venerdì 27 marzo 2015

Donne meravigliose e cavalieri galanti: il sessismo che non si vede

Gli uomini galanti non esistono più. Non ci sono più i cavalieri di una volta. Quelli che ti fanno sentire speciale, che ti mettono su un piedistallo, che ti aprono la portiera della macchina, la porta dell’ascensore, perché sei donna.
Si dice che ormai siano gentilezze superate e lo si dice con tristezza, perché chi di noi non vuole sentirsi speciale?
Eppure la galanteria io la vedo tutti i giorni. Non è mai morta e non morirà finché il mondo sarà sbilanciato a favore dell’uomo. E poi io l’ho sempre vista, fin da piccina.
Mi ricordo come mi sentivo speciale l’otto marzo di venti anni fa, quando i miei compagni delle elementari ci portarono le mimose, i cioccolatini e ci coprirono di attenzioni e le maestre erano così felici di questo quadretto. Mi sentivo proprio fortunata ad essere nata donna.
Alla soglia dei trent’anni non sono cambiate di molto le cose. C’è sempre qualcuno che prova a farmi sentire speciale perché sono una donna. Al lavoro, se entro in ascensore con un collega, mi apre la porta: “prima le donne” mi dice tutto contento. Se usciamo da un locale, sarà lui a tenere la porta aperta, magari dopo aver pagato il conto. In treno, quando viaggio con il mio piccolissimo trolley, trovo sempre qualcuno che si offre di sistemarlo nel vano in alto. La galanteria è un balsamo per gli uomini. Vedo i loro volti, così fieri e soddisfatti.
Il fatto è che io ci provo sempre a farli sentire speciali perché sono uomini. Ma non ci riesco mai. Quando, di fronte ad un uomo che mi tiene la porta, insisto perché sia lui ad andare per primo o quando, in treno, chiedo ad un uomo se ha bisogno di una mano per sistemare la valigia, ricevo in risposta solo sguardi risentiti e contrariati. Mi guardano come se fossi aliena. E nonostante le mie insistenze, non cedono.
Da sempre ci hanno insegnato che noi donne siamo esseri meravigliosi, dotate di un quid in più. Ce l’ha ricordato per la ricorrenza dell’otto marzo scorso anche Sergio Mattarella, il presidente della Repubblica: noi donne sappiamo “produrre senza distruggere”, siamo “il volto della coesione sociale, della solidarietà”, siamo “la radice sulla quale la nazione è costruita”, “provvediamo all’educazione dei figli, curiamo anziani e invalidi e lo facciamo in silenzio” .
Anche Woman for Expo ci ricorda quanto siamo speciali. Noi nutriamo il pianeta e ci prendiamo cura di tutto il mondo: “Ogni donna è depositaria di pratiche, conoscenze, tradizioni legate al cibo, alla capacità di nutrire e nutrirsi, di “prendersi cura”. Non solo di se stessi, ma anche degli altri”.
Verso la metà degli anni ’90 un gruppo di psicologi (Eagly, Mladinic, Otto) fece una ricerca su quale gruppo sociale, tra uomini e donne, venisse giudicato più positivamente. La risposta fu chiara: le donne erano viste in modo molto più positivo rispetto agli uomini, a causa di quello che viene chiamato “women are wonderful” effect, “l’effetto donne meravigliose”. Siamo meravigliose perché siamo accoglienti, solidali, empatiche e ci prendiamo cura degli altri. Nella rappresentazione sociale l’uomo è vincente ma duro, le donne sono deboli ma meravigliose.
Ma allora perché ci lamentiamo? C’è qualcosa di male nell’essere viste come esseri meravigliosi (a prescindere)?
Sì. Perché il maschilismo non ha solo una faccia, ma due: una cattiva, l’altra (apparentemente) buona. Quella cattiva, più facile da individuare, viene detta sessismo ostile e si estrinseca nell’astio verso le donne, soprattutto verso coloro che non si adeguano allo status quo, che richiedono parità e che mettono in discussione la presunta superiorità maschile.
Quella buona, detta sessismo benevolo, è più difficile da riconoscere ed è accettata a livello sociale, quindi può circolare maggiormente. Glick e Fiske, due psicologi che nel 1996 studiarono il sessismo ambivalente – cioè articolato in queste due componenti – ( “The ambivalent sexism inventory: differentiating hostile and benevolent sexism”), indicano come sessismo benevolo l’insieme degli atteggiamenti positivi di protezione, idealizzazione ed affezione rivolti alle donne in quanto donne, in quanto portatrici di valori stereotipati (e limitanti), collegati alla cura degli altri, alla maternità, all’accoglienza, etc…
Secondo Glik e Fiske tali atteggiamenti “sono sessisti in quanto stereotipizzano le donne in ruoli ristretti, ma sono soggettivamente positivi in quanto a tono (per il ricevente) e tendenti a sollecitare comportamenti tipicamente categorizzati come prosociali (ad esempio l’aiutare gli altri) o una maggiore intimità (ad esempio l’aprirsi agli altri).”
Il sessismo benevolo rinchiude le donne in gabbie dorate e luccicanti, da cui è difficile uscire. Ed è una componente fondamentale per il mantenimento del maschilismo e della società patriarcale.
La relazione uomo-donna è una forma molto particolare di rapporto tra oppressore ed oppresso, in quanto oltre ad esservi subalternità, dovuta ad una notevole differenza di potere economico – sociale, vi sono anche implicazioni emotive, sentimentali e/o sessuali.
Un sistema così complesso non potrebbe reggersi su modalità meramente oppressive e dominanti, ma è necessaria un’altra componente, che consenta di evitare o perlomeno di limitare il risentimento del gruppo dominato. Sono quindi necessarie gratificazioni paternalistiche, che fungano in qualche modo da ricompensa per l’accettazione del posto assegnato alle donne nella gerarchia sociale.
Questa ricompensa è il sessismo benevolo, l’attribuzione a priori alle donne di qualità positive, riconoscendole adorabili, preziose e bravissime (soprattutto a fare quello che gli uomini non vogliono fare) e per questo destinatarie di attenzioni e premure particolari, che normalmente non verrebbero riservate a un uomo nelle stesse condizioni.
La forza del sessismo benevolo risiede nella promessa di impiegare il potere del gruppo dominante a vantaggio del gruppo dominato (le donne), a patto che queste accettino il controllo sociale maschile. La visione dell’uomo come cavaliere romantico che lotta per difendere la famiglia ed assicurarle benessere ha contribuito per secoli a confinare le donne tra le mura domestiche e a contenerne le ambizioni
Il sessismo benevolo e il sessismo ostile sono complementari e necessitano l’uno dell’altro per sopravvivere. Sono le due facce della stessa medaglia patriarcale. In una ricerca del 2001, sempre ad opera di Glick e Fiske, è emerso che coloro che attuano forme di sessismo benevolo nei confronti delle donne che si conformano alle norme sociali di genere, attuano anche sessismo ostile nei confronti di chi trasgredisce quelle norme.
Mettere su un piedistallo le donne, avere nei loro confronti atteggiamenti cavallereschi e protettivi – considerandole quindi bisognose -, gratificarle per il fatto di essere altruiste e amorevoli per natura – facendo quindi gravare sulle loro spalle welfare e costi sociali e relegandole a ruoli di cura – è una forma (non troppo sottile) di discriminazione, che sottintende l’esistenza di un rapporto di subordinazione.
Perciò cari colleghi, amici, conoscenti e non, vi prego non offendetevi se non sgrano gli occhioni in segno di riconoscenza quando insistete per aprirmi la porta. Non pretendete di pagare il conto al ristorante per il solo fatto che sono una donna. Non sentitevi minati nella vostra mascolinità se mi offro di aiutarvi con i lavori manuali: non ho solo un cuore colmo di amore traboccante in quanto donna, ma ho anche due braccia. Non mi fate complimenti sull’aspetto fisico quando non sono opportuni: mi infastidiscono e mi relegano alla sfera sessuale. E soprattutto, io non nutro il pianeta come vorrebbe Expo e non sopporto in silenzio la mancanza di welfare, come dice Mattarella.


Nessun commento: