sabato 13 settembre 2014

La Chiesa patriarcale e il femminismo Stefania Friggeri

Francesco, le riforme avviate e quelle impossibili. Le teologhe cattoliche non si accontentano delle itenzioni. E delle belle parole
Gli ammiratori più entusiasti, se non fanatici, di papa Francesco possono acquistare un’esile rivista intitolata “Il mio Papa” interamente dedicata alla sua persona: raccoglie frammenti biografici da parenti, amici o conoscenti, intervista coloro che hanno avuto occasione di incontrarlo per i motivi più diversi, e riveste ogni fatto o testimonianza di un calore agiografico che conferma il lettore nella sensazione che papa Francesco, come Gesù, vuole vivere intera la sua umanità, vuole camminare insieme alla gente ed ascoltarla. L’ubriacatura mediatica è così contagiosa che la frase “chi sono io per giudicare?” riferita ai gay, o quell’altra con cui ha espresso alle donne che hanno abortito la sua vicinanza umana, vengono interpretate come segnali prodromici di una rivoluzione culturale della dottrina della Chiesa cattolica. E in verità Bergoglio già procede sulla strada delle riforme (lo IOR, la Curia, la CEI), ma una rivoluzione potrà realizzarsi solo se nel mondo teologico della tradizione, monolitico maschile gerarchico, sarà accolto il seme della sapienza femminile. Che però ancora oggi non trova accoglienza, se non attraverso parole generiche di elogio. Le teologhe cattoliche invece chiedono un chiaro riconoscimento della loro creatività, né si accontentano dell’intenzione papale di “lavorare più duramente per sviluppare una profonda teologia della donna”: sia perché non vogliono essere escluse, o lasciate ai margini, da questa elaborazione, sia perché chiedono venga riconosciuto il lavoro di ricerca da cui, ispirandosi ai tratti peculiari della loro identità femminile, hanno elaborato nuovi e difformi modelli di spiritualità. Modelli che però sono rimasti oscurati o inespressi, schiacciati dalla cultura tipica di una società patriarcale da cui era influenzata la stessa interpretazione dei testi sacri; testi che le teologhe hanno preso in mano, traendo da essi, nel rifiuto di una cultura androcentrica, letture e commenti di orientamento diverso (espressione della loro molteplicità culturale), ma tutti accomunati dalla fede in un Dio che ama: non un Dio maschio, potente e signore, ma un Dio d’amore, un Dio femminile che, come la madre che dà la vita, chiede reciprocità, ama e vuole essere amato.
Dunque a cinquanta anni dal Concilio Vaticano II che ha aperto alle donne la facoltà di accedere, sia come allieve che come insegnanti, alla facoltà di teologia, le donne, impegnate nella ricerca del volto femminile di Dio, non si accontentano più degli elogi (vedi la “Mulieris Dignitatem” di Wojtyla) ma affermano con decisione che ormai è scoccata l’ora di parlare “con le donne”, non “delle donne”. Perché nel rifiuto di un modello ispirato dal turbamento che suscita la maternità, vincolo e destino di una condizione strettamente biologica, il pensiero femminile rivendica il diritto della donna a definire in prima persona la propria identità anche all’interno del percorso teologico. Una posizione, questa, rivoluzionaria per la Chiesa cattolica che infatti guarda al femminismo con sospetto, se non con riprovazione. Si legga il Documento preparatorio “Le sfide pastorali sulla famiglia” dove sono segnalate “le forme di femminismo ostile alla Chiesa”, oppure le parole di Ratzinger nella “Lettera ai vescovi”: “Per evitare ogni supremazia dell’uno o dell’altro sesso, si tende a cancellare le loro differenze, considerate come semplici effetti di un condizionamento storico-culturale.
In questo livellamento la differenza corporea, chiamata sesso, viene minimizzata, mentre la dimensione strettamente culturale, chiamata genere, è sottolineata al massimo e ritenuta primaria.” Dunque già nel 2004 papa Ratzinger individuava nella “gender theory” “la minaccia alla pienezza dell’Umano” (C. Gentile) perché il termine gender appartiene ad una filosofia dove il sesso non è visto come un dato originario della natura, ma come un ruolo sociale che l’individuo riempie liberamente di senso. “Maschio e femmina Dio li creò” sono le parole della Genesi che la teoria del gender mette in discussione perché se l’essere umano non ha una natura precostituita dalla sua corporeità, decide lui stesso di crearla per sé: eterosessuale, omosessuale, transessuale…. Ma rivendicare al soggetto la libertà di definire in autonomia la propria identità, indipendentemente dall’ordine sociale culturale e religioso, vuol dire affilare un’arma contro la famiglia tradizionale e papa Francesco su questo tema, non meno che sul rinnovamento della Curia, dovrà affrontare grandi difficoltà. Nel 2010 infatti lui stesso, dalla cattedra del magistero vescovile, ha chiamato gli argentini a combattere una “guerra di Dio” contro la legge che avrebbe legalizzato le coppie gay, definite “un atto ispirato dall’invidia del diavolo”; e sempre in Argentina, riferendosi alla candidatura della Kirchner, ebbe a dire: “Le donne sono naturalmente inadatte ai compiti politici… le Scritture ci mostrano che le donne da sempre supportano il pensare e il creare dell’uomo, ma niente più di questo”. Inadatte alla politica, ammoniva ieri il vescovo Bergoglio, inadatte al sacerdozio, puntualizza oggi papa Francesco nell’ “Evangelii Gaudium”.
Eppure, anche se molte suore non vi aspirano affatto, pare venuto il tempo di discutere del sacerdozio femminile, anche perché non esistono ragioni né scritturali né teologiche contro l’ordinazione delle donne. E infatti Martha Heizer (cofondatrice e presidente di “Wir sind Kirche”, il movimento di base presente in molti paesi che si batte da tempo per riformare la Chiesa) già nel 2011 era stata richiamata perché insieme al marito Gerd officiava messa nella loro casa. La questione, ferma da tre anni, è sfociata recentemente nella scomunica. Martha ha risposto indignata: “Siamo stupiti e amareggiati dal fatto che la nostra attività rientri nella stessa categoria dei preti che commettono abusi sui minori. Anzi è ancora più grave che, a differenza di questi, a noi è arrivata una scomunica”. Il sacerdozio femminile appare dunque un traguardo assai difficile da raggiungere anche perché la storia ci insegna che “solo i santi si spogliano spontaneamente dei loro privilegi” (L. Muraro), e papa Francesco dovrebbe rompere una tradizione secolare da cui deriva che, negando alle donne le prerogative riservate ai consacrati, non è stato mai loro permesso di accedere ai ruoli di potere.


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