mercoledì 29 aprile 2015

Contrastare gli stereotipi a partire dalle scuole di Fiorenza Deriu

Gli studi lo confermano, la scuola è il contesto privilegiato in cui intervenire per prevenire il diffondersi e il radicarsi di culture sessiste e misogine
La violenza di genere può essere veicolata e radicarsi nella cultura prevalente attraverso discorsi e immagini stereotipate che propongono modelli di rappresentazione delle relazioni tra uomini e donne fortemente asimmetrici. Discorsi e immagini che trovano nutrimento in contesti diversificati: in territori urbani fortemente deprivati, in gruppi che promuovono atteggiamenti misogini e machisti, sui mezzi di comunicazione, nella pratica.
Accade, dunque, come emerge dallo studio di Torres, che in quartieri come quello Zen di Palermo, simbolo del degrado e del fallimento delle politiche pubbliche, le donne restino imprigionate in ruoli stereotipati di subordinazione e sudditanza rispetto agli uomini; in un destino di invisibilità, di silenziosa acquiescenza a compiti e doveri, alla definizione dei quali il linguaggio contribuisce in modo significativo. Il linguaggio, in tali contesti, si fa strumento di trasmissione di ruoli sociali che le donne assumono come 'naturali'; legittimando il dominio maschile sull’altro sesso. La donna è 'vera' donna solo quando è figlia obbediente, brava madre, brava moglie, quando dunque rientra in una sfera di definizione che la veda ora figlia ora moglie nel passaggio di autorità dal padre al marito; oggetto di scambio e di possesso.
La forza coercitiva del discorso misogino è messa ben in evidenza nello studio di Iovine, basato sull’analisi del linguaggio e dei modelli di ragionamento dei membri di alcuni gruppi misogini, anti-femministi che popolano la rete. L’analisi del linguaggio scritto ha consentito di far emergere alcune costanti nello svolgimento del ragionamento sessista al quale si associano vissuti e relazioni sociali difficili. Dunque, dietro al percepirsi e rappresentarsi come vittime; all’autoreferenzialità del pensiero, alla minimizzazione del fenomeno della violenza contro le donne, si svelano un passato e un presente segnati dall’assenza di modelli femminili di riferimento, da rapporti familiari anaffettivi, nonché da una rarefatta vita sociale. Un ragionamento sessista che non si limita a testimoniare una cultura maschilista ma che si traduce in un 'attivismo' militante, attraverso il quale si dispiega una difesa di tipo patriarcale-nazionalista del maschio.
La rappresentazione stereotipata di modelli femminili patriarcali è spesso favorita dalla forza mediatica dei mezzi di comunicazione che trasmettono messaggi degradanti sulle donne che ne sono protagoniste, contribuendo così ad acuire le disuguaglianze di genere. Lo studio di Ortolani e Dalledonne Vandini mette ben in luce come la comunicazione sportiva sia fortemente connotata dalla predominanza di modelli maschili improntati alla performance, alla forza e alla leadership che si contrappongono a quelli femminili di atleta/madre e atleta/compagna. Ecco, allora, emergere le tradizionali dicotomie tra sport da maschio (calcio, pugilato, rugby, etc.) e sport da femmina (danza, pattinaggio, ginnastica artistica, etc.). Questa trasmissione di modelli entra nella ‘carne viva’ del tessuto sociale riaffermando e legittimando disuguaglianze di genere inaccettabili, dando loro veste normativa.
Questo è possibile in ragione della natura performativa del linguaggio, che non contribuisce meramente a definire, rappresentare e riflettere le differenze di genere ma le costituisce, producendo effetti reali che hanno delle conseguenze nel sancire nella società una posizione subordinata delle donne rispetto agli uomini. Il linguaggio ha dunque in sé la capacità di contribuire alla costruzione di 'senso', a stabilire alcune norme sociali costitutive di una cultura sessista. È questo il punto di partenza della interessante riflessione di Gerardin-Laverge che si interroga sulla possibilità e la modalità in cui le donne possano resistere alle categorie veicolate dal linguaggio e alla realtà che si va così ad affermare, al fine di comprendere quale sia l’empowement individuale e collettivo possibile; per rafforzare, la consapevolezza e la capacità di azione della donna sia come singolo individuo sia come agente collettivo di azione politica.
Per promuovere e sostenere la capacità di azione della donna, contrastando e prevenendo la trasmissione di modelli asimmetrici di relazione, è necessario acquisire strumenti analitici di decodifica del messaggio mediatico, capaci di alimentare una riflessione critica sulle rappresentazioni del mondo femminile proposte e per cercare di proporne di nuove. Iniziative progettuali e interventi nei luoghi della formazione costituiscono lo strumento principale per evitare che le nuove generazioni facciano propri modelli di comportamento e relazione con l’altro sesso asimmetrici e sessisti.
In questa direzione si muovono due esperienze: quella presentata da Baule, Caratti, Tolino, basata sul design della comunicazione; e quella di Ortolani e Dalledonne Vandini, diretta a sollecitare una riflessione teorica sulla capacità inclusiva dello sport.
Nel primo caso, all’interno di alcune scuole medie superiori milanesi, gli studenti sono stati coinvolti in un processo di lettura e categorizzazione di immagini, testi e codici espressivi al fine di sviluppare una capacità di analisi critica della rappresentazione del femminile, di decostruire gli stereotipi degradanti veicolati dai media, per giungere alla ri-costruzione partecipata di “senso”, cercando anche di individuare delle possibili strategie di intervento. Il lavoro in aula ha portato alla realizzazione di prodotti analogici e digitali riproducibili in altri contesti scolastici e spendibili in azioni di sensibilizzazione capaci di 'svelare' gli effetti intangibili, ma non per questo meno pesanti, degli stereotipi di genere.
Nel secondo caso, è stato affrontato il tema degli stereotipi di genere in uno sport, quale è il pattinaggio artistico, 'tradizionalmente' considerato 'da femmine' proprio in ragione di registri comunicativi, codici espressivi e immagini veicolati dal linguaggio sociale e mediatico. A partire da una ricerca qualitativa condotta sugli atleti e le atlete, i loro genitori, gli allenatori e le allenatrici di una società dilettantistica di una cittadina in provincia di Bologna, dalla quale sono emersi con prepotenza i pregiudizi che pervadono questa disciplina sportiva, si è proseguito con un’analisi e una valutazione di alcuni strumenti sperimentati in Emilia Romagna per diffondere nelle scuole una immagine e un significato della pratica sportiva capace di accompagnare le profonde trasformazioni intervenute nelle rappresentazioni sociali del genere e dell’orientamento sessuale, superando così le barriere poste da usi linguistici fortemente pregiudiziali.
Gli studi fin qui discussi indicano nella scuola il contesto privilegiato in cui intervenire precocemente, fin dalla scuola dell’infanzia, per prevenire il diffondersi e il radicarsi di culture sessiste, misogine e assicurare alle donne spazi di azione paritari nel vivere sociale.



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