Fare un figlio ora è
una sfida di Chiara Saraceno
NON riprende
l'economia, non riprendono le nascite. La difficoltà a riprodurre il
capitale umano del nostro paese, nonostante il contributo degli
immigrati, è la conseguenza dell'impossibilità a dar corso al
desiderio di maternità e paternità sperimentata ormai da molti
giovani italiani
. L'incertezza sul fronte dell'occupazione costringe
a rimandare l'uscita dalla famiglia e i progetti per il futuro.
C'è
anche la consapevolezza che un figlio in più può mettere a rischio
economie famigliari fragili.
Per le donne, poi, ci sono due vincoli
in più: il rischio di non vedersi rinnovare un contratto dopo una
maternità e le difficoltà di conciliare cura dei figli e lavoro in
un paese dove i servizi per l'infanzia sono insufficienti e costosi,
le scuole a tempo pieno in via di riduzione e i calendari scolastici
ignari dei problemi di organizzazione famigliare. L'insieme di queste
difficoltà è forte nel Mezzogiorno, che ha oggi il primato
dell'area territoriale non solo più povera e a più bassa
occupazione femminile e a più alta presenza di NEET, ma anche a più
bassa fecondità.
A conferma che non è l'occupazione femminile a
comprimere le nascite, ma al contrario la mancanza di occupazione e
di possibilità di conciliarla i figli.
Un paese senza più
culle con 6 milioni di disoccupati così la crisi cambia l'Italia
ROMA . Niente lavoro,
niente figli: la crisi ha trasformato l'Italia nel paese dei
trentenni a spasso e delle culle vuote. Si vive più a lungo, ma con
sempre meno bambini in famiglia: negli ultimi cinque anni ci sono
state 64 mila nascite in meno e il 2013 ha segnato un nuovo record
negativo, i bambini registrati all'anagrafe sono stati solo 515 mila,
ancor peggio del già desolato minimo storico del 1995 (527 mila
nascite).
A cinquant'anni esatti dal picco massimo (il milione e 35
mila della classe 1964) la natalità si è dimezzata. Dunque siamo
fermi, la recessione è finita, ma non ce ne siamo accorti: ce lo
dicono i dati dell'ultimo Rapporto annuale Istat. Numeri che mettono
assieme calo demografico e disoccupazione giovanile e che spiegano
come, a lungo andare, non c'è rete familiare che tenga: se le nuove
generazioni non raggiungono l'indipendenza economica il paese va in
stallo.
In Italia, infatti ci sono 6,3 milioni di persone senza
lavoro e la povertà avanza, soprattutto al Sud e nelle famiglie più
giovani. Ma la generazione degli under 35, quella che oggi dovrebbe
pensare a far bambini è particolarmente sotto tiro: il rischio di
diventare povero è tre volte più alto della media. Fra di loro, nel
periodo 2008-2013 oltre 1,8 milioni di persone ha perso il posto di
lavoro. A trainare l'economia familiare spesso restano solo i nonni:
negli anni della crisi il potere d'acquisto medio è sceso del 10,4
per cento. Gli unici ad aver mantenuto stabile il livello di vita, al
di là dei bassi assegni, sono stati proprio i pensionati, che hanno
potuto contare su entrate stabili. Per il 2014, in termini di Pil, ci
sono segnali di «moderata» ripresa, fa notare l'Istat, «ma il
Paese dovrà valutare correttamente i punti di forza e di debolezza».
Ricchi
sempre più ricchi Crolla il reddito familiare
di Marco
Ventimiglia Milano
I numeri
hanno varie proprietà, compresa quella di tradurre in una lampante
evidenza situazioni che in realtà sono sotto gli occhi di tutti
nella vita di ogni giorno. Capita così che il rapporto sullo stato
delle famiglie italiane diffuso ieri da Bankitalia proponga
all'attenzione con statistica crudezza un fenomeno in atto da anni
nel nostro Paese, ovvero l'impoverirsi delle famiglie italiane e il
contemporaneo concentrarsi della ricchezza nelle mani di una
percentuale sempre più minoritaria di soggetti. MENO DI 640 EURO
Innanzitutto va sottolineato che lo studio di Via Nazionale è
relativo al periodo più cruento della crisi economica, poiché ad
essere preso in considerazione è il triennio 2010-2012. Una fase
nella quale le condizioni economiche dei nuclei familiari sono
peggiorate, senza se e senza ma. In particolare, il reddito familiare
medio è calato in termini nominali del 7,3 per cento, mentre quello
equivalente è sceso del 6%. A questa sequenza di segni meno
corrisponde inesorabilmente una serie di variazioni positive relative
alla povertà, che in termini generali risulta salita dal 14% del
2010 fino al 16% nel 2012. Va ricordato che la Banca d'Italia
individua la soglia di povertà in un reddito di 7.678 euro netti
all'anno, che diventano 15.300 nel caso di una famiglia composta da 3
persone (esempio classico quello di un figlio a carico). Dunque, un
italiano su sei vive ormai con meno di 640 euro al mese. Nel
contempo, come detto, cresce la disuguaglianza sociale. Via
Nazionale, infatti, ci informa nel suo rapporto che il 10% delle
famiglie più ricche possedeva nel 2012 il 46,6% delle ricchezza
netta familiare totale, una percentuale che invece era del 45,7% due
anni prima. Dall'indagine emerge inoltre che il 10% delle famiglie
con il reddito più basso percepisce il 2,4% del totale dei redditi
prodotti; di contro, il 10% di quelle con redditi più elevati
percepisce una quota del reddito pari al 26,3%. Ed ancora, la quota
di famiglie con ricchezza negativa è aumentata fino al 4,1% dal 2,8%
del 2010, mentre la concentrazione della ricchezza, è fissata al 64
per cento, in netto aumento rispetto al passato (era il 62,3% nel
2010 e il 60,7 nel 2008). Il 10% delle famiglie a più alto reddito
percepisce più di 55mila euro all'anno. E se la quota di famiglie
indebitate è leggermente diminuita rispetto al 2010, il 26,1% ha
almeno un debito per un ammontare medio di 51.175 euro (nel 2010
erano il 27,7% per un ammontare medio di 43.792 euro). Debiti che
nella maggior parte dei casi sono costituiti da mutui per l'acquisto
e per la ristrutturazione di immobili. L'indagine biennale della
Banca d'Italia fotografa un'Italia che nel 2012 è divenuta sempre
più anziana ed in cui sono aumentati i nuclei composti da una sola
persona (28,3% contro il 24,9% del 2010) e diminuite le coppie con
figli. Il reddito familiare annuo, al netto delle imposte sul reddito
e dei contributi sociali, risulta in media pari a 30.338 euro, circa
2.500 euro al mese. Ma il 20% delle famiglie ha un reddito netto
annuale inferiore a 14.457 euro (circa 1.200 euro al mese) mentre la
metà ha un reddito sotto i 24.590 euro (circa 2.000 euro al mese).
Nel dettaglio, il reddito familiare si compone per il 40% di reddito
da lavoro dipendente, per poco più di un quarto (27,5%) di reddito
da trasferimenti (pensioni, cig), per circa l'11% di reddito da
lavoro autonomo e per il restante 22% di reddito capitale (affitti,
rendite finanziarie). Un aspetto interessante dell'indagine è
relativo al cosiddetto reddito equivalente, ovvero il reddito di cui
ciascun individuo dovrebbe disporre se vivesse da solo per
raggiungere lo stesso tenore di vita che ha nella famiglia in cui
vive. Ebbene, nel 2012 questo risulta in media pari a circa 17.800
euro (1.500 euro al mese). Però si sale a circa 2.350 euro al mese
per i laureati, 2.700 euro per i dirigenti e 2.550 euro per gli
imprenditori, mentre per gli operai, i residenti nel Mezzogiorno e i
nati all'estero il reddito equivalente scende rispettivamente a
1.200, 1.100 e 950 euro al mese. In posizione intermedia si collocano
gli impiegati (1.900 euro), gli altri lavoratori autonomi (1.700
euro) e i pensionati (1.700 euro).
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