull’essere cattolici e omosessuali contemporaneamente, spesso non dichiarati in famiglia per paura di non essere capiti, sull’essere cattolici ed eterosessuali e scontrarsi con una famiglia che non si dice pronta ad accogliere l’omosessualità dei tuoi amici e delle tue amiche.
I ragazzi e le ragazze cambieranno questo paese che sta già cambiando, che è già cambiato nonostante tutti i freni a mano tirati in nome di false sicurezze e ipocrisie.
I ragazzi e le ragazze omosessuali e praticanti non hanno che un’alternativa di fronte alla rigidità che la Chiesa mostra ancora nei loro confronti: allontanarsi da voi. Non da Dio, ma da voi, che vi ostinate a non riconoscerli o nella migliore delle ipotesi a commiserarli in nome della vostra misericordia. Non diventeranno eterosessuali, perché la natura comanda. Non vivranno la loro omosessualità di nascosto, magari in parallelo alla costruzione di un “Istituto familiare” tradizionale, come hanno fatto in molti nelle generazioni vicine alla mia e alla sua.
Vivranno la loro omosessualità nel mondo, forse al prezzo di allontanarsi dalla propria famiglia, ma sempre di meno. E saranno felici anche nella fede perché come mi ha detto un ragazzo in un liceo pugliese “Dio ci ama come siamo”, e ha ragione.
E in questa sua felicità, voi sarete fuori.
E’ questo che volete?

Cristina Obber
http://cristinaobber.it/lettera-aperta-al-cardinale-bagnasco/

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