sabato 5 dicembre 2015

Mamma dai, me lo compri quel giocattolo? di Giovanna Badalassi

Quante volte le mamme si saranno sentite rivolgere questa domanda? E quante volte avranno ceduto? Dietro a questa semplice, innocente domanda si celano business miliardari, ingenti giri d’affari ma anche scelte di marketing che possono contribuire al superamento degli stereotipi di genere, o, al contrario, incentivarli ancora di più (possibile?).
Il mercato dei giocattoli nella UE è consistente: secondo una ricerca UE  il consumo di giochi valeva un giro di affari di 12,4 Miliardi di Euro nel 2008. Di questi 5,7 erano prodotti in Europa, 8 erano importati dall’Estero, mentre 1,4 erano esportati verso altri paesi. In Europa il business dei giocattoli occupa più di 100.000 persone e 2000 aziende. Non poco. 
Dietro a questa economia si celano diverse dimensioni di genere: le scelte delle mamme che sono le principali acquirenti di giocattoli per i figli, l’educazione dei bambini e delle bambine attraverso la scelta dei vari prodotti. E’ una vera “Gender Economy”!.
Una cosa è infatti certa: attraverso il gioco si tramanda una visione di identità di genere che non necessariamente corrisponde ai reali talenti e inclinazioni dei bambini e delle bambine. Maschi che giocano alle bambole e femmine con le ruspe sono da noi ancora un tabù.
Detto questo, chiediamoci se le aziende produttrici di giocattoli facciano solo il loro mestiere, cogliendo e accentuando le culture di genere locali dei vari paesi dei loro clienti, o se potrebbero avere anche una capacità educativa per la loro clientela. La risposta è chiara, ma la realizzazione in pratica difficile. Solo le aziende più illuminate sanno indirizzare i propri clienti piuttosto che accontentarli. Tocca quindi prima alle mamme e ai papà maturare la consapevolezza che anche la scelta dei giochi è un momento fondamentale di costruzione dell’identità dei bambini e delle bambine, poiché incide su un immaginario del sè infantile che ci accompagna poi per tutta l’età adulta.
In altri paesi la consapevolezza dei genitori è più matura, al punto che le case costruttrici di giocattoli propongono nei paesi più avanzati pubblicità di giochi neutre e non stereotipate, mentre in Italia, come ben dimostrato nell’articolo di Giulia Siviero su “il Post” sui giocattoli sessisti,  siamo ancora al rosa e alle mitragliette.
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Toys R Us, Catalogo svedese
Il cambiamento deve quindi partire dai genitori (e dai nonni!!!). Ogni tanto parte anche da bambine intraprendenti. Una ragazzina in UK ha criticato DC Comics perché non fa fumetti con Supereroine. La sua lettera, diventata virale, ha costretto Dc Comics a correre ai ripari e promettere di proporre anche supereroine donne, scoprendo così all’improvviso che stava lasciando scoperta una bella fetta di mercato di ragazzi. Buonismo dell’azienda? No! Puro marketing.
Se le aziende stanno cercando attraverso l’analisi di mercato di capire come sta cambiando la società nei vari paesi, è importante che anche noi consumatrici ne siamo consapevoli e che cerchiamo di comprendere bene la differenza nel gioco tra bambini e bambine.
Qual è quindi la situazione in Italia? Anche se crediamo di conoscerla, è importante aiutarci con  i numeri per capire meglio. 
La prima differenza tra maschie e femmine relativamente al gioco riguarda la diversa quantità di tempo libero che maschi e femmine possono dedicare a questa attività: in un giorno medio settimanale, le bambine tra i 3 e i 13 anni hanno 18’ in meno di tempo libero rispetto ai coetanei, quelle tra i 14 e i 19  ne hanno 47’ di meno. Pare quindi che le aspettative sociali di un maggiore impegno familiare per le donne siano talmente elevate e scontate che anche i modelli educativi in qualche modo si sono evoluti in una forma di addestramento delle bambine ad un maggiore sacrificio dedicato alle incombenze familiari o allo studio a scapito del tempo libero e del gioco. 
Una seconda differenza riguarda il genitore con il quale giocano i bambini. Tra madre e padre l’impegno nel gioco con i figli è molto differente: tra i bambini da 3 a 10 anni solo il 35% gioca tutti i giorni con il padre, il 57% invece con la madre. 
Ne consegue che la scelta dei giochi preferiti dai bambini e dalle bambine è fortemente influenzata dall’offerta di gioco da parte dei genitori. Tra i 6 e i 10 anni i maschi giocano infatti soprattutto a pallone (74,2%), ai videogiochi (65,8%), fanno giochi di movimento (51,1%), con le automobiline e i trenini (51,1%), mentre le preferenze delle bambine vanno al disegno (77,7%), alle bambole (67,6%), ai giochi di movimento (64,1%) e ai videogiochi (47,5%).
Certamente la scelta dei bambini e delle bambine è influenzata anche dalla caratterizzazione di genere contenuta nei giochi. Un caso di particolare sbilanciamento di genere al maschile si può osservare ad esempio nei videogiochi i quali, tra l’altro, rappresentano un importante canale di alfabetizzazione alle nuove tecnologie per i giovani. L’uso dei videogiochi è una prerogativa maschile per il 28,6% dei maschi contro il 14,8% delle femmine, con un picco nella fascia di età tra gli 11 e i 14 anni (l’83,5% dei ragazzi contro il 66,4% delle coetanee). D’altronde tale caratterizzazione di genere non può stupire se si pensa alla tipologia di offerta dei più famosi videogames. Basta a tal proposito osservare le copertine di quelli più famosi dove gli stereotipi di ruolo sono particolarmente marcati.
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Un’analisi di genere sulle caratteristiche fisiche e di ruolo dei protagonisti dei videogames condotta negli USA  conferma questa tendenza: su 67 personaggi analizzati, 55 erano uomini vestiti o parzialmente vestiti contro 12 donne. Gli uomini erano sempre protagonisti (19 personaggi), antagonisti (21), supporter (17), eroi (23), cattivi (23). Il ruolo comunque minoritario delle donne si esprimeva nel ruolo della supporter (13), abbinato o alternato con quello dell’assistente (8) e della persona salvata (5).

Quindi, mamme, papà e….nonni, la prossima volta che comprate un giocattolo pensateci bene! 

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