mercoledì 25 marzo 2015

A vent’anni da Pechino siamo ancora noi a dover cambiare le cose di Giovanna Martelli

È un incrocio di storie e di volti l’immagine che porto da New York, dove dal 9 al 20 marzo, presso la sede delle Nazioni Unite, si è tenuta la 59° sessione della Commissione sullo Status delle donne.
Sono le storie delle donne che raccolgono la sfida contemporanea e conducono da anni lotte per contrastare pratiche primitive di mutilazione e di compra-vendita delle ragazze. Pratiche che ci impediscono di vivere l’affettività con piacere pieno e completo in una relazione alla pari con i nostri compagni di vita. Sono i nostri volti che credono ancora nell’utopia dei racconti di Charlotte Perkins e delle nostre narrazioni di società ben coltivata e che cresce con una linfa femminile piena delle emozioni e delle caratteristiche delle donne.
Le tante donne che ho incontrato alle Nazioni Unite hanno scelto la Politica come spazio per farci avanzare nella vita pubblica e lo fanno con coraggio, emozione e determinazione riconoscendo nella resilienza lo strumento migliore per incidere anche là dove sembra impossibile.
Oggi queste storie e questi volti sono più importanti che mai: a vent’anni da Pechino quando il tema dell’empowerment all’insegna del gender mainstreaming si è arenato.
Dopo il secolo dell’emancipazionismo e dell’affermazione del valore della differenza di genere, occorre lanciare un nuovo femminismo, della terza ondata, capace di costruire una democrazia realmente paritaria.
Il Segretario Generale dell’Onu, Ban Ki Moon, aprendo i lavori ha richiamato l’attenzione proprio su questo punto: non si tratta più solo di guardare con favore alle singole donne che accedono a posizioni apicali e di successo ma di costruire un percorso collettivo affinché tutte le donne possano accedere a ogni livello di una società che sempre più investa nelle “capacitazioni” di tutti, uomini e donne.
L’incontro di New York mi ha lasciato un’altra forte convinzione, quella per cui, nonostante gli importanti passi in avanti, molto lavoro ancora ci attende. Dal punto di vista teorico la Convenzione di Istanbul del 2011 è stata uno spartiacque decisivo, essa ha sancito che la violazione dei diritti delle donne si iscrive a pieno diritto all’interno della violazione dei diritti umani. Da qui dobbiamo proseguire: a livello internazionale e nella relazione tra Stati dobbiamo insistere affinché tutti i Paesi adeguino le loro politiche ai principi del rispetto della persona umana dotandosi e rafforzando apparati sanzionatori e repressivi rispetto alla violazione dei diritti individuali. Nelle politiche interne bisogna affiancare alle misure di contrasto ad ogni forma di violenza quelle sul rilancio del lavoro delle donne.
Ora serve un mutamento di paradigma: l’investimento nel lavoro delle donne è una misura anti-ciclica capace di rimettere in moto l’economia dopo anni di recessione e politiche di austerity, su questo ormai la maggior parte degli analisti concorda, non si tratta solo di giustizia sociale ma di prospettive di crescita perché più donne lavorano, più aumenta la natalità, più aumentano servizi e consumi connessi ad una crescita interna di comunità operose che riconoscono le capacità reali delle donne e degli uomini in una reale valorizzazione del fattore umano.
Il Fondo Monetario Internazionale, recentemente, sui danni del sessismo, è stato chiaro: in più di 40 nazioni, tra cui molte ricche e avanzate, per effetto delle discriminazioni contro le donne si perde molta ricchezza potenziale e se in Italia il tasso di partecipazione femminile al mercato del lavoro fosse portato allo stesso livello di quella degli uomini, il Prodotto Interno Lordo guadagnerebbe oltre 10 punti percentuali.
Cosa aspettiamo allora?
Tocca a noi donne metterci al centro dell’agenda politica, raccogliere la sfida della contemporaneità, dare senso alla nostra presenza nella politica e nelle istituzioni, superare le barriere delle appartenenze e costruire proposte comuni dove l’educazione di genere è una responsabilità collettiva e la capacità di ognuna di noi contribuisca a cambiare questo Paese con la medesima misura, a prescindere dal ruolo che rivestiamo.
Il presente e il futuro possono essere nostri credendoci e riconoscendoci in quelle storie e in quei volti di donne emozionate, coraggiose e determinate.



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