domenica 22 giugno 2014

«Noi, calciatrici, vi raccontiamo com’è scendere in campo nel Paese degli azzurri» di Federica Seneghini

«Quando andavo alle medie giocavo a calcio di nascosto. I miei compagni e i professori mi prendevano in giro, dicevano che ero un maschiaccio, che dovevo dedicarmi alla pallavolo perché ero una ragazza. Poi ho iniziato a fregarmene. Loro quando si sono accorti che sapevo calciare come i maschi ci sono rimasti quasi male. 
Lo scorso aprile con la Nazionale Under 17 siamo arrivate terze ai Mondiali ed è stata la mia rivincita». Carlotta Cartelli, 17 anni, si infila i guantoni da portiere. Lo sguardo concentrato, si aggiusta la maglia dentro i pantaloncini, si allaccia gli scarpini e si avvia verso la porta prima dell’amichevole Inter-Milan, a San Siro.
Del successo delle azzurrine in Costa Rica se ne sono accorti in pochi.

 Anche se nessuna Nazionale giovanile di calcio aveva mai vinto una medaglia ad un Campionato del Mondo. Autorità sugli spalti per la semifinale? Nessuna. La notizia sui giornali? Relegata in poche righe nelle brevi. Il premio in euro per essere salite su un podio mondiale? Zero. «Ci hanno pagato il viaggio e, dopo la finalina, ci hanno portato al mare per festeggiare», spiega Carlotta. «Ma è stata una emozione perché in Italia a vederci giocare non ci sono mai più di 100 persone, lì invece c’erano 30 mila spettatori».
 Nel Paese che impazzisce per gli azzurri, dove le uniche figure femminili che fanno notizia sono le fidanzate dei calciatori, se a scendere in campo sono le donne cambia tutto.

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