martedì 24 marzo 2015

La parità di genere secondo l'ONU

Siamo tornate a Roma da New York ma non siamo tornate contente.

L’appuntamento annuale alle Nazioni Unite per la Csw (Commission on the Status of Women) quest’anno era molto importante, poiché sono trascorsi vent’anni dalla storica Conferenza delle donne di Pechino che delineò una Piattaforma d’azione per traghettare le donne e le ragazze di tutto il mondo verso il pieno godimento dei propri diritti.
Le organizzazioni e le migliaia di donne presenti, rappresentanti della società civile, si aspettavano molto da questo 59esimo incontro al Palazzo di vetro e invece…
Siamo tornate profondamente preoccupate per la debolezza della Dichiarazione politica adottata dalla Csw e del documento di accompagnamento sui Metodi di lavoro, ma anche per l’esclusione della società civile dai lavori per la Dichiarazione finale. Lavori che si sono svolti a porte chiuse.
Se infatti l’Onu ha dichiarato orgogliosamente che nel 2030 si raggiungerà la parità di genere, sono migliaia le Ong e le associazioni femministe che hanno denunciato come, per la prima volta, gli Stati Membri abbiano approvato la Dichiarazione politica fin dal primo giorno senza alcun confronto con le rappresentanti della società civile presenti a New York. Ma sopratutto, a questa mancata trasparenza, si aggiunge il contenuto debole del documento finale.
Nella Dichiarazione politica i governi “si impegnano a intraprendere ulteriori azioni concrete per assicurare la piena, effettiva, accelerata implementazione della Dichiarazione di Pechino e della Piattaforma di azione”. Ecco, diciamo che ci sembra molto poco, sopratutto pensando che venti anni fa la Conferenza di Pechino aveva aperto una nuova strada. La Dichiarazione finale del 1995, adottata da 189 paesi, era il primo impegno formale da parte di stati, governi, forze economiche, politiche, sociali e culturali per la valorizzazione del ruolo delle donne come agenti di trasformazione per lo sviluppo sostenibile.
Non mettiamo in dubbio che in questi due decenni siano stati fatti passi avanti, ma la strada verso una reale parità di genere è ancora lunga e faticosa. E non possiamo certo aspettare il 2030. Pensiamo solo alle questioni macroscopiche come il mancato raggiungimento della parità salariale, il numero di femminicidi e le varie forme di violenza che continuano ad essere praticate: matrimoni precoci e/o forzati, mutilazioni genitali femminili, il mancato accesso alla salute e ai diritti sessuali e riproduttivi.
Questo documento finale impiega un linguaggio fiacco e le omissioni sono più lampanti delle dichiarazioni: non si parla di diritti umani delle donne, di diritti sessuali e riproduttivi e neppure del concetto di uguaglianza di genere. La Dichiarazione non illustra chiaramente quali siano i meccanismi di trasparenza e responsabilità; non parla di impegni concreti per quanto riguarda le risorse destinate a superare gli ostacoli che impediscono la realizzazione della parità tra donne e uomini. Questo è un grave arretramento rispetto al lavoro fatto e alle Dichiarazioni adottate dalle passate Conferenze internazionali, che hanno invece dato ai governi una direzione per lavorare sui diritti politici, economici, sociali, ambientali e di genere.
La consueta tradizione delle Nazioni Unite che vedeva una consultazione e partecipazione aperta di organizzazioni della società civile è stata già di per sé un chiaro segnale. Partecipiamo alla Csw per monitorare che i nostri governi rispettino gli impegni assunti per garantire la parità di genere, eliminare ogni forma di discriminazione e di violenza contro le donne e perché si raggiunga la piena realizzazione di tutti i nostri diritti umani. Veniamo alla Csw per avanzare politiche progressiste perché facciano davvero la differenza nella nostra vita. Se la Csw non è più una agorà per il cambiamento e non ci coinvolge attivamente, non parteciperemo la prossima volta.
Le organizzazioni da sempre presenti e le femministe sono fondamentali nell’attuazione, il monitoraggio e l’applicazione della Piattaforma d’Azione di Pechino, pertanto, insieme a molte Ong internazionali, esortiamo Un Women, che si occupa per le Nazioni Unite della promozione della donna, a non usare più questa modalità di lavoro. Avviamo invece un processo condiviso che sfrutti la potenzialità di tutti i soggetti interessati per la piena realizzazione dei diritti umani delle donne. Che niente venga fatto per noi donne senza di noi!


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