sabato 6 settembre 2014

Jacqueline Risset, la Commedia ha uno charme francese

Addio alla studiosa di Dante Alighieri Jacqueline Risset. Tradusse integralmente il grande poema, riuscendo nella sfida estrema
Di Jac­que­line Ris­set che così improv­vi­sa­mente se ne è andata, che non si incon­trerà più né casual­mente dalle parti di piazza Vit­to­rio né la dome­nica mat­tina alle let­ture dan­te­sche della Casa di Dante a Tra­ste­vere, di cui era assi­dua e fedele fre­quen­ta­trice, ven­gono subito in mente le fol­go­ranti appa­ri­zioni nella Roma intorno al ’68, quando era appro­data qui col suo fascino biondo, con quella sua per­so­nale bel­lezza da cui spri­gio­nava l’aria insieme com­plice e miste­riosa di quella cul­tura fran­cese che allora sen­ti­vamo così essen­ziale, che ci apriva nuovi ter­ri­tori, ci invi­tava ad una cri­tica radi­cale, a nuove con­fi­gu­ra­zioni dell’esperienza, ad una libe­ra­zione della vita, della parola, della scrit­tura.
Con lei veniva in Ita­lia Tel quel, si per­ce­piva la forza rove­sciante dell’écri­ture, si incar­na­vano in sca­te­nata vita­lità i richiami della dif­fe­renza, dell’incon­scio come lin­guag­gio, tra Lacan, Bataille, Der­rida, Bar­thes, quelle teo­rie e quelle pra­ti­che che allora ci cat­tu­ra­vano e coin­vol­ge­vano. C’era il cari­sma della teo­ria, dello scavo del signi­fi­cante, anche di una poe­sia che ten­deva a dislo­care l’esperienza, ad aprire var­chi e béan­ces nella parola, a rivol­gersi verso l’impronunciabile Autre,tra gelide vibra­zioni mal­lar­méane e accese piro­tec­nie sur­rea­li­ste.
Con l’invadente splen­dore della Fran­cia strut­tu­ra­li­sta e poststrut­tu­ra­li­sta quella donna bel­lis­sima venuta dalla Parigi di Tel quel por­tava la pas­sione per il petrar­chi­smo fran­cese e per la let­te­ra­tura medie­vale, con una dispo­ni­bi­lità a cogliere le pie­ghe più interne, le ambi­guità nasco­ste den­tro le forme liri­che più codi­fi­cate e più pre­zio­sa­mente levi­gate. Poi, in un rapido vol­gere di anni, l’attenzione alla poe­sia rina­sci­men­tale e medie­vale la por­tava ad incon­trare, nel mezzo del cam­min della sua vita, pro­prio quello che doveva diven­tare in ogni senso suo mae­stro e suo autore, per lei fran­cese il più ita­liano di tutti, Dante Ali­ghieri.
Come appas­sio­nata let­trice e stu­diosa, Jac­que­line si è mossa con ecce­zio­nale discre­zione cri­tica (lon­ta­nis­sima dagli arzi­go­goli ecces­sivi di tanta cri­tica ame­ri­cana) verso una let­tura «laica» della Com­me­dia, rivolta a per­ce­pirne la forza lace­rante, l’assolutezza di quella scrit­tura capace di attra­ver­sare ogni limite, di porsi in ogni momento come fon­da­trice di se stessa, rivolta a vita­liz­zare all’estremo ogni parola, tra­sci­nando ogni forma entro il fer­reo e avvol­gente movi­mento delle ter­zine.
Pro­prio il fascino del mondo dan­te­sco, della sua impla­ca­bile den­sità, e di quella scrit­tura mag­ma­tica e impe­riosa, l’ha por­tata alla grande sfida, per­fet­ta­mente riu­scita, della tra­du­zione inte­grale del grande poema: è stata lei, venuta dalla Fran­cia in Ita­lia, a inse­gnare let­te­ra­tura fran­cese nell’università ita­liana, a ripor­tare Dante, in forma nuova e splen­dente, in Fran­cia e nella lin­gua fran­cese, vol­gendo quella lin­gua della clarté verso una diretta com­pren­sione del testo della Com­me­dia (con una chia­rezza che tal­volta rie­sce a scio­gliere nodi oscuri e dif­fi­coltà inter­pre­ta­tive di dif­fi­cili passi), ma nello stesso tempo pun­tando sulla sua forza espres­siva, sca­vando nelle sue pie­ghe più aspre, più vor­ti­cose o più acce­canti, evi­tando ogni incon­grua razio­na­liz­za­zione.
Un Dante per una let­tura moderna (come deve essere per ogni vera tra­du­zione), il Dante oggi impre­scin­di­bile per i let­tori fran­co­foni. A dar loro que­sto Dante è stata que­sta intel­let­tuale sem­pre pro­iet­tata in un oriz­zonte moderno, che ha sem­pre con­ti­nuato a cre­dere nel legame tra let­te­ra­tura e moder­nità, entro la più laica e spre­giu­di­cata tra­di­zione della sini­stra: nella piena con­vin­zione della totale soli­da­rietà tra cul­tura ita­liana e fran­cese, nella ten­sione verso un’Europa della libertà, della giu­sti­zia, della vigile ten­sione cri­tica, con­tro i miti pede­stri e le equi­vo­che deco­stru­zioni che ci asse­diano da tutte le parti.
Ricordo certi vita­lis­simi scambi di bat­tute con lei, certa sua indi­gna­zione per la buro­cra­tiz­za­zione e l’impoverimento dell’università, certe scon­so­late rifles­sioni sull’evaporazione della sini­stra, sulla con­fu­sione poli­tica del nostro paese e dell’Europa. Pen­sando anche agli sde­gni di Dante, di quel suo Dante che Jac­que­line ha saputo far par­lare così inten­sa­mente in quell’altra lin­gua che è come se fosse la sua.


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