Gli studi lo
confermano, la scuola è il contesto privilegiato in cui intervenire
per prevenire il diffondersi e il radicarsi di culture sessiste e
misogine
La violenza di
genere può essere veicolata e radicarsi nella cultura prevalente
attraverso discorsi e immagini stereotipate che propongono modelli di
rappresentazione delle relazioni tra uomini e donne fortemente
asimmetrici. Discorsi e immagini che trovano nutrimento in contesti
diversificati: in territori urbani fortemente deprivati, in gruppi
che promuovono atteggiamenti misogini e machisti, sui mezzi di
comunicazione, nella pratica.
Accade, dunque, come
emerge dallo studio di Torres, che in quartieri come quello Zen di
Palermo, simbolo del degrado e del fallimento delle politiche
pubbliche, le donne restino imprigionate in ruoli stereotipati di
subordinazione e sudditanza rispetto agli uomini; in un destino di
invisibilità, di silenziosa acquiescenza a compiti e doveri, alla
definizione dei quali il linguaggio contribuisce in modo
significativo. Il linguaggio, in tali contesti, si fa strumento di
trasmissione di ruoli sociali che le donne assumono come 'naturali';
legittimando il dominio maschile sull’altro sesso. La donna è
'vera' donna solo quando è figlia obbediente, brava madre, brava
moglie, quando dunque rientra in una sfera di definizione che la veda
ora figlia ora moglie nel passaggio di autorità dal padre al marito;
oggetto di scambio e di possesso.
La forza coercitiva
del discorso misogino è messa ben in evidenza nello studio di
Iovine, basato sull’analisi del linguaggio e dei modelli di
ragionamento dei membri di alcuni gruppi misogini, anti-femministi
che popolano la rete. L’analisi del linguaggio scritto ha
consentito di far emergere alcune costanti nello svolgimento del
ragionamento sessista al quale si associano vissuti e relazioni
sociali difficili. Dunque, dietro al percepirsi e rappresentarsi come
vittime; all’autoreferenzialità del pensiero, alla minimizzazione
del fenomeno della violenza contro le donne, si svelano un passato e
un presente segnati dall’assenza di modelli femminili di
riferimento, da rapporti familiari anaffettivi, nonché da una
rarefatta vita sociale. Un ragionamento sessista che non si limita a
testimoniare una cultura maschilista ma che si traduce in un
'attivismo' militante, attraverso il quale si dispiega una difesa di
tipo patriarcale-nazionalista del maschio.
La rappresentazione
stereotipata di modelli femminili patriarcali è spesso favorita
dalla forza mediatica dei mezzi di comunicazione che trasmettono
messaggi degradanti sulle donne che ne sono protagoniste,
contribuendo così ad acuire le disuguaglianze di genere. Lo studio
di Ortolani e Dalledonne Vandini mette ben in luce come la
comunicazione sportiva sia fortemente connotata dalla predominanza di
modelli maschili improntati alla performance, alla forza e alla
leadership che si contrappongono a quelli femminili di atleta/madre e
atleta/compagna. Ecco, allora, emergere le tradizionali dicotomie tra
sport da maschio (calcio, pugilato, rugby, etc.) e sport da femmina
(danza, pattinaggio, ginnastica artistica, etc.). Questa trasmissione
di modelli entra nella ‘carne viva’ del tessuto sociale
riaffermando e legittimando disuguaglianze di genere inaccettabili,
dando loro veste normativa.
Questo è possibile
in ragione della natura performativa del linguaggio, che non
contribuisce meramente a definire, rappresentare e riflettere le
differenze di genere ma le costituisce, producendo effetti reali che
hanno delle conseguenze nel sancire nella società una posizione
subordinata delle donne rispetto agli uomini. Il linguaggio ha dunque
in sé la capacità di contribuire alla costruzione di 'senso', a
stabilire alcune norme sociali costitutive di una cultura sessista. È
questo il punto di partenza della interessante riflessione di
Gerardin-Laverge che si interroga sulla possibilità e la modalità
in cui le donne possano resistere alle categorie veicolate dal
linguaggio e alla realtà che si va così ad affermare, al fine di
comprendere quale sia l’empowement individuale e collettivo
possibile; per rafforzare, la consapevolezza e la capacità di azione
della donna sia come singolo individuo sia come agente collettivo di
azione politica.
Per promuovere e
sostenere la capacità di azione della donna, contrastando e
prevenendo la trasmissione di modelli asimmetrici di relazione, è
necessario acquisire strumenti analitici di decodifica del messaggio
mediatico, capaci di alimentare una riflessione critica sulle
rappresentazioni del mondo femminile proposte e per cercare di
proporne di nuove. Iniziative progettuali e interventi nei luoghi
della formazione costituiscono lo strumento principale per evitare
che le nuove generazioni facciano propri modelli di comportamento e
relazione con l’altro sesso asimmetrici e sessisti.
In questa direzione
si muovono due esperienze: quella presentata da Baule, Caratti,
Tolino, basata sul design della comunicazione; e quella di Ortolani e
Dalledonne Vandini, diretta a sollecitare una riflessione teorica
sulla capacità inclusiva dello sport.
Nel primo caso,
all’interno di alcune scuole medie superiori milanesi, gli studenti
sono stati coinvolti in un processo di lettura e categorizzazione di
immagini, testi e codici espressivi al fine di sviluppare una
capacità di analisi critica della rappresentazione del femminile, di
decostruire gli stereotipi degradanti veicolati dai media, per
giungere alla ri-costruzione partecipata di “senso”, cercando
anche di individuare delle possibili strategie di intervento. Il
lavoro in aula ha portato alla realizzazione di prodotti analogici e
digitali riproducibili in altri contesti scolastici e spendibili in
azioni di sensibilizzazione capaci di 'svelare' gli effetti
intangibili, ma non per questo meno pesanti, degli stereotipi di
genere.
Nel secondo caso, è
stato affrontato il tema degli stereotipi di genere in uno sport,
quale è il pattinaggio artistico, 'tradizionalmente' considerato 'da
femmine' proprio in ragione di registri comunicativi, codici
espressivi e immagini veicolati dal linguaggio sociale e mediatico. A
partire da una ricerca qualitativa condotta sugli atleti e le atlete,
i loro genitori, gli allenatori e le allenatrici di una società
dilettantistica di una cittadina in provincia di Bologna, dalla quale
sono emersi con prepotenza i pregiudizi che pervadono questa
disciplina sportiva, si è proseguito con un’analisi e una
valutazione di alcuni strumenti sperimentati in Emilia Romagna per
diffondere nelle scuole una immagine e un significato della pratica
sportiva capace di accompagnare le profonde trasformazioni
intervenute nelle rappresentazioni sociali del genere e
dell’orientamento sessuale, superando così le barriere poste da
usi linguistici fortemente pregiudiziali.
Gli studi fin qui
discussi indicano nella scuola il contesto privilegiato in cui
intervenire precocemente, fin dalla scuola dell’infanzia, per
prevenire il diffondersi e il radicarsi di culture sessiste, misogine
e assicurare alle donne spazi di azione paritari nel vivere sociale.
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