martedì 3 marzo 2015

Bambini in passerella? Il problema sono i genitori di Flavia Fiorentino

È corretto coinvolgere i bambini in attività semi professionali. Voi cosa fareste? O cosa avete fatto?
Le luci e la musica sulle passerelle della moda bimbo, dopo il passaggio, al Pitti di Firenze, dell’incantevole mini top model russa Kristina Pimenova (nove anni e due milioni di fan su Facebook), intervistata dal Corriere, hanno dato il via, oltre che alle sfilate del children’s wear, a un acceso dibattito se fosse corretto o meno coinvolgere i bambini in attività semi professionali.
Tra chi provava «rabbia», «disgusto», «fastidio» contro i genitori definiti nel migliore dei casi «avidi, narcisisti, sfruttatori» prevedendo per la bimba «un futuro sul lettino dello psicologo» e chi invece sosteneva che quest’esperienza, come molte altre, se guidata da un adulto con consapevolezza e protezione, può trasformarsi non soltanto in un’occasione di divertimento e socializzare con i coetanei.
Come ad esempio racconta Marina Fini, tre figli di 11, 8 e 4 anni, tutti impegnati tra tv, backstage e cataloghi. «All’inizio ero scettica, poi con il passaparola ho sentito altre mamme che erano contente. I bambini lo fanno perché lo vogliono fare, per loro è un bellissimo gioco. Il più grande, per la pubblicità di un noto marchio alimentare doveva imparare ad andare a cavallo con Antonio Banderas: siamo stati a Madrid, poi a Malaga per girare le scene».
Ma non va sempre così, a volte sono proprio le mamme a sgomitare perché credono di lanciare l’erede di Kate Moss rischiando di trasformarla in una piccola lolita. «Il terreno più scivoloso è proprio quello dei genitori — spiega Lapo Cianchi, direttore Comunicazione di Pitti Immagine — noi insistiamo sull’autocontrollo dei marchi, responsabilità di fotografi e registi, ma sono le madri che alle volte inducono atteggiamenti sbagliati. Ci sentiamo più tranquilli con gli addetti ai lavori, i genitori sono più difficili da controllare».
Qual è allora un comportamento corretto per affrontare quest’esperienza che per il bambino può essere emozionante, divertente o, al contrario, faticosa, frustrante e inadeguata, a seconda di come viene guidata dagli adulti?
«Per prima cosa bisogna tenere a freno il narcisismo materno — spiega la psicologa Silvia Vegetti Finzi — e certo non far lavorare il piccolo per avidità. Stare sotto ai riflettori non è una cosa di per sé negativa. Anche in epoche passate i bambini hanno sempre recitato in teatro. Bisogna vedere il piano complessivo degli impegni e se questa nuova attività può essere inserita e in quale misura. Ma è importante anche il carattere del bambino: serve un continuo monitoraggio sul suo stato d’animo perché cambia anche da un mese all’altro. Negli ultimi anni c’è stata un’evoluzione — conclude Vegetti Finzi — e sulle passerelle non ci sono più dei burattini. Spesso viene allestito un gioco e i bambini si muovono intorno a questo centro creando più una rappresentazione teatrale che una sfilata utilitaristica».
Un trend tracciato dalla storica fondatrice de «I Pinco Pallino» Imelde Bronzieri, prima in Italia, oltre 10 anni fa, ad organizzare una sfilata con baby modelle, che sentì anche la responsabilità di istituire un’Osservatorio sulla tutela dell’immagine dell’infanzia in collaborazione con l’università La Sapienza di Roma.

Un altro punto, infine, sul quale la nostra legislazione è carente, riguarda le prestazioni e i compensi dei mini modelli: «In Italia non c’è l’obbligo di vincolare al minore i soldi guadagnati come accade in Francia o in Spagna — conclude Benedetta Ajani titolare dell’agenzia “B Talent” — noi facciamo il bonifico direttamente ai genitori. In quei Paesi poi è consentito sfilare solo dopo l’orario scolastico mentre qui lavorano anche al mattino».

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