Possibile
che esista ancora gente che pensa alle donne come a deboli creature
da relegare in casa tra fornelli e pargoli? Sì, purtroppo è
possibile. Forse la vera domanda che dovrei pormi è perché mi
stupisco ancora, ma partiamo dall’inizio.
Anzi,
torniamo al 22 settembre 2014 quando Elisa De Bianchi, trentatreenne
autista dell’azienda di trasporti pubblici romana, è stata
aggredita da una trentina di uomini durante il proprio turno di
lavoro, mentre era alla guida del suo bus. Un po’ per curiosità, o
forse per masochismo, e un po’ per la sensazione che avrei trovato
qualcosa di tristemente raccapricciante, ho deciso di rovistare fra
quotidiani cartacei e online: il risultato ha brutalmente sconfitto
anche le mie peggiori aspettative.
Certo,
sono consapevole che parlare di sessismo in relazione a determinati
giornalisti sia un po’come scoprire l’acqua calda, ma è stato
più forte di me e quando Paola mi ha chiesto se avessi visto o letto
qualcosa degno di riflessione, il pensiero a un’altra Preghiera di
Camillo Langone è stato immediato.
Elisa
De Bianchi, l’autista dell’Atac aggredita «Erano in 30, nessuno
mi ha aiutata». Sassi e bottiglie contro il mezzo sul percorso verso
Tivoli. Lei chiusa dentro in lacrime «Ho chiamato un collega, gli ho
chiesto di salvarmi». (da http://www.corriere.it)
Se
nel suo pezzo sul Foglio del 23 settembre 2014, facendo riferimento
alla giovane autista aggredita, lui chiede: «Perché una trentenne a
quell’ora (le 19.30, ndr) non è a casa coi figli, o con i
genitori, oppure in centro con le amiche o con un uomo?», allora io
domando: che altro avrebbe dovuto mai fare una trentenne, a
quell’ora, per dare da mangiare ai figli, se non svolgere il suo
lavoro? Ancora una volta, purtroppo, la soluzione che si propone e
che sembra essere la più adatta ad arginare i fenomeni di violenza,
è quella di redarguire la vittima circa i suoi atteggiamenti e le
sue abitudini.
La
Preghiera prosegue e si legge: «Per Elisa vittima […] della
mascolinizzazione, l’idea che una donna debba accettare qualsiasi
lavoro, ancorché pericoloso e usurante.» Non è mai passato per la
testa all’autore del pezzo che forse Elisa desideri fare il lavoro
che fa? È tanto sorprendente pensare che una donna voglia guidare un
autobus?
Il
meglio di sé, però, Langone lo dà più avanti, accennando a quello
che secondo lui è un «problema di ordine mentale»: «[…]
possibile si ritenga normale che una donna guidi un autobus?» Già,
chi l’avrebbe mai detto che anche noi donne siamo dotate di gambe e
piedi per schiacciare tre pedali, di due braccia e due mani per
tenere il volante e per cambiare marcia, nonché di capacità
visuo-spaziali per orientarci? Lo so, potrà sembrare sconvolgente
per certi maschietti, ma sì, esistono donne (non è sicuramente il
mio caso e chi mi conosce lo sa bene, ma questa è tutta un’altra
storia!) che sono in grado di guidare magistralmente, addirittura
meglio del cosiddetto “sesso forte”. E perché no, anche un
autobus, con tutti i rischi che il mestiere comporta. Anche le donne
sanno guidare e, soprattutto, anche le donne sanno gestire situazioni
potenzialmente pericolose: se quella sera ci fosse stato un uomo al
volante, sarebbe forse riuscito a fare qualcosa di più contro trenta
uomini forsennati e armati di sassi e bottiglie di birra vuote? Ne
dubito fortemente.
Al
di là di quanto scritto fino ad ora, però, ciò che ritengo
importante sottolineare è il modo tutto particolare in cui l’autore
vittimizza la donna: per il giornalista, infatti, anziché essere la
vittima dell’aggressione subita, Elisa lo è del mestiere svolto
che Langone dà per scontato sia imposto e non scelto.
La
giovane, in fin dei conti, un po’ se l’è cercata: se sei donna,
perché uscire la sera quando puoi stare a casa, al sicuro fra figli
e fornelli? Elisa è quasi colpevole, ma al contempo vittima di un
mestiere sbagliato che andrebbe corretto, esaudendo così la triste
Preghiera de Il Foglio: «pregando che il futuro le riservi serate
più romantiche, un lavoro più adatto al suo nome».
*Meglio
soffermarsi su questa riflessione di Roberta Valtorta dopo aver letto
il suo post
È
una prostituta, dunque di “sua proprietà: fogli e quotidiani
italiani alla deriva. L’attenzione di Roberta al linguaggio
sessista dei giornali l’ha ormai fatta diventare una aficionada
(per così dire) di Camillo Langone che, segnala l’autrice del
post, ha prodotto un’altra pregevole perla a proposito dell’8
marzo. Ovviamente, così come facciamo con le immagini, anche per le
parole dosiamo col misurino (e soltanto se strettamente necessario)
quelle offensive e/o volgari. Ecco spiegato perché non
ripubblichiamo i testi integrali delle “preghiere tossiche”.
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