martedì 20 ottobre 2015

Quelle donne che volevano cambiare il mondo di Rita Di Santo

Cinema. «Suffragette» apre il London Film Festival, la storia del movimento femminista inglese con Carey Mullligan e Meryl Streep. Nelle nostre sale il prossimo gennaio, inaugurerà il Torino Film Festival 2015
Pren­dono a sas­sate le vetrine dei negozi di bam­bole, con pac­chi bomba fatti in casa fanno sal­tare in aria le cas­sette delle poste, pic­chiate a man­ga­nel­late dai poli­ziotti fini­scono in pri­gione, i mariti le cac­ciano di casa, per­dono lavoro, casa e figli. Le suf­fra­gette sono il sog­getto appas­sio­nate del film che ha aperto il Lon­don Film Festi­val –fino al 19 otto­bre e che aprirà il pros­simo Festi­val di Torino, 20–28 novembre.
Diretto da Sarah Gavron (Brick Lane) e scritto in col­la­bo­ra­zione con Abi Mor­gan (Shame, Iron Lady),Sufra­gette (nelle nostre sale il pros­simo gen­naio) rac­conta la sto­ria del movi­mento fem­mi­ni­sta bri­tan­nico e di alcune tra le sue pro­ta­go­ni­ste. Carey Mull­li­gan è Maud, ope­raia impie­gata in una lavan­de­ria della peri­fe­ria povera di Ben­thal Green,a East Lon­don. Come dice nella depo­si­zione di fronte ai par­la­men­tari di West­min­ster, figlia di padre ignoto, orfana a quat­tro anni, a sette si ritrova a lavare panni spor­chi per una delle più grosse lavan­de­rie della capi­tale. Ora ha 25 anni, spo­sata con un marito con­ser­va­tore (Ben Whi­shaw) anche lui impie­gato alla lavan­de­ria, vive in una una stanza, con un figlio pic­colo da man­te­nere. «Cosa importa a un’operaia come Maud del diritto di voto?» le chie­dono i par­la­men­tari. «Non lo so — risponde lei timi­da­mente — Non ho mai pen­sato che potesse acca­dere». E poi bisbi­glia: «Ma forse è possibile».
Le diverse sto­rie di donne si avvol­gono, in una strut­tura nar­ra­tiva com­patta da cui emerge il com­plesso pro­cesso d’emancipazione. Ragio­nato nella scrit­tura, risolto senza comizi o tro­vate spet­ta­co­lari, il film segue soprat­tutto le sto­rie d’ineguaglianza dell’epoca. Nella lavan­de­ria lo sanno tutti che il pro­prie­ta­rio abusa ses­sual­mente delle ope­raie, le ado­le­scenti sono le vit­time più fre­quenti. A casa i mariti ubria­chi pic­chiano le mogli, al lavoro a parità di ore, il sala­rio degli uomini è sem­pre il dop­pio, e nella fami­glia sono ancora loro a eser­ci­tare un diritto totale sui figli.
Maud è dop­pia­mente schiac­ciata, è povera ed è suc­cube del marito. La sua coscienza si risve­glia gra­zie alll’ amica atti­vi­sta Vio­let. Attra­verso gli occhi espres­sivi di Mul­li­gan, vul­ne­ra­bile e forte, il rac­conto dei soprusi, privo di sen­ti­men­ta­li­smo, assume una verità commuovente.
La regi­sta Sarah Gra­van segue l’organizzazione clan­de­stina di soli­da­rietà tra le donne che vogliono scar­di­nare il mec­ca­ni­smo di con­trollo e potere dei poli­tici di West­min­ster, e di una lotta fisica, men­tale este­nuante in cui l’operaia è accanto alla bor­ghese e all’aristocratica. Nel cast, tante bravi attrici inglesi, tra cui Anne-Marie Duff, l’operaia atti­vi­sta, o Helena Bon­ham Car­ter, far­ma­ci­sta che nel retro­bot­tega fab­brica le bombe. E non poteva mana­care Meryl Streep, nel ruolo della fem­mi­ni­sta sto­rica Emme­line Pan­khurst, che dal suo quar­tiere ari­sto­cra­tico infiamma gli animi.
La regi­sta usa la sua espe­rienza di docu­men­ta­ri­sta, per rico­struire la Lon­dra degli anni Venti con natu­ra­lezza e rea­li­smo. Come nelle car­to­line vin­tage, con l’accuratezza dei col­le­zio­ni­sti, gli oggetti sem­brano uscire dal Vic­to­ria and Albert Museum: le teiere di cera­mica, le car­roz­zine per neo­nati con le ruote grandi. Rivive Oxford Street con i primi auto­bus, le mac­chine dell’epoca, i suoi negozi e le strade affollate.
Suf­fra­gette riflette su un pezzo di sto­ria sco­no­sciuta, una lotta, che come testi­mo­niano i titoli di coda è ancora attuale. Su Time Out sono uscite le foto delle attrici del film con la una t-shirt bianca con su scritto: «I’d rather be a rebel than a slave» (Pre­fe­ri­sco essere un ribelle che uno schiavo). E il film nel suo omag­gio alle donne che hanno lot­tato per la parità dei diritti, diventa uno spunto di rifles­sione sul diritti vio­lati delle donne nel mondo.

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