martedì 31 marzo 2015

Mestieri “adatti” alle donne (e giornalisti “inadatti” al pensiero? di Roberta Valtorta

Possibile che esista ancora gente che pensa alle donne come a deboli creature da relegare in casa tra fornelli e pargoli? Sì, purtroppo è possibile. Forse la vera domanda che dovrei pormi è perché mi stupisco ancora, ma partiamo dall’inizio.
Anzi, torniamo al 22 settembre 2014 quando Elisa De Bianchi, trentatreenne autista dell’azienda di trasporti pubblici romana, è stata aggredita da una trentina di uomini durante il proprio turno di lavoro, mentre era alla guida del suo bus. Un po’ per curiosità, o forse per masochismo, e un po’ per la sensazione che avrei trovato qualcosa di tristemente raccapricciante, ho deciso di rovistare fra quotidiani cartacei e online: il risultato ha brutalmente sconfitto anche le mie peggiori aspettative.
Certo, sono consapevole che parlare di sessismo in relazione a determinati giornalisti sia un po’come scoprire l’acqua calda, ma è stato più forte di me e quando Paola mi ha chiesto se avessi visto o letto qualcosa degno di riflessione, il pensiero a un’altra Preghiera di Camillo Langone è stato immediato.
Elisa De Bianchi, l’autista dell’Atac aggredita «Erano in 30, nessuno mi ha aiutata». Sassi e bottiglie contro il mezzo sul percorso verso Tivoli. Lei chiusa dentro in lacrime «Ho chiamato un collega, gli ho chiesto di salvarmi». (da http://www.corriere.it)
Se nel suo pezzo sul Foglio del 23 settembre 2014, facendo riferimento alla giovane autista aggredita, lui chiede: «Perché una trentenne a quell’ora (le 19.30, ndr) non è a casa coi figli, o con i genitori, oppure in centro con le amiche o con un uomo?», allora io domando: che altro avrebbe dovuto mai fare una trentenne, a quell’ora, per dare da mangiare ai figli, se non svolgere il suo lavoro? Ancora una volta, purtroppo, la soluzione che si propone e che sembra essere la più adatta ad arginare i fenomeni di violenza, è quella di redarguire la vittima circa i suoi atteggiamenti e le sue abitudini.
La Preghiera prosegue e si legge: «Per Elisa vittima […] della mascolinizzazione, l’idea che una donna debba accettare qualsiasi lavoro, ancorché pericoloso e usurante.» Non è mai passato per la testa all’autore del pezzo che forse Elisa desideri fare il lavoro che fa? È tanto sorprendente pensare che una donna voglia guidare un autobus?
Il meglio di sé, però, Langone lo dà più avanti, accennando a quello che secondo lui è un «problema di ordine mentale»: «[…] possibile si ritenga normale che una donna guidi un autobus?» Già, chi l’avrebbe mai detto che anche noi donne siamo dotate di gambe e piedi per schiacciare tre pedali, di due braccia e due mani per tenere il volante e per cambiare marcia, nonché di capacità visuo-spaziali per orientarci? Lo so, potrà sembrare sconvolgente per certi maschietti, ma sì, esistono donne (non è sicuramente il mio caso e chi mi conosce lo sa bene, ma questa è tutta un’altra storia!) che sono in grado di guidare magistralmente, addirittura meglio del cosiddetto “sesso forte”. E perché no, anche un autobus, con tutti i rischi che il mestiere comporta. Anche le donne sanno guidare e, soprattutto, anche le donne sanno gestire situazioni potenzialmente pericolose: se quella sera ci fosse stato un uomo al volante, sarebbe forse riuscito a fare qualcosa di più contro trenta uomini forsennati e armati di sassi e bottiglie di birra vuote? Ne dubito fortemente.
Al di là di quanto scritto fino ad ora, però, ciò che ritengo importante sottolineare è il modo tutto particolare in cui l’autore vittimizza la donna: per il giornalista, infatti, anziché essere la vittima dell’aggressione subita, Elisa lo è del mestiere svolto che Langone dà per scontato sia imposto e non scelto.
La giovane, in fin dei conti, un po’ se l’è cercata: se sei donna, perché uscire la sera quando puoi stare a casa, al sicuro fra figli e fornelli? Elisa è quasi colpevole, ma al contempo vittima di un mestiere sbagliato che andrebbe corretto, esaudendo così la triste Preghiera de Il Foglio: «pregando che il futuro le riservi serate più romantiche, un lavoro più adatto al suo nome».
*Meglio soffermarsi su questa riflessione di Roberta Valtorta dopo aver letto il suo post

È una prostituta, dunque di “sua proprietà: fogli e quotidiani italiani alla deriva. L’attenzione di Roberta al linguaggio sessista dei giornali l’ha ormai fatta diventare una aficionada (per così dire) di Camillo Langone che, segnala l’autrice del post, ha prodotto un’altra pregevole perla a proposito dell’8 marzo. Ovviamente, così come facciamo con le immagini, anche per le parole dosiamo col misurino (e soltanto se strettamente necessario) quelle offensive e/o volgari. Ecco spiegato perché non ripubblichiamo i testi integrali delle “preghiere tossiche”.

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