Alle dodici di
stamane (ndr 10 marzo) si è diffusa in rete la notizia
dell'approvazione al Parlamento di Strasburgo della risoluzione
Tarabella relativa alla "Relazione sulla Parità tra donne ed
uomini nell'Unione europea per l'anno 2013". Al suo interno sono
affrontati vari temi, il congedo parentale, il gap salariale di
genere, il divario pensionistico e l'implementazione di politiche
proattive per l'occupazione femminile.
C'è anche un
esplicito riferimento al diritto delle donne di disporre del proprio
corpo, allorchè il testo "insiste sul fatto che le donne
debbano avere il controllo dei loro diritti sessuali e riproduttivi,
segnatamente
attraverso un accesso agevole alla contraccezione e all'aborto;
sostiene pertanto le misure e le azioni volte a migliorare l'accesso
delle donne ai servizi di salute sessuale e riproduttiva e a meglio
informarle sui loro diritti e sui servizi disponibili".
Certamente questa
risoluzione è a carattere generale e non si focalizza esclusivamente
sul diritto all’aborto, ma tant’è che molte donne europee ne
auspicavano il voto favorevole perché, riconosciuto il diritto, ne
sarebbe conseguito l’eliminazione dell’ odierno principio di
sussidiarietà in materia di libertà riproduttiva. Un principio che
consente ai singoli Stati membri della U.E. di legiferare a proprio
piacimento, denegando di fatto la tutela dell’autodeterminazione
delle donne, come in Italia per il tramite dell’alta percentuale di
obiezione di coscienza degli operatori sanitari pubblici, o
contrastandola di diritto,come in Polonia, Irlanda e Malta, dove
l’aborto non è consentito.
Senonchè il tam tam
di soddisfazione è cessato all’improvviso appena letto un tweet
dell’europarlamentare Silvia Costa, dal quale si è compreso che il
testo era stato emendato. Nello specifico, laddove è stata prevista
che “l'elaborazione e l'applicazione delle politiche in materia di
salute e diritti sessuali e riproduttivi nonché in materia di
educazione sessuale sono di competenza degli Stati membri” Si sono
allora incalzati di domande i rappresentanti istituzionali a
Strasburgo, che hanno dovuto ammettere il sacrificio del diritto
all’aborto sull’altare del rispetto del principio di
sussidiarietà.
Un obiettivo
fortemente perseguito dagli esponenti del Ppe e avallato dalla
mediazione accettata dal Pse, con il voto favorevole all’emendamento
suindicato. Lasciare ai singoli Stati la facoltà di decidere le
politiche sanitarie in materia di diritto all’aborto consente di
dire che il Parlamento di Strasburgo offre alle donne europee una
scatola vuota. Riconoscere a livello comunitario un diritto e non
consentirne la tutela laddove nella pratica è negato, potrà anche
sembrare una vittoria parziale, ma sa tanto l’amaro sapore della
beffa.
Ad una
europarlamentare che mi ha sottolineato che “I trattati, come sai,
sanciscono in questa materia la sovranità degli stati membri. E' a
questo che si attaccano gli antiabortisti. La battaglia deve
continuare a partire dai territori. Noi oggi abbiamo portato a casa
un piccolo ma incoraggiante risultato”, ho risposto: “Non metto
in dubbio che rispetto alla risoluzione Estrela il risultato sia
favorevole, ma non potete da europarlamentari chiedere alle donne
italiane di ripartire dai territori. Se in uno specifico ospedale 7
ginecologi su 7 sono obiettori e da anni si richiede invano
l'intervento delle istituzioni pubbliche, come si possono ottenere
risultati diversi?
Comprendete che
speravamo tanto nell'Europa e nelle sue istituzioni, che con
disposizioni specifiche consentisse multe agli Stati membri che non
tutelassero il diritto delle donne alla salvaguardia della propria
capacità riproduttiva? Certo la risoluzione Tarabella non è a
carattere legislativo ma, ove non fosse rimasto il principio della
sussidiarietà che avete salvato oggi, le donne europee avrebbero
sperato in successive disposizioni cogenti al riguardo del
riconoscimento della libertà di decidere in piena scienza e
coscienza se divenire o no madri”.
La mediazione al
ribasso messa in campo oggi, consistita nell'avere emendato il testo
secondo i desiderata del Ppe, determinerà che l'Europa continuerà
a negare alle donne polacche la tutela sovranazionale del diritto
all'aborto negato in patria, come anche alle irlandesi e alle
maltesi. Senza contare il fatto che se nel comunicato stampa
successivo alla votazione odierna si legge che "I deputati
ribadiscono che le donne dovrebbero avere il controllo sulla loro
salute sessuale e riproduttiva, compreso un facile accesso alla
contraccezione e all'aborto", vuol dire gli stessi parlamentari
sono consapevoli del parziale risultato ottenuto.
Non ci resta,
quindi, che constatare che i diritti delle donne in Europa sono
declinati al condizionale e non all'indicativo, a differenza degli
altri. Ingenue noi donne, di qualsiasi Stato appartenente alla U.E.,
ad avere pensato che non fosse così.
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