Addio
alla studiosa di Dante Alighieri Jacqueline Risset. Tradusse
integralmente il grande poema, riuscendo nella sfida estrema
Di
Jacqueline Risset che così improvvisamente
se ne è andata, che non si incontrerà più né casualmente
dalle parti di piazza Vittorio né la domenica
mattina alle letture dantesche della Casa di
Dante a Trastevere, di cui era assidua e fedele
frequentatrice, vengono subito in mente le
folgoranti apparizioni nella Roma intorno al ’68,
quando era approdata qui col suo fascino biondo, con quella sua
personale bellezza da cui sprigionava l’aria
insieme complice e misteriosa di quella cultura
francese che allora sentivamo così essenziale,
che ci apriva nuovi territori, ci invitava ad una
critica radicale, a nuove configurazioni
dell’esperienza, ad una liberazione della vita, della
parola, della scrittura.
Con
lei veniva in Italia Tel quel, si percepiva la forza
rovesciante dell’écriture, si incarnavano in
scatenata vitalità i richiami della differenza,
dell’inconscio come linguaggio, tra Lacan, Bataille,
Derrida, Barthes, quelle teorie e quelle pratiche
che allora ci catturavano e coinvolgevano.
C’era il carisma della teoria, dello scavo del
significante, anche di una poesia che tendeva a
dislocare l’esperienza, ad aprire varchi e béances
nella parola, a rivolgersi verso l’impronunciabile Autre,tra
gelide vibrazioni mallarméane e accese pirotecnie
surrealiste.
Con
l’invadente splendore della Francia strutturalista
e poststrutturalista quella donna bellissima
venuta dalla Parigi di Tel quel portava la passione per il
petrarchismo francese e per la letteratura
medievale, con una disponibilità a cogliere le
pieghe più interne, le ambiguità nascoste dentro
le forme liriche più codificate e più
preziosamente levigate. Poi, in un rapido
volgere di anni, l’attenzione alla poesia
rinascimentale e medievale la portava ad
incontrare, nel mezzo del cammin della sua vita, proprio
quello che doveva diventare in ogni senso suo maestro e suo
autore, per lei francese il più italiano di tutti, Dante
Alighieri.
Come
appassionata lettrice e studiosa, Jacqueline
si è mossa con eccezionale discrezione critica
(lontanissima dagli arzigogoli eccessivi
di tanta critica americana) verso una lettura
«laica» della Commedia, rivolta a percepirne la
forza lacerante, l’assolutezza di quella scrittura capace
di attraversare ogni limite, di porsi in ogni momento come
fondatrice di se stessa, rivolta a vitalizzare
all’estremo ogni parola, trascinando ogni forma entro il
ferreo e avvolgente movimento delle terzine.
Proprio
il fascino del mondo dantesco, della sua implacabile
densità, e di quella scrittura magmatica e
imperiosa, l’ha portata alla grande sfida,
perfettamente riuscita, della traduzione
integrale del grande poema: è stata lei, venuta dalla Francia
in Italia, a insegnare letteratura francese
nell’università italiana, a riportare Dante, in forma
nuova e splendente, in Francia e nella lingua
francese, volgendo quella lingua della clarté verso
una diretta comprensione del testo della Commedia
(con una chiarezza che talvolta riesce a sciogliere
nodi oscuri e difficoltà interpretative di
difficili passi), ma nello stesso tempo puntando sulla
sua forza espressiva, scavando nelle sue pieghe più
aspre, più vorticose o più accecanti, evitando
ogni incongrua razionalizzazione.
Un
Dante per una lettura moderna (come deve essere per ogni vera
traduzione), il Dante oggi imprescindibile
per i lettori francofoni. A dar loro questo Dante
è stata questa intellettuale sempre proiettata
in un orizzonte moderno, che ha sempre continuato
a credere nel legame tra letteratura e
modernità, entro la più laica e spregiudicata
tradizione della sinistra: nella piena convinzione
della totale solidarietà tra cultura italiana e
francese, nella tensione verso un’Europa della libertà,
della giustizia, della vigile tensione critica,
contro i miti pedestri e le equivoche
decostruzioni che ci assediano da tutte le parti.
Ricordo
certi vitalissimi scambi di battute con lei, certa sua
indignazione per la burocratizzazione e
l’impoverimento dell’università, certe sconsolate
riflessioni sull’evaporazione della sinistra, sulla
confusione politica del nostro paese e dell’Europa.
Pensando anche agli sdegni di Dante, di quel suo Dante che
Jacqueline ha saputo far parlare così intensamente
in quell’altra lingua che è come se fosse la sua.
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