martedì 2 settembre 2014

Dal disimpegno alle nuove forme di partecipazione e attivismo di Alessandra Pescarolo

Negli anni Novanta tra i giovani prevalevano disillusione e individualismo. Ma dalla sfiducia di allora sono nate consapevolezze che, nel nuovo millennio, hanno prodotto nuove forme di impegno. Con le ragazze per la prima volta più attive dei loro coetanei
Nel nuovo millennio, con l’acuirsi della precarietà giovanile, uomini e donne di governo, per esorcizzare la responsabilità di una politica impotente, hanno ricondotto perfino la deprivazione economica dei giovani a un’inadeguatezza soggettiva; sintetizzata nelle etichette di “bamboccioni”, “choosy”, “sfigati”. Ma i ventenni degli anni Novanta sono stati anche i pionieri dei comportamenti di quelli di oggi, la generazione del ritorno alla politica. Alessandro Rosina ha identificato questi giovani con la cosiddetta “generazione Obama”, che ha sostenuto in prima fila il presidente americano, e i coetanei italiani con i loro omologhi, anch’essi appartenenti ai cosiddetti “Millennials”, portatori di nuove forme di soggettività e di impegno.
I giovani degli anni Novanta sono stati dunque passivi o impegnati? L’ambivalenza fra sfiducia negli altri, distanza dalla politica, nuove forme di partecipazione democratica è secondo Ulrich Beck, lo studioso che ha inventato il concetto di società del rischio, un tratto tipico della nuova condizione dei “figli della libertà”, i giovani maturati dopo la caduta del Muro di Berlino, chiamati a sviluppare una soggettività libera e individualistica ma in assenza di una rete di tutele.
Ma l’ambivalenza si concretizza in questi anni in un ciclo di riflusso e di ritorno all’impegno. Secondo le indagini Iard, condotte dagli anni Novanta al 2006, nei primi anni Novanta l’interesse dei giovani rifluisce dai grandi temi storici e ideologici, e la loro fiducia nelle istituzioni e negli altri si logora. La percentuale di giovani che hanno molta o abbastanza fiducia negli uomini politici, cresciuta negli anni Ottanta, declina fra il 1987 e il 1993 dal 20,7% al 9,8%, e quella nel governo dal 38,4% al 17%. Ma è ancora più eloquente il dato sulla “fiducia generalizzata” - situato a un livello bassissimo rispetto a quello dell’Europa del Centro Nord. Nel 1996 l’86,7% dei giovani del campione afferma che «La gente, in genere, guarda prevalentemente al proprio interesse» e il 75,2% dichiara che «Non si è mai sufficientemente prudenti nel trattare con la gente». Solo il 39,8% sostiene che «Gran parte della gente è degna di fiducia».
Ma il nuovo secolo inverte il segno dei processi, mostrando l’«attenuarsi della chiusura nel privato». La percentuale di giovani che si considerano nel 2004 politicamente impegnati sale all’8,4%, dal 3% del 2000, mentre quella dei «disgustati» dalla politica scende dal 26.5 al 23,1%. Si affacciano sulla scena pubblica, soprattutto con la manifestazione contro il G8 di Genova del 2001, la marcia per la pace di Assisi dello stesso anno, l’European Social Forum di Firenze del 2002, i cosiddetti movimenti No Global, definiti alternativamente Alterglobal. In questo spazio convergono nuove voci e nuovi temi, dall’ambiente alla costruzione delle identità sessuali. Il persistere della sfiducia negli altri come entità astratta si concretizza inoltre in nuove pratiche associative, come il volontariato, dove il gap di impegno con gli altri giovani europei si riduce.
Ma sono soprattutto le differenze di genere, oscurate dalla neutralità delle indagini sui “giovani”, che arricchiscono il quadro di nuovi colori. La percentuale di donne fra i 18 e il 34 anni che svolge attività gratuita di volontariato, infatti, passa dal 7,6% del 1993 all’11% del 2008, superando quella dei giovani maschi. I dati Istat del 2012 confermano il gap di genere a favore delle ragazze: il 12,5% delle giovani di 14-19 anni e l’13,9 di quelle di 20-24 anni partecipano a tali attività, mentre i dati corrispondenti dei coetanei sono rispettivamente l’8,5 e l’11,6%.
Procede dunque sulla scena la nuova generazione dei Millennials, la stessa che negli Stati uniti ha sostenuto Obama? Nei primi anni del Duemila in molte sfere della partecipazione democratica sono state però le donne le pioniere del cambiamento degli orientamenti giovanili. Anche con riferimento al voto i dati disponibili, relativi in realtà a una fascia di età più ampia, mostrano un nuovo spartiacque fra le elettrici che al momento della scelta avevano meno di 45 anni e quelle che li avevano superati: le prime sono state più instabili, e nelle elezioni del 2001 e del 2006 hanno votato il centrodestra, per la prima volta, meno dei coetanei; le seconde hanno mostrato una fedeltà al centrodestra maggiore e superiore a quella degli uomini. Ma un’inedita passione politica, che affronta esplicitamente temi di genere, si è espressa soprattutto, con voce limpida e matura, nei nuovi movimenti, come mostra l’esperienza di Se non ora quando, a partire dalla manifestazione del 13 febbraio 2011.
Le elezioni del 2013 e i successivi governi hanno portato dentro il parlamento e il consiglio dei ministri molte giovani donne. Ed è proprio la generazione delle adolescenti dell’Ottantanove, le ventenni silenziose degli anni Novanta, che ha preso la parola nel nuovo secolo. Questo scatto ritardato riflette certamente la lentezza con cui le giovani hanno preso atto delle trappole della tarda modernità. È significativa, in un volume recente, la breve autobiografia di Barbara Imbergamo, una giovane storica, oggi titolare di una piccola società di ricerca sociale: a proposito degli anni Novanta ci parla di uno sguardo «ancora doppio», incapace di assimilare un cambiamento troppo repentino. E la sua formazione di storica le è servita, paradossalmente, più che a costruire un impossibile percorso universitario, a capire lentamente che l’oggetto del suo dottorato, le mondine del primo Novecento, avevano, diversamente da quanto pensava all’inizio del suo studio, molti più diritti e tutele di una giovane laureata del nuovo millennio.


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