venerdì 2 ottobre 2015

Il duro mestiere della nonna femminista di Anna Maria Crispino

Come si cambia: un libro racconta le donne che lottavano per cambiare i ruoli di genere, e adesso si trovano nel ruolo più immutabile di tutti, con le loro figlie e i loro figli che le coinvolgono nel lavoro di cura dei nipoti, spesso a tempo pieno.
Le nonne femministe tra coccole e contraddizioni
Donne, nonneBaby-boomers, femministe “storiche”, quelle della “prima volta”: le definizione si sono sprecate per la generazione di donne nate tra la fine degli anni Quaranta e la prima metà degli anni Cinquanta che hanno avuto la ventura di veder coincidere la propria vicenda biografica con alcune dei mutamenti più consistenti registrati in Italia nella seconda metà del Novecento. Ebbene, molte di queste “ragazze degli anni Cinquanta” sono diventate o presto diventeranno nonne e vale dunque la pena di interrogarsi sul come stanno interpretando un ruolo sociale che più di altri sembra legato a immagini e cliché diffusamente e comodamente assunti come immutabili.
Un’altra nonnità è possibile, sembra al contrario dimostrare la ricerca di Claudia Alemani e Maria Cristina Fedrigotti (Donne e nonne. I volti di un ruolo sociale, Stripes 2012) che mette a fuoco, per incrociarli, due stereotipi assai potenti, che la psicoanalista Gabriella Mariotti così riassume nell’Introduzione: quello della femminista "quasi si parlasse di un lontano e ormai desueto fantasma che ha concluso il proprio compito", e quello della nonna "figura che giace comodamente ai margini della formazione affettiva, ancora stretta nel rassicurante ruolo di depositaria della continuità, estraniata dal mondo del lavoro e della sessualità, sorta di icona del transgenerazionale e inconscia rappresentazione del tempo immobile".
 Le due ricercatrici hanno effettuato venti interviste “di profondità” con donne-nonne residenti a Milano e nell’hinterland, di età compresa tra i 60 e i 68 anni, in maggioranza pensionate, generalmente di classe media. Un campione certo limitato, ma che si caratterizza per un aspetto importante rispetto a ricerche più ampie: tutte le intervistate hanno partecipato ai movimenti femministi degli anni Settanta, seppur in modo diverso e con diversa intensità, e tutte hanno mantenuto nel tempo una relazione e in alcuni casi una partecipazione alle pratiche e al pensiero delle donne.  E dunque, possiamo ritenere che anche loro, come una parte di quella generazione, fossero pensose e pensanti giovanissime negli anni intorno al ‘68, figlie inquiete nei collettivi di autocoscienza dei prima anni Settanta, madri (o non madri) per scelta o per caso. Che fossero in piazza a scandire le tappe legislative e referendarie di divorzio, aborto, stato di famiglia, norme contro la violenza. Resistenti al montare dell’edonismo consumista degli anni Ottanta, operose nel costruire piccole cattedrali del sapere femminile e luoghi concreti per la sua conservazione e diffusione, indomite insomma fino ai nostri giorni in pratiche inedite di affermazione della (propria) differenza che sono andate ben la di là di quel anticonformismo femminile che pure il secolo aveva già conosciuto.  E tuttavia proprio le vicende singolari fanno giustizia di ogni semplificazione: lo dimostrano anche alcune narrazioni in prima persona come il recente L’età in più di Marina Piazza. Perché diversa e sfaccettata è la realtà sociale se la si guarda da vicino e non attraverso la lente deformante della Tv o della pubblicità.
 Uno degli elementi preziosi che emergono dalla ricerca di Alemani e Fedrigotti è che il dato forse più rilevante dell’esperienza di queste ultra-sessantenni è l’ambivalenza: tra la rivendicazione della propria indipendenza e la solidarietà con le donne più giovani, figlie o nuore che siano; tra il piacere di “godersi” i/le nipoti – solo un po’ venato dal senso di colpa per essere state madri sempre di corsa, forse a volte inadeguate – e la stanchezza fisica che comporta stare con dei bambini piccoli; tra l’imperativo, spesso consapevolmente auto-imposto, di non intervenire/interferire nella vita dei figli e figlie e il desiderio di essere comunque presenti nella cerchia d’affetti delle giovani coppie. Ambivalenza che può tramutarsi in contraddizione quando, ad esempio, donne che avevano messo in discussione la famiglia, e la rigidezza dei ruoli al suo interno, ora sembrano assumere un ruolo di “tutela” verso quelle dei propri figli; o che avevano chiesto e rivendicato servizi sociali come gli asili nido e ora si trovano a svolgere in molti casi un lavoro di cura che si configura come “supplenza” di servizi mancanti o insufficienti.
Ma in altri casi l’ambivalenza è anche un campo dinamico, il portato di una transizione tuttora in atto – che tiene conto cioè sia degli elementi di rottura che delle continuità, e della loro mutevole composizione e ricomposizione nel tempo. La consapevolezza dell’essere ambivalenti, in donne che hanno per antica pratica il partire da sé e la riflessione sul cambiamento, consente anche uno spazio di negoziato nelle relazioni. E questo – secondo elemento utile che emerge dalla ricerca – è esattamente ciò che fanno le donne-nonne: negoziano con sé stesse e con i loro compagni (quando ci sono), con figlie e generi e i di lui /lei genitori, per trovare di volta in volta la giusta misura. Quanto tempo - quali ore del giorno o giorni della settimana, periodi festivi, stagione dell’anno – dedicare alla cura dei nipoti e quanto tenerne gelosamente per sé, per il lavoro anche se non più a tempo pieno, per le attività politiche, le iniziative culturali, gli incontri con le amiche o altro.
Immaginario, aspettative e realtà non sempre coincidono per le nuove donne-nonne, ma anche questo fa parte della trasformazione in atto. Che ha a che fare con il passaggio del tempo per una generazione di donne fortemente auto-riflessiva e poco disponibile a incasellarsi in un profilo predeterminato: di anagraficamente “vecchie” che resistono all’età con ogni mezzo oppure di pacificate artefici di gustose torte di mele  Al di là di quello, ancora poco, che riesce a dirci la ricerca sociologica, è spesso nelle narrazioni, anche ibride, che cogliamo lo spessore della riflessione in atto. Non solo in Italia – come ben illustra (con articoli, testimonianze e bibliomappe) un recente numero della rivista Leggendaria dedicato ai “Passaggi di età”. O come rivela un capitolo dedicato alla variabile “età” nel bel libro di Laura Corradi  Specchio delle sue brame, che esamina gli sviluppi più recenti dei messaggi (e del mercato) pubblicitari.  D’altronde, nel mondo anglosassone, dove è d’obbligo etichettare qualsiasi fenomeno appena si manifesta, sono ormai rigogliosi di “Age o aging studies”, impasto multidisciplinare che  ruota intorno alla variabile età e alle sue rappresentazioni, e che si mescola con le altre finora in primo piano nell’analisi sociale, culturale e simbolica (classe, genere, razza etc.).
Che il quadro e gli ambiti di ricerca si facciano più complessi è uno dei sintomi di quanto siano semplicistiche quelle analisi che parlano di un “ritorno indietro”. E d’altronde parlare di età non riguarda soltanto chi si avvicina alla vecchiaia, perché sempre meno netti appaiono i confini tra quelle che siamo abituati a pensare come “coorti” o generazioni che si susseguono in modo lineare. Anticipata l’adolescenza, allungata la gioventù, “inventata” una età di mezzo che ha spinto in avanti una quarta fase della vita (almeno in Occidente) se per le donne la maternità era uno dei “marcatori” del processo biologico e del ruolo sociale, ora che si può diventare madri dai 13 ai 50 anni e oltre, o non diventarlo affatto, o diventarlo altrimenti, quello che conta evidentemente diventa la percezione dei “passaggi” e il negoziato identitario che ciascuno di essi richiede. Non a caso, è dal confronto intergenerazionale che emergono le questioni di maggior rilievo, come ad esempio in un recente convegno della Fondazione Badaracco di Milano (Madri senza tempo? Un confronto generazionale).

Bibliografia di riferimento
- Claudia Alemanni e Maria Cristina Fedrigotti, "Donne e nonne. I volti di un ruolo sociale", Stripes, Rho (MI), 2012, 120 pagine, 13 euro
- Braidotti, Mazzanti, Sapegno, Tagliavini, "Baby Boomers", Giunti, Firenze 2003
- Anna Bravo "A colpi di cuore. Storie del  Sessantotto", Laterza, Roma-Bari 2008
- B. Mapelli, L. Portis, S. Ronconi, "Molti modi di essere uniche. Percorsi di scrittura di sé per reinventare l’età matura", Stripe, Rho (MI) 2011
- Marina Piazza "Le ragazze di cinquant’anni. Amori, lavori, famiglie e nuove libertà", Mondadori, Milano 1999
- Marina Piazza, "L’età in più. Narrazione in fogli sparsi", Ghena, Roma 2012
- “Passaggi di età” in Leggendaria n. 93/maggio 2012
- Laura Corradi, "Specchio delle sue brame. Analisi socio-politica della pubbicità:  genere, classe, razza, età, ed eterosessimo", Ediesse, 2012

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