L’Islanda è
considerata oggi il Paese più femminista al mondo.
Per il sesto anno
consecutivo, il rapporto 2014 del World Economic Forum ha indicato il
Paese come primo al mondo per le politiche volte a contrastare la
disparità di genere, su un totale di 142 Stati presi in esame.
Tra i vari
indicatori presi in considerazione dal rapporto, spiccano quelli
relativi all’istruzione secondaria e terziaria, all’emancipazione
politica nonché alle opportunità professionali ed economiche: in
tutte e tre le categorie l’Islanda ha riportato valori minimi nel
gap di genere.
Per ogni uomo
iscritto a un ateneo islandese, ad esempio, sono 1.7 le donne
iscritte; nella scuola primaria e secondaria, la presenza femminile è
leggermente superiore rispetto a quella maschile. Quanto alla
presenza in Parlamento, invece, ci sono circa due donne ogni tre
uomini.
L’aver aderito
alla nota campagna FreetheNipple, è solo l’esempio più recente
delle iniziative portate avanti dal Paese per garantire la parità di
genere.
La campagna,
sostenuta a seguito degli attacchi sui social network subiti da una
giovane islandese, che aveva postato una sua foto in topless in
risposta ad un amico che aveva fatto lo stesso, persegue l’obiettivo
di garantire alle donne la piena libertà di disposizione del proprio
corpo, a partire dalle foto a seno nudo che, ancora oggi,
rappresentano un tabù.
A rendere l’Islanda
primo Paese al mondo nella lotta alla disparità di genere però,
non è stata tanto la singola campagna, quanto il frutto di 150 anni
di scelte politico-economiche, da sempre orientate in favore
dell’uguaglianza dei sessi.
A dimostrarlo, prima
tra tutte, c’è la Costituzione islandese, che garantì il diritto
di voto alle donne già nel 1915, ben cinque anni prima rispetto agli
Stati Uniti. L’Islanda inoltre, è stato il primo Paese nella
storia a riconoscere la parità tra uomo e donna nei diritti di
successione, a partire dal 1850.
Sessant’anni più
tardi, la lotta alla disparità di genere si spostò sul piano
economico. Nell’ottobre del 1975, 25 mila persone di ogni
estrazione sociale si riversarono nelle strade della capitale
Reykjavik, per protestare contro l’ineguaglianza del salario. Per
incoraggiare i partecipanti, gli organizzatori della protesta
definirono quel giorno “una giornata di riposo”, anche al fine di
proteggere le donne lavoratrici che, al tempo, rischiavano il
licenziamento in caso di sciopero.
Più del 90 per
cento della popolazione femminile prese parte alla manifestazione,
lasciando la controparte maschile a districarsi tra la gestione del
lavoro e quella dei figli. La protesta ottenne i risultati sperati:
l’anno seguente, il Parlamento approvò con successo una legge
sull’equo compenso a favore delle donne lavoratrici.
Cinque anni dopo, fu
il turno della politica: nel 1980 venne eletta presidente Vigdìs
Finnbogadòttir, primo capo di stato donna nella storia non solo
dell’Islanda ma anche d’Europa. Figura carismatica,
anticonvenzionale, madre single con un passato lavorativo variegato,
da presentatrice televisiva a membro di una compagnia teatrale,
Finnbogadòttir guidò il Paese per tre mandati consecutivi, fino al
1996.
L’ulteriore passo
avanti è avvenuto nel 2009. Quell’anno, la socialdemocratica
Jòhanna Sigurdardòttir, divenne, a livello mondiale, la prima donna
apertamente omosessuale a essere eletta capo di stato e di governo.
Grazie al suo intervento, il governo islandese ha legalizzato nel
2010 i matrimoni gay.
Il cammino verso la
parità di genere, è passato poi attraverso l’estensione dei
congedi parentali; dal 2000, l’Islanda riconosce ai genitori un
periodo di allontanamento dal posto di lavoro pari a tre mesi. La
legge è stata successivamente emendata nel 2012, e ha aumentato il
periodo di congedo da tre a cinque mesi per ciascun genitore.
Non solo: il governo
islandese offre alle famiglie un sostegno economico, pagando il 95
per cento della retta degli asili. Così facendo, si è favorito un
incremento delle iscrizioni alla scuola dell’infanzia dei bambini
sotto ai cinque anni, consentendo al contempo alle mamme e ai papà
di conciliare gli impegni lavorativi con il ruolo di genitori.
L’insieme dei
provvedimenti adottati nel corso degli anni per promuovere la parità
tra i sessi ha portato all'Islanda enormi benefici, sia a livello
individuale per i singoli nuclei familiari, sia contribuendo al
benessere generale della società islandese.
Sarà questo il
segreto che rende l’Islanda uno dei Paesi più felici al mondo?
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