giovedì 19 giugno 2014

Dopo la strage di Motta Visconti, tutti i numeri della violenza sulle donne Giorgia Serughetti

Dati
Motta Visconti, Canicattini Bagni, gli ultimi casi di cronaca. Ma chi sono gli uomini che uccidono le donne? Il 70% italiani, il 58% fidanzati, mariti o ex. Il 30% degli assassini dopo l'omicidio si uccide. Due colpevoli su tre appartengono a una fascia sociale e culturale medio-alta

Un'altra donna uccisa, anzi due, anzi quattro. Da Motta Visconti nel Milanese a Canicattini Bagni in provincia di Siracusa, la mattanza che ogni anno conta decine di donne uccise non si ferma in questo 2014, dopo un 2013 da bollettino di guerra, con 134 casi di femminicidio in ambito familiare. Nel 2014 siamo a 38, ma il conto entro la fine dell'anno è destinato ad aumentare.

A uccidere sono uomini. Ma chi sono gli uomini che uccidono le donne? Secondo i dati elaborati della Casa delle donne di Bologna, basati sulla stampa nazionale e locale, nel 70% dei casi si tratta di italiani, nel 12% di est europei, e in prevalenza di uomini in età compresa tra 36 e 60 anni. Mariti, fidanzati ed ex formano insieme il 58% gli autori. Nel 2013, in quasi un caso su tre questi possedevano e hanno utilizzato un'arma da fuoco. Nel 30% dei casi, dopo l'omicidio si sono tolti la vita. L'impossibilità di accettare la fine della relazione è al primo posto tra i moventi dichiarati (16%), seguito motivi di liti (14%), gelosia (12%) e questioni economiche (8%).

Se invece parliamo, più in generale, di uomini violenti, possiamo guardare le statistiche di Telefono Rosa (rapporto Le voci segrete della violenza 2013) basate sui casi con cui l'organizzazione è entrata in contatto nell'anno passato. I maltrattanti risultano anche qui uomini di mezza età: il 58% del 
campione appartiene alle fasce d'età 35-44 
anni (29%) e 45-54 anni (29%). Ma è aumentato nel 2013 il segmento di violenti d'età superiore ai 55 anni: il 17% ha tra i 55 e i 64 anni e il 10% oltre 65 anni. C'è poi un 15% di violenti con età inferiore a 34 anni.

Non si tratta, come talvolta si sente dire, di persone di scarsa cultura, povere o marginali. Il 64% degli autori di violenza ha un grado d'istruzione 
medio-alto: il 44% è diplomato e il 20% è laureato.
 Fanno gli impiegati, anche di alto livello 
(17%), gli operai (16%) e i liberi professionisti (13%), ma anche gli infermieri, i vigili, 
i medici, gli agenti delle forze dell'ordine.

Stiamo parlando di “normalità”, dunque, almeno nel suo significato statistico. Ma questo non vuol dire che l'uccisione di una donna da parte di un partner o un ex sia un esito del tutto inaspettato e incontrollabile di relazioni “normali”. È vero che c'è una componente di imprevedibilità, legata a dinamiche delle relazioni di cui le persone vicine alla coppia, i servizi territoriali, le vittime stesse non sempre hanno piena consapevolezza. Ma decenni di studi permettono ormai di evidenziare alcuni fattori di rischio, spesso sottovalutati da chi opera nel settore, che potrebbero invece rappresentare importanti campanelli d'allarme.

Costanza Baldry, criminologa dell'Università di Napoli, nel suo Uomini che uccidono (2012) scritto insieme a Eugenio Ferraro della Questura di Roma, ne riporta una serie. Il rischio di commettere un femminicidio nella coppia aumenta per gli uomini (appartenenti a tutte le classi sociali) che attraversano difficoltà economiche o periodi di disoccupazione, che possiedono armi, che riportane precedenti penali (anche per crimini non violenti), che abusano di sostanze, che presentano varie forme di disturbi psicopatologici, in particolare depressione.

Ma è chiaro che non si tratta di fattori che causano di per sé la violenza omicida, mentre possono incrementarne il rischio in alcune persone e circostanze. Altrettanto importanti sono i vissuti familiari, come la violenza assistita da bambini e l'abuso subito. E certamente premonitori sono gli atteggiamenti di controllo ossessivo e di sorda e devastante gelosia dell'uomo nei confronti della partner.

Molto dipende, poi, dal tipo di relazione tra vittima e carnefice, dove il rischio di femminicidio aumenta con la diseguaglianza d'età tra l'uomo e la donna, e con la presenza di maltrattamenti fisici, psicologici e sessuali. La separazione è un fattore molto forte: tra il 30% e il 75% delle donne uccise dal partner o ex partner, secondo le ricerche citate da Baldry, si stavano separando o si erano già separate. Si tratta quindi, in molti casi, di una reazione alla perdita di controllo sulla donna, sui suoi movimenti e sulle sue decisioni, unita all'incapacità di accettare l'abbandono.

Anche la presenza di figli è un indicatore di rischio. Ed è difficile non crederlo mentre leggiamo i particolari raccapriccianti del triplice delitto della notte dei Mondiali in cui hanno perso la vita, sgozzati con un coltello, Maria Cristina Omes, 38 anni, la piccola Giulia di quasi 5 anni, e Gabriele di venti mesi appena. Succede che l'arrivo dei figli provochi una recrudescenza di atteggiamenti violenti, di controllo, di gelosia da parte del padre verso la madre. Succede anche che i minori diventino vittime loro stessi, uccisi dal per il desiderio di punire la madre o perché, semplicemente, rappresentano un peso. «Ma non le bastava il divorzio?», ha chiesto il magistrato a Carlo Lissi, il padre-marito assassino di Motta Visconti. «No. Con il divorzio i figli restano», ha risposto lui.

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