mercoledì 17 dicembre 2014

Un muro di gomma: risposta a Luisa Muraro di Barbara Bonomi Romagnoli

Tornare a casa entusiasta e piena di senso per il futuro, dopo tre giorni di Convegno nazionale dal titolo “Archivi dei sentimenti e culture femministe dagli anni Settanta a oggi” , e leggere le dichiarazioni di Luisa Muraro è come andare a sbattere contro un muro di gomma. E davvero non se ne può più.
Per questo mi associo con passione alle parole dette da Luisa Pronzato e Elena Tebano.
Essere femministe significa prima di tutto voler cambiare, insieme, un mondo che non ci piace, da decenni. Molto è stato fatto dalle donne arrivate prima di me, nata nel 1974, e molto altro lo stanno facendo le mie coetanee e quelle più giovani. Solo che non si sa, lo si racconta poco o male, e soprattutto c’è molta resistenza da parte di molte delle donne che hanno fatto le lotte degli anni Settanta a voler riconoscere autorevolezza, posizionamento politico e spazi di visibilità a chi è venuta dopo di loro. Il risultato di questo mancato riconoscimento è sotto gli occhi di tutte: si afferma sempre più una mentalità puramente emancipazionistica e per niente liberatoria, spesso moralista e fintamente non sessista, con giovani donne e giovani uomini che non percepiscono quanto si stia tornando indietro sul piano delle conquiste e dei diritti che, sappiamo bene, non sono acquisiti per sempre.
Dire che le donne delle nuove generazioni «danno lustro a una baracca che sta crollando. Manca in loro una vera volontà di affermarsi se non come puntelli, riflessi, eterne seconde, manca un protagonismo di qualità”, per usare le parole di Muraro e di chi condivide il suo stesso sguardo, lo trovo offensivo, arrogante e superbo, ed è curioso che una delle “madri” della differenza non distingua fra donne e faccia di tutta l’erba un fascio. Senza il minimo sforzo per andare a vedere cosa succede nella realtà, fuori dal salotto delle illuminate.
Con Luisa Muraro non abbiamo mai avuto contatti diretti, la conosco perché ho letto e studiato i suoi testi e per averla ascoltata in incontri pubblici, su molte cose mi sono ritrovata, su molte altre ho elaborato un pensiero critico.
Lei sicuramente non può accostare un volto al mio nome e probabilmente non sa nemmeno che sono l’autrice di un recente testo che cerca di fare una prima mappatura dei femminismi in Italia dal Duemila a oggi
Non lo dico per farmi pubblicità ma per farle presente e ricordarle che le femministe del nuovo millennio non sono le donne cooptate dal capo che accettano i ruoli di ministra o altro, ma sono le centinaia, migliaia, di donne che da anni agiscono pratiche politiche femministe radicali, che nulla hanno a vedere con le donne dei partiti e delle istituzioni(che guardacaso spesso si riferiscono al “pensiero della differenza” come loro fonte di ispirazione), che sono “irriverenti e libere” perché non intendono aderire/riverire a nessun partito/chiesa/dogma tanto più se questo dogma è di stampo femminista.
Sono donne irriverenti e libere, perché sono corpi politici scomodi anche per i movimenti misti e la sinistra radicale; perché sono sconvenienti nel parlare di post porno e prostituzione, insistenti nel dire che c’è un intreccio enorme fra sessismo/razzismo sul tema della violenza ma non solo; insolenti quando serve, allergiche al politicamente corretto ma anche alle pratiche del maternage, dell’affidamento e delle madri simboliche, perché la politica delle donne è certamente diversa da quella degli uomini ma non è una sola.
Sono donne diverse per età, classe, colore, formazione, donne biologiche e non, donne queer/post/trans/iperfemministe perché sono partite dalle loro differenze per mettere in discussione anche il potere – nodo mai risolto – presente nelle relazioni fra donne, ogni qual volta si è ricreato un sistema di gerarchie identico a quello che si voleva combattere. Ammesso e non concesso che siamo “eterne seconde”, lo siamo perché le “eterne prime” non mollano l’osso, non provano a fare neanche un passo laterale.
Le donne irriverenti e libere degli ultimi 15 anni parlano al plurale e mai in assoluto. Hanno messo di nuovo al centro la sessualità e tutto quello che ruota attorno ad essa in un momento di moralismo imperante e di pericolosa alleanza con un Papa che fa semplicemente il lavoro suo, mentre le voci laiche latitano o sono completamente affascinate da un gesuita che ha studiato marketing molto più di noi femministe.
Detto tutto questo, credo che la chiusura di uno spazio autonomo di riflessione sia sempre una perdita. Per tutte e tutti. Ma in questo spazio di vuoto che si apre dopo la fine di Via Dogana mi permetto di suggerire a Muraro di ascoltare queste molteplici e numerose voci, provare a imparare da loro come noi, nate dopo la grande stagione del ’68, abbiamo imparato anche dalle pratiche di tante donne che non hanno mai abbracciato il pensiero della differenza e che sono state rese invisibili dalle donne che – nei media, nei partiti, nelle istituzioni – hanno fatto del pensiero della differenza l’unico femminismo in Italia con la F maiuscola.
Sostiene Cigarini: “Non siamo rimaste indietro, siamo andate troppo avanti”. Ma quale sarebbe questo avanti? In che cosa consisterebbe?

A Firenze in questi giorni ho imparato a non accentuare il conflitto generazionale, perché è vero che i nuovi femminismi sono abitati anche dalle donne delle generazioni precedenti e perché oggi siamo tutte (e tutti) meno fortunate e più povere e precarie con nessuna amica che può darci 20mila euro per realizzare un nostro desiderio, ma questo non significa pacificare o tacitare un conflitto fra un “noi” e “voi” che ritorna ogni qualvolta si annulla la pluralità delle differenze e viene meno la pratica del rispetto e riconoscimento reciproco.

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