È
un incrocio di storie e di volti l’immagine che porto da New York,
dove dal 9 al 20 marzo, presso la sede delle Nazioni Unite, si è
tenuta la 59° sessione della Commissione sullo Status delle donne.
Sono
le storie delle donne che raccolgono la sfida contemporanea e
conducono da anni lotte per contrastare pratiche primitive di
mutilazione e di compra-vendita delle ragazze. Pratiche che ci
impediscono di vivere l’affettività con piacere pieno e completo
in una relazione alla pari con i nostri compagni di vita. Sono i
nostri volti che credono ancora nell’utopia dei racconti di
Charlotte Perkins e delle nostre narrazioni di società ben coltivata
e che cresce con una linfa femminile piena delle emozioni e delle
caratteristiche delle donne.
Le
tante donne che ho incontrato alle Nazioni Unite hanno scelto la
Politica come spazio per farci avanzare nella vita pubblica e lo
fanno con coraggio, emozione e determinazione riconoscendo nella
resilienza lo strumento migliore per incidere anche là dove sembra
impossibile.
Oggi
queste storie e questi volti sono più importanti che mai: a
vent’anni da Pechino quando il tema dell’empowerment all’insegna
del gender mainstreaming si è arenato.
Dopo
il secolo dell’emancipazionismo e dell’affermazione del valore
della differenza di genere, occorre lanciare un nuovo femminismo,
della terza ondata, capace di costruire una democrazia realmente
paritaria.
Il
Segretario Generale dell’Onu, Ban Ki Moon, aprendo i lavori ha
richiamato l’attenzione proprio su questo punto: non si tratta più
solo di guardare con favore alle singole donne che accedono a
posizioni apicali e di successo ma di costruire un percorso
collettivo affinché tutte le donne possano accedere a ogni livello
di una società che sempre più investa nelle “capacitazioni” di
tutti, uomini e donne.
L’incontro
di New York mi ha lasciato un’altra forte convinzione, quella per
cui, nonostante gli importanti passi in avanti, molto lavoro ancora
ci attende. Dal punto di vista teorico la Convenzione di Istanbul del
2011 è stata uno spartiacque decisivo, essa ha sancito che la
violazione dei diritti delle donne si iscrive a pieno diritto
all’interno della violazione dei diritti umani. Da qui dobbiamo
proseguire: a livello internazionale e nella relazione tra Stati
dobbiamo insistere affinché tutti i Paesi adeguino le loro politiche
ai principi del rispetto della persona umana dotandosi e rafforzando
apparati sanzionatori e repressivi rispetto alla violazione dei
diritti individuali. Nelle politiche interne bisogna affiancare alle
misure di contrasto ad ogni forma di violenza quelle sul rilancio del
lavoro delle donne.
Ora
serve un mutamento di paradigma: l’investimento nel lavoro delle
donne è una misura anti-ciclica capace di rimettere in moto
l’economia dopo anni di recessione e politiche di austerity, su
questo ormai la maggior parte degli analisti concorda, non si tratta
solo di giustizia sociale ma di prospettive di crescita perché più
donne lavorano, più aumenta la natalità, più aumentano servizi e
consumi connessi ad una crescita interna di comunità operose che
riconoscono le capacità reali delle donne e degli uomini in una
reale valorizzazione del fattore umano.
Il
Fondo Monetario Internazionale, recentemente, sui danni del sessismo,
è stato chiaro: in più di 40 nazioni, tra cui molte ricche e
avanzate, per effetto delle discriminazioni contro le donne si perde
molta ricchezza potenziale e se in Italia il tasso di partecipazione
femminile al mercato del lavoro fosse portato allo stesso livello di
quella degli uomini, il Prodotto Interno Lordo guadagnerebbe oltre 10
punti percentuali.
Cosa
aspettiamo allora?
Tocca
a noi donne metterci al centro dell’agenda politica, raccogliere la
sfida della contemporaneità, dare senso alla nostra presenza nella
politica e nelle istituzioni, superare le barriere delle appartenenze
e costruire proposte comuni dove l’educazione di genere è una
responsabilità collettiva e la capacità di ognuna di noi
contribuisca a cambiare questo Paese con la medesima misura, a
prescindere dal ruolo che rivestiamo.
Il
presente e il futuro possono essere nostri credendoci e
riconoscendoci in quelle storie e in quei volti di donne emozionate,
coraggiose e determinate.
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