E se al Quirinale salisse una presidenta? Sessismo e parole
Sindaca e ministra: qual è il femminile delle parole di potere?
Ingegnera, avvocata, ministra. Perché è corretto dirlo
In Argentina, la scorsa estate, sono rimasta immensamente stupita dal fatto che Cristina Fernández de Kirchner venga chiamata da tutti i media, senza colpo ferire, la presidenta e non la presidente (o tanto meno il presidente). Wikipedia in italiano così la descrive: è una politica e avvocato argentina. Wikipedia in spagnolo: una política, empresaria y abogada argentina.
Noi siamo ancora qui ad arrovellarci se chiamare le donne, con questa carica, la presidente o il presidente, mentre gli argentini con naturalezza, senza pensarci neanche un attimo, la chiamano proprio così, la presidenta. Sembra un po' stonato anche a me, che pur credo fermamente, da quando ho cominciato a fare questo mestiere, che se esistono la maestra, l'operaia e la parrucchiera, possano ben esistere anche la ministra, l'avvocata e l'assessora. Perché si arriccia il naso solo quando la signora in questione fa un mestiere importante? Se fino a qualche decennio fa non esistevano donne presidente, e ora ci sono, perché non deve cambiare il linguaggio? Eppure gli argentini non sono un popolo machista? Forse sì, ma meno di noi. E tra l'altro lì il matrimonio gay è legale.
Da noi invece pioggia di polemiche, qualche mese fa, quando Laura Boldrini ha scritto che è sempre più necessario «un adeguamento del linguaggio parlamentare al ruolo istituzionale, sociale e professionale assunto dalle donne nel pieno rispetto delle identità di genere». Quindi ministra, deputata, la presidente e via dicendo.
È dai tempi dell'università che vado studiando, anche se non con costanza, questo tema, da quando Annagrazia Papone mi fece tenere un seminario per la cattedra di Storia della Filosofia Moderna e Contemporanea, su questo argomento. Partì tutto dal fatto che nei paesi più evoluti esistevano cattedre e corsi di laurea in women's study. Proprio in quegli anni lessi il libro di Alma Sabatini, Il sessismo nella lingua italiana, Roma, Presidenza del Consiglio dei Ministri, 1987. Poi la collega Silvia Neonato - qualche mesetto fa - mi ha invitato a partecipare ad una tavola rotonda per i corsi di formazione dell'ordine dei giornalisti, intitolata Parole Tossiche, e ho buttato giù questi appunti.
Le parole sono pietre, se non sei nominata non esisti, chi più di noi giornalisti vive questa cosa tutti i giorni sulla propria pelle? Anche l'Accademia della Crusca lo ha capito: il neutro maschile fa dei danni alle donne, per essere vissute per quello che sono devono poter usufruire della loro desinenza femminile.
Non sono comunque d'accordo di imporre un uso del linguaggio a chi non ne vuole sapere o a chi non ci si sente dentro. L'uso della lingua non si può decidere dall'alto, non funziona. Sta al popolo dei parlanti scegliere come usarlo. Dieci anni fa - quando lavoravo ancora al Secolo XIX - era proibito scrivere dalla nostra inviata in quasi tutti i giornali italiani. Ora mi pare che nessuno si scandalizzi. Ecco, la lingua cambia e nessuno la può più fermare, prende le sue svolte, poi percorre lunghi rettilinei, va un po' in discesa e un po' in salita. Però la lingua che un paese parla testimonia la sua cultura e la sua evoluzione antropologica.
Parlando del mio ruolo, spesso mi chiedono se preferisco essere chiamata direttore o direttora. Io preferisco direttora. Però poi lascio scegliere all'interlocutore. Soprattutto quando si devono scrivere inviti o locandine, dove è richiesta la mia partecipazione. E mi diverto a vedere cosa le persone scelgono. Mi è capitato qualche tempo fa con un mio ex-caporedattore in pensione. «Preferisci che scriva direttrice o direttore?», mi ha chiesto. Ho risposto: «direttrice no, ti prego, semmai direttora». Lui ha ribattuto, «no, no, allora metto direttore». Ho detto: «vabbè, fai come vuoi». Poi lui ha fatto scrivere direttora.
Per esempio non mi ha mai trovato d'accordo la scelta di Marta Vincenzi, che ha preferito essere chiamata la sindaco di Genova, ma cosa vuol dire? La sindaca è italianissimo. Tra gli esempi del libro della Sabatini mi ricordo anche un ritaglio di giornale, con questo titolo ridicolo. «Il sindaco di Ferrara è incinta». Ma insomma cosa ci vuole a scrivere la sindaca è incinta?
Per quando riguarda la mia esperienza con i colleghi di mentelocale ho però imposto alcune regole, che mi sono state dettate dal mio aver vissuto a lungo a Londra. Come ormai si fa in tutta Europa, sulla nostra testata non appare mai la parola uomini per indicare il genere umano, semmai persone o esseri umani o semplicemente umani.
Spediamo 5 newsletter alla settimana dedicate a eventi, sagre, cinema e viaggi e abbiamo di fronte a noi decine di migliaia di persone più o meno equamente suddivise tra uomini e donne. Ci rivolgiamo direttamente a ogni iscritto: Ciao Paolo, Ciao Ilaria, Ciao Stefania, Ciao Giorgio. Potremmo forse trascurare il loro genere? Certo che no: e allora ci ritroviamo quotidianamente a districarci tra i paletti disseminati qua e là dalla lingua italiana, ricorrendo a parole e frasi che siano di genere neutro in tutto e per tutto (non semplicemente maschili con la funzione di neutro): espressioni come Sei mai stato a un concerto dei Rolling Stones? diventano Hai mai provato l'ebbrezza di vedere i Rolling Stones dal vivo?
Negli articoli è più difficile, ma sulla newsletter dove ci rivolgiamo a ogni singola persona, 160mila individui, mi sembra il minimo. Un altro esempio, preferiamo scrivere: Sei felice che è arrivata l'estate? Mai scriveremmo: Sei contento che è arrivata l'estate. E questo nostro modo di costruire le newsletter lo ha inventato un uomo, Giulio Nepi.
La prima volta che ho pensato alla necessità di usare la desinenza al femminile per i mestieri è proprio quando vivevo a Londra, parlando di lawers, teachers, ma anche di babysitters, essendo neutro in inglese, entrambi i sessi si sentono coinvolti nel linguaggio. Noi abbiamo il maschile e il femminile, e allora se una è donna e fa un mestiere che prima le donne non facevano, che cosa sarà mai mettere quella benedetta a! Suona male? Senti quanto è cacofonico ministra – me lo sono sentito ripetere mille volte – e allora maestra, non sono due parole quasi uguali?
Ripeto, non sono d'accordo nel trattare questo argomento ideologicamente, ma sono sicura che le cose stanno cambiando. Ci sono ancora tante resistenze e anche tante donne che mai rinuncerebbero a essere chiamate avvocato, come se il femminile svilisse la loro professione.
Fra una ventina d'anni si sorriderà di fronte a questi discorsi, li si vedrà vecchi e superati. E nessuno oserà più chiamare la presidente della camera signor presidente, come ha fatto Sandro Biasotti, ex governatore della Liguria, rivolgendosi alla Boldrini che si è incazzata, ribadendo che lei è la signora presidente.
Biasotti, non me ne voglia, ma fra dieci anni non lo dirà più neanche lei.
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