Siamo
tornate a Roma da New York ma non siamo tornate contente.
L’appuntamento
annuale alle Nazioni Unite per la Csw (Commission on the Status of
Women) quest’anno era molto importante, poiché sono trascorsi
vent’anni dalla storica Conferenza delle donne di Pechino che
delineò una Piattaforma d’azione per traghettare le donne e le
ragazze di tutto il mondo verso il pieno godimento dei propri
diritti.
Le
organizzazioni e le migliaia di donne presenti, rappresentanti della
società civile, si aspettavano molto da questo 59esimo incontro al
Palazzo di vetro e invece…
Siamo
tornate profondamente preoccupate per la debolezza della
Dichiarazione politica adottata dalla Csw e del documento di
accompagnamento sui Metodi di lavoro, ma anche per l’esclusione
della società civile dai lavori per la Dichiarazione finale. Lavori
che si sono svolti a porte chiuse.
Se
infatti l’Onu ha dichiarato orgogliosamente che nel 2030 si
raggiungerà la parità di genere, sono migliaia le Ong e le
associazioni femministe che hanno denunciato come, per la prima
volta, gli Stati Membri abbiano approvato la Dichiarazione politica
fin dal primo giorno senza alcun confronto con le rappresentanti
della società civile presenti a New York. Ma sopratutto, a questa
mancata trasparenza, si aggiunge il contenuto debole del documento
finale.
Nella
Dichiarazione politica i governi “si impegnano a intraprendere
ulteriori azioni concrete per assicurare la piena, effettiva,
accelerata implementazione della Dichiarazione di Pechino e della
Piattaforma di azione”. Ecco, diciamo che ci sembra molto poco,
sopratutto pensando che venti anni fa la Conferenza di Pechino aveva
aperto una nuova strada. La Dichiarazione finale del 1995, adottata
da 189 paesi, era il primo impegno formale da parte di stati,
governi, forze economiche, politiche, sociali e culturali per la
valorizzazione del ruolo delle donne come agenti di trasformazione
per lo sviluppo sostenibile.
Non
mettiamo in dubbio che in questi due decenni siano stati fatti passi
avanti, ma la strada verso una reale parità di genere è ancora
lunga e faticosa. E non possiamo certo aspettare il 2030. Pensiamo
solo alle questioni macroscopiche come il mancato raggiungimento
della parità salariale, il numero di femminicidi e le varie forme di
violenza che continuano ad essere praticate: matrimoni precoci e/o
forzati, mutilazioni genitali femminili, il mancato accesso alla
salute e ai diritti sessuali e riproduttivi.
Questo
documento finale impiega un linguaggio fiacco e le omissioni sono più
lampanti delle dichiarazioni: non si parla di diritti umani delle
donne, di diritti sessuali e riproduttivi e neppure del concetto di
uguaglianza di genere. La Dichiarazione non illustra chiaramente
quali siano i meccanismi di trasparenza e responsabilità; non parla
di impegni concreti per quanto riguarda le risorse destinate a
superare gli ostacoli che impediscono la realizzazione della parità
tra donne e uomini. Questo è un grave arretramento rispetto al
lavoro fatto e alle Dichiarazioni adottate dalle passate Conferenze
internazionali, che hanno invece dato ai governi una direzione per
lavorare sui diritti politici, economici, sociali, ambientali e di
genere.
La
consueta tradizione delle Nazioni Unite che vedeva una consultazione
e partecipazione aperta di organizzazioni della società civile è
stata già di per sé un chiaro segnale. Partecipiamo alla Csw per
monitorare che i nostri governi rispettino gli impegni assunti per
garantire la parità di genere, eliminare ogni forma di
discriminazione e di violenza contro le donne e perché si raggiunga
la piena realizzazione di tutti i nostri diritti umani. Veniamo alla
Csw per avanzare politiche progressiste perché facciano davvero la
differenza nella nostra vita. Se la Csw non è più una agorà per il
cambiamento e non ci coinvolge attivamente, non parteciperemo la
prossima volta.
Le
organizzazioni da sempre presenti e le femministe sono fondamentali
nell’attuazione, il monitoraggio e l’applicazione della
Piattaforma d’Azione di Pechino, pertanto, insieme a molte Ong
internazionali, esortiamo Un Women, che si occupa per le Nazioni
Unite della promozione della donna, a non usare più questa modalità
di lavoro. Avviamo invece un processo condiviso che sfrutti la
potenzialità di tutti i soggetti interessati per la piena
realizzazione dei diritti umani delle donne. Che niente venga fatto
per noi donne senza di noi!
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