Tornare
a casa entusiasta e piena di senso per il futuro, dopo tre giorni di
Convegno nazionale dal titolo “Archivi dei sentimenti e culture
femministe dagli anni Settanta a oggi” , e leggere le dichiarazioni
di Luisa Muraro è come andare a sbattere contro un muro di gomma. E
davvero non se ne può più.
Per
questo mi associo con passione alle parole dette da Luisa Pronzato e
Elena Tebano.
Essere
femministe significa prima di tutto voler cambiare, insieme, un mondo
che non ci piace, da decenni. Molto è stato fatto dalle donne
arrivate prima di me, nata nel 1974, e molto altro lo stanno facendo
le mie coetanee e quelle più giovani. Solo che non si sa, lo si
racconta poco o male, e soprattutto c’è molta resistenza da parte
di molte delle donne che hanno fatto le lotte degli anni Settanta a
voler riconoscere autorevolezza, posizionamento politico e spazi di
visibilità a chi è venuta dopo di loro. Il risultato di questo
mancato riconoscimento è sotto gli occhi di tutte: si afferma sempre
più una mentalità puramente emancipazionistica e per niente
liberatoria, spesso moralista e fintamente non sessista, con giovani
donne e giovani uomini che non percepiscono quanto si stia tornando
indietro sul piano delle conquiste e dei diritti che, sappiamo bene,
non sono acquisiti per sempre.
Dire
che le donne delle nuove generazioni «danno lustro a una baracca che
sta crollando. Manca in loro una vera volontà di affermarsi se non
come puntelli, riflessi, eterne seconde, manca un protagonismo di
qualità”, per usare le parole di Muraro e di chi condivide il suo
stesso sguardo, lo trovo offensivo, arrogante e superbo, ed è
curioso che una delle “madri” della differenza non distingua fra
donne e faccia di tutta l’erba un fascio. Senza il minimo sforzo
per andare a vedere cosa succede nella realtà, fuori dal salotto
delle illuminate.
Con
Luisa Muraro non abbiamo mai avuto contatti diretti, la conosco
perché ho letto e studiato i suoi testi e per averla ascoltata in
incontri pubblici, su molte cose mi sono ritrovata, su molte altre ho
elaborato un pensiero critico.
Lei
sicuramente non può accostare un volto al mio nome e probabilmente
non sa nemmeno che sono l’autrice di un recente testo che cerca di
fare una prima mappatura dei femminismi in Italia dal Duemila a oggi
Non
lo dico per farmi pubblicità ma per farle presente e ricordarle che
le femministe del nuovo millennio non sono le donne cooptate dal capo
che accettano i ruoli di ministra o altro, ma sono le centinaia,
migliaia, di donne che da anni agiscono pratiche politiche femministe
radicali, che nulla hanno a vedere con le donne dei partiti e delle
istituzioni(che guardacaso spesso si riferiscono al “pensiero della
differenza” come loro fonte di ispirazione), che sono “irriverenti
e libere” perché non intendono aderire/riverire a nessun
partito/chiesa/dogma tanto più se questo dogma è di stampo
femminista.
Sono
donne irriverenti e libere, perché sono corpi politici scomodi anche
per i movimenti misti e la sinistra radicale; perché sono
sconvenienti nel parlare di post porno e prostituzione, insistenti
nel dire che c’è un intreccio enorme fra sessismo/razzismo sul
tema della violenza ma non solo; insolenti quando serve, allergiche
al politicamente corretto ma anche alle pratiche del maternage,
dell’affidamento e delle madri simboliche, perché la politica
delle donne è certamente diversa da quella degli uomini ma non è
una sola.
Sono
donne diverse per età, classe, colore, formazione, donne biologiche
e non, donne queer/post/trans/iperfemministe perché sono partite
dalle loro differenze per mettere in discussione anche il potere –
nodo mai risolto – presente nelle relazioni fra donne, ogni qual
volta si è ricreato un sistema di gerarchie identico a quello che si
voleva combattere. Ammesso e non concesso che siamo “eterne
seconde”, lo siamo perché le “eterne prime” non mollano
l’osso, non provano a fare neanche un passo laterale.
Le
donne irriverenti e libere degli ultimi 15 anni parlano al plurale e
mai in assoluto. Hanno messo di nuovo al centro la sessualità e
tutto quello che ruota attorno ad essa in un momento di moralismo
imperante e di pericolosa alleanza con un Papa che fa semplicemente
il lavoro suo, mentre le voci laiche latitano o sono completamente
affascinate da un gesuita che ha studiato marketing molto più di noi
femministe.
Detto
tutto questo, credo che la chiusura di uno spazio autonomo di
riflessione sia sempre una perdita. Per tutte e tutti. Ma in questo
spazio di vuoto che si apre dopo la fine di Via Dogana mi permetto di
suggerire a Muraro di ascoltare queste molteplici e numerose voci,
provare a imparare da loro come noi, nate dopo la grande stagione del
’68, abbiamo imparato anche dalle pratiche di tante donne che non
hanno mai abbracciato il pensiero della differenza e che sono state
rese invisibili dalle donne che – nei media, nei partiti, nelle
istituzioni – hanno fatto del pensiero della differenza l’unico
femminismo in Italia con la F maiuscola.
Sostiene
Cigarini: “Non siamo rimaste indietro, siamo andate troppo avanti”.
Ma quale sarebbe questo avanti? In che cosa consisterebbe?
A
Firenze in questi giorni ho imparato a non accentuare il conflitto
generazionale, perché è vero che i nuovi femminismi sono abitati
anche dalle donne delle generazioni precedenti e perché oggi siamo
tutte (e tutti) meno fortunate e più povere e precarie con nessuna
amica che può darci 20mila euro per realizzare un nostro desiderio,
ma questo non significa pacificare o tacitare un conflitto fra un
“noi” e “voi” che ritorna ogni qualvolta si annulla la
pluralità delle differenze e viene meno la pratica del rispetto e
riconoscimento reciproco.
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