mercoledì 24 dicembre 2014

La discriminazione non è un gioco

Quando parliamo degli stereotipi di genere e tentiamo di decostruirli e abbatterli, lo facciamo perchè siamo fermamente convinte che siano contemporaneamente specchio delle discriminazioni reali e causa del consolidamento della cultura patriarcale nella sua forma più esteriore.
Questo discorso vale forse ancora di più per quel che riguarda l’infanzia: l’entry point del consumo si è abbassato notevolmente negli ultimi anni e oggi ad avere in mano il mercato sono per lo più consumatori molto giovani o addirittura bambini. Programmi e film che una volta erano destinati a un pubblico adulto, oggi hanno un’utenza per lo più infantile o preadolescenziale: il cortocircuito comunicativo si sviluppa quando a questa utenza così giovane viene proposto un modello stereotipato, erotizzato ed oggettivizzato quanto quello dei loro genitori, anche per i prodotti da bambini.
Ovviamente uno degli ambiti più significativi è proprio quello dei giocattoli, dove più e meglio proliferano stereotipi di genere che, ben radicati nell’uso e nella “tradizione”, aiutano la cultura patriarcale ad affondare le proprie radici nel divertimento dei più piccoli, delle più piccole, che un giorno diventeranno donne e uomini ben addestrati.
Così, da Natale 2013 portiamo avanti la campagna “La discriminazione non è un gioco”
Lanciata per la prima volta nel 2012 dalle nostre amate compagne del Medusa Colectivo, in Cile, la riproponiamo in Italia perchè la troviamo particolarmente adatta al nostro contesto, e perchè ci rattrista e insieme ci rafforza l’idea che in Paesi così distanti si facciano le stesse lotte.
Del loro comunicato riprendiamo queste considerazioni
“Noi usciamo dal binomio maschio/femmina perchè siamo esseri umani, non siamo frammentati e non possiamo continuare a crescere incasellati in ruoli assegnatoci ( tra i quali il maschile è sempre un ruolo di dominazione rispetto al femminile ).
Infine, vogliamo che le nostre relazioni obbediscano solo al desiderio e al piacere, questo proponiamo, usciamo dai ruoli imposti ( l’amore romantico, l’esclusività, il “per sempre”, la eteronormativtà, il sacrificio, la colpa e la stigmatizzazione della maternità ) dando un nuovo significato alla nostra soggettività e a questa forma di ribellarci alle imposizioni patriarcali, permettendoci di sentire, pensare e creare liberamente, recuperare il nostro corpo per disegnare le nostre proprie vite.”
E a queste uniamo le nostre.
In questi ultimi anni abbiamo monitorato la comunicazione nell’ottica di genere e ci siamo rese conto di quanto radicati siano stereotipi e discriminazioni nell’industria dell’infanzia.
Abbiamo realizzato un’inchiesta sui cataloghi di giocattoli dell’anno passato, Infanzia Made in Italy, rilevando in particolare quattro caratteristiche comuni a quasi tutta la produzione
Una netta distinzione degli articoli “da femmina” dal resto del mondo maschile o “neutro”.
I giochi da bambina normalmente sono rosa in tutte le sue sfumature, dalle forme arrotondate e poco serie, brillanti e vezzosi.
Ci sono giochi da bambina e giochi da bambino e poi un territorio neutro, comunque caratterizzato al maschile, come se le piccole potessero trovare se stesse solo in un certo tipo di giochi.
I giocattoli sono “da femmina” o “da maschio” secondo severe categorie di differenziazione dei ruoli, inculcando una specie di predestinazione biologica: alle bambine sono riservati tutti i giochi di simulazione di cura della casa e della famiglia con tutte le derivazioni volte comunque all’ “istinto di accudimento” ( sempre rosa e con foto di bambine sulle confezioni ), ai bambini i giochi di simulazione del lavoro, prevalentemente virile cioè caratterizzato per successo sociale o forza fisica.
I giochi “neutri”, di tipo scientifico tecnologico, sono spesso caratterizzati dalle foto di soli maschi sulle confezione. Anche quando invece il gioco è destinato ad entrambi i generi, esiste ancora più spesso una “versione femminile”, dove di nuovo ritornano i colori rosa, si abbassa il livello delle conoscenze richieste, cambiano gli ambiti di apprendimento ( relegati spesso nel mondo dell’estetica: trucco, gioielli, vestiti ).
Tra i giochi per bambine, molti veicolano un modello estetico imperante, fatto di make up anche per piccolissime e di canoni estetici fuorvianti e innaturali. Bambole sottili, dalle labbra turgide e gli occhi truccatissimi. Giochi ritenuti creativi che insegnano alle bambine dai 3 anni in su a truccarsi e “farsi belle”.
Per questo, con l’avvicinarsi dell’evento più consumista dell’anno, ci siamo chieste: che genere di gioco regalare?
Le bambine che giocano a fare la mamma, la moglie, la massaia e poi appena più grandi sognano di diventare come scheletriche bambole dalla proporzioni assurde o di valorizzarsi solo col trucco e la moda.
I bambini che imparano a giudicarsi e giudicare secondo il binomio maschio/femmina, forza/debolezza, semplicità/vanità.
L’apprendimento a due binari, distinti per temi e velocità.
La contrapposizione rosa/azzurro, due mondi inconciliabili persino nel gioco.
Decidiamo di no.
Nei negozi di giocattoli di diverse città italiane, abbiamo lanciato la campagna “La discriminazione non è un gioco”: consiste nell’attaccare degli adesivi sui giocattoli che rispecchino una delle quattro caratteristiche elencate sopra, per aiutare chi compra a capire bene cosa sta acquistando, cioè sessismo, discriminazione, stereotipi.

Medusa1
Uno aiuta a sottolineare la differenziazione di genere di alcuni giochi di simulazione del lavoro “dei grandi”: solo i maschi possono giocare con le ruspe, solo le femmine con gli intrecciacapelli.

medusa2
L’altro sottolinea i giochi che vendono canoni estetici innaturali, costituendo quel modello impossibile che, insegnato fin da piccole, è uno dei motivi della scarsa autostima e considerazione di sè di molte donne.

Medusa4
Il terzo invece si va a posare su tutti quei giochi “di accudimento” rigorosamente per femmine, perchè per tirare su un esercito di donne “multitasking” è bene addestrarle fin da piccole.

Gli adesivi sono gli stessi della campagna cilena del collettivo Medusa, tradotti in italiano e con la speranza che sia sempre più possibile fare rete tra realtà così lontane eppure tanto vicine.
Per lo stesso motivo, aspettiamo sempre fiduciose le foto di chi volesse partecipare alla campagna.
Gli adesivi potete scaricarli direttamente da questo post salvando l’immagine, stamparli in copisteria e… aspettiamo le vostre foto!


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