Il torto più grande che facciamo alle donne è quello di andare loro a dire che sono uguali agli uomini. Così facendo non le stiamo preparando alla realtà dei fatti che si troveranno davanti, le stiamo piuttosto imbarcando in una vita intera di sacrifici, delusioni e infelicità.
Gli uomini e le donne non sono uguali... sono diversi. Come le mele e le arance. Sì, siamo tutti frutti, ma solo con alcune di noi potrai preparare una torta di mele decente.
Tutta questa tiritera del cresci-le-tue-figlie-come-faresti-coi-tuoi-figli non ha alcun senso. Quand'è che abbiamo deciso che esiste un prototipo ideale d'essere umano, e che questo debba essere maschile? Allora perché nessuno cresce i propri figli come farebbe con delle figlie?
Molte donne della mia generazione sono state "cresciute come figli". Ci hanno mandato alle scuole e ai college migliori che i nostri genitori potevano permettersi. Non ci hanno semplicemente incoraggiato ad essere ambiziose, ma ci hanno insistito parecchio su. Ci è stato chiesto di sognare, e noi abbiamo sognato in grande. Ci è stato detto che avremmo potuto fare tutto quello che facevano gli uomini, e per un periodo di tempo incredibilmente lungo ci abbiamo anche creduto. Ci siamo prese dei buoni voti, ci siamo guadagnate i posti di lavoro più prestigiosi, e li abbiamo svolti bene. Ci siamo sposate gli uomini che ci siamo scelte, e loro ci hanno "permesso" di spiegare le ali in modi in cui le nostre madri non avrebbero mai potuto neanche sognarsi all'interno dei loro matrimoni.
E poi abbiamo avuto dei bebè.
Avere un figlio è la cosa più caratteristica del proprio genere che una donna possa fare -- e per quanto siano carini, i bebè afferrano qualunque idea tu possa esserti formata in merito all'uguaglianza fra uomo e donna, te la sbattono in testa finché non ti passa del tutto, e alla fine tu ti riduci a un mucchio di ormoni materni, nello stesso identico modo in cui è accaduto a innumerevoli altre donne prima di te. Solo che oggi è tutto molto peggio.
"Perché stiamo sempre lì a sperare che la madre se ne vada, alla ricerca d'ulteriori modi per trasformarla in una 'donna in carriera', mettendosi in fila per poter andare a svolgere tutte le attività che svolgono gli uomini?".
I bambini non hanno la minima idea del fatto che oggi, essendo nati nel ventunesimo secolo, dovrebbero trattare diversamente le proprie madri. Avere un figlio continua quindi a portare con sé il medesimo carico di lavoro: il parto resta un'impresa difficile, e gli impulsi biologici di una madre continuano a legarla al figlio con la stessa forza prevista dalla natura. Ma le nostre aspettative nei confronti delle donne adesso sono molto diverse. Perché in teoria loro dovrebbero essere degli uomini.
Ci si aspetta che siano degli uomini, ma non possono neanche smettere di esser donne. Ciò che ne consegue è che in India oggi la donna con le più alte competenze, la più istruita ed economicamente indipendente risulta anche terribilmente impreparata ad affrontare la propria realtà.
Tante delle battute che si fanno sul conto delle donne si basano sul presupposto che siano umorali, irrazionali, e che non sappiano mai ciò che che vogliono. In realtà la cosa non è per niente divertente -- perché in tutta onestà non abbiamo veramente idea di ciò che vogliamo. La natura ci ha programmato perché restassimo in quasi costante prossimità fisica dei nostri figli, dotandoci di un feroce istinto di protezione e nutrimento. Il capitalismo e la gamma delle sue definizioni di successo c'impongono di non assentarci dal lavoro e di darci sempre dannatamente da fare. I nostri genitori ci hanno detto che avremmo potuto essere i loro "figli", ma sarebbero proprio loro i primi ad allarmarsi se mai ci azzardassimo a trascurare le nostre abitazioni, i nostri figli, e se smettessimo d'essere le loro "figlie". Così siamo sempre, sempre lacerate.
Possiamo lottare quanto ci pare, ma contro la biologia il dibattito non lo vinceremo mai. Dov'è il riconoscimento dell'importanza del ruolo che una madre riveste all'interno di una casa nel periodo della crescita di un figlio? Perché trattiamo le madri come se all'interno della vita di un bambino fossero un elemento rimpiazzabile da un padre presente o da un sistema d'assistenza all'infanzia efficiente? Non si tratta di una questione di "genere", come invece direbbero alcune delle mie amiche femministe - l'effetto che il pianto di mio figlio esercita su di me non è lo stesso che avrebbe su suo padre. E se mi sfidate su questo tema sono pronta a scendere in guerra.
Com'è allora che non siamo disposti a riconoscere quest'aspetto essenziale dell'esser donna, e non lasciamo che entri a far parte della nostra realtà? Perché stiamo sempre lì a sperare che la madre se ne vada, alla ricerca d'ulteriori modi per trasformarla in una 'donna in carriera', mettendosi in fila per poter andare a svolgere tutte le attività che svolgono gli uomini?
Quand'ero piccola mia madre mi diceva spesso che avrei dovuto scegliere una carriera "adatta a una donna". Come quella di un'insegnante o di un medico in un ospedale pubblico - come lei - di modo che sarei potuta rincasare a un "orario decente", trovando del tempo libero da poter trascorrere, in generale, a casa. All'epoca il suggerimento mi mandava su tutte le furie, ma adesso mi suona come un consiglio terribilmente sensato. Di fronte a tutte le cose che oggi ho bisogno di fare, e voglio fare, se mi trovassi a svolgere un lavoro che non fosse in grado d'offrirmi questo genere di benefit, sarebbe un incubo - e infatti per tante donne lo è.
"[L]'effetto che il pianto di mio figlio esercita su di me non è lo stesso che avrebbe su suo padre. E se mi sfidate su questo tema sono pronta a scendere in guerra".
Mi trovo a lavorare all'interno di un settore che rappresenta a tutti gli effetti un baluardo dell'eguaglianza uomo-donna, con ampi margini per i propri dipendenti, fra i quali i benefit di maternità. Il mio capo è una persona eccezionalmente accomodante, che non solo mi permette di avere un lavoro, ma una carriera, con tutta la flessibilità di cui posso aver bisogno. Quando mi soffermo a riflettere su come io sia riuscita ad ottenere questo posto, la risposta è un po' una combinazione di mera, fortunata casualità con il fatto che, prima che avessi un figlio, nella mia carriera sono riuscita a compiere delle scelte piuttosto avventurose, finendo per acquisire una serie di capacità che oggi mi rendono preziosa agli occhi del datore di lavoro.
Gran parte di tutto questo è accaduto a causa di una felice coincidenza, ma in retrospettiva avrei tanto voluto che qualcuno mi avesse dato dei consigli, quando ancora ero intenta a valutare le mie alternative di carriera, o a programmare quelle che sarebbero state le mie mosse successive nell'ambito degli studi e nel mondo del lavoro. Avrei voluto che qualcuno m'avesse avvertito che in seguito sarebbe giunta una fase della vita in cui le decisioni da prendere nel corso della carriera avrebbero avuto ben poco a che fare con le mie priorità professionali, e tutto a che vedere con altre questioni prevalentemente non-negoziabili -- e che mi avessero spiegato come prepararmi.
Forse è arrivato il momento di presentare alle nostre figlie la verità su ciò che significa essere una donna, e insegnare loro a non doversene mai scusare.
Potremmo cominciare smettendola di negare loro le nostre differenze, e insegnando come affrontare la propria realtà. Cioè come riuscire ad essere economicamente indipendenti, trovando un lavoro che abbia un senso per sé, e che sia capace d'entusiasmarti, come avere la capacità di tenere sempre un piede dentro -- e allo stesso tempo come esser presenti per il proprio figlio, senza pestare così tanto sull'acceleratore da spezzare qualcosa, da qualche parte dentro di sé. Nella vita questa è una capacità essenziale, ma alle nostre ragazze nessuno gliela insegna.
Non si tratta di moderare l'ambizione, quanto di superare degli ostacoli. Però si tratta anche di fornire una definizione alternativa del concetto stesso d'ambizione, allineandola a ciò che le donne vogliono davvero - non a ciò che s'insegna loro ad anelare. D'individuare e ricavarsi degli spazi per se stesse man mano che le circostanze vanno mutando, d'esser consapevoli della propria biologia e di prepararsi al meglio a ciò che essa scaglierà loro contro, di saper chiedere aiuto man mano che le tradizionali strutture familiari si vanno disintegrando, di chiedere orari di lavoro flessibili, di saper formare le proprie capacità lavorative in modo tale da riuscire ad assicurarsi quel genere di flessibilità, di smetterla di sentire di doversi scusare quando ci si allontana [dal lavoro] o quando poi vi si ritorna nel momento in cui i nostri corpi e i nostri cuori ce lo chiedono, di non sentirsi obbligate a lottare contro i propri istinti naturali solo perché ci si ispira a un qualche prototipo ideale di donna in grado d'impegnarsi e di riuscire ad avere tutto ciò che vuole.
"Ma poi in realtà che c'è di male nei lavori "women friendly"? Se sono "friendly" nei confronti delle donne non dovrebbe forse essere una cosa buona?".
Nulla di quanto sopra serve a negare l'importanza della lotta per il riconoscimento delle pari opportunità e dei benefit di maternità da parte delle nostre istituzioni, né si tratta di un ragionamento che mira a spingere le ragazze a svolgere esclusivamente lavori "women friendly". Ma non sarebbe bello se, crescendo, sapessimo già di doverci un giorno trovare a combattere queste battaglie? Magari alcune di noi finirebbero per compiere altre scelte, e magari altre no. Però ciascuna di noi potrebbe prendere decisioni più informate.
Ma poi in realtà che c'è di male nei lavori "women friendly"? Se sono "friendly" nei confronti delle donne non dovrebbe forse essere una cosa buona?
Una mia amica si dice convinta che "offendendo il movimento femminista" io stia rendendo un pessimo servizio alle donne. Non sto facendo niente di simile. E - c'è da esserne grati - il movimento femminista è sufficientemente sfaccettato, e ha già trattato tutti questi aspetti in numerose opere... solo che noi ci siamo dimenticate di tutte le sue sottigliezze.
Sto semplicemente dicendo che ormai è una vita che ci siamo impegnate in questa battaglia, e ne stiamo scontando il prezzo -- lo scontiamo sulla nostra serenità interiore, sulla nostra sanità mentale, sui nostri rapporti e sulle nostre carriere. Noi non siamo uomini, noi vogliamo cose diverse da loro, e noi possiamo offrire cose diverse. Se non riconosceremo queste differenze non faremo altro che condannarci da sole al fallimento.
Un "bravo" padre è colui che è in grado di cambiare un pannolino sporco, e che si presenta agli incontri fra genitori e insegnanti della scuola di suo figlio. Invece a me non è mai capitato di sentire qualcuno che definisse "brava" una madre. Tutto ciò che le madri fanno non è altro che routine, uno standard, e non merita quindi alcuna menzione speciale. Ma se nei confronti dei nostri uomini abbiamo delle aspettative tanto basse, perché poi di fronte a noi stesse ci prefiggiamo degli standard talmente irraggiungibili? Dobbiamo smetterla di renderci martiri della nostra stessa causa, perché non è così che si vincono le cause. Vorrei tanto che la smettessimo d'appuntarci orgogliosamente sul petto le nostre vite stressate come se fossero medaglie al valore, e ci trattenessimo dall'attribuire tutto questo valore al principio del "multitasking".
Detto francamente, se proprio vogliamo essere come gli uomini, non dovremmo far altro che restarcene a casa dei nostri genitori, facendo il minimo indispensabile, dandoci da soli una pacca sulle spalle per il benché minimo successo, scaricando sugli altri la colpa di qualsiasi nostro fallimento, e andare a farci una birra.
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