«La
ricerca della perfezione deve finire». L’anno scorso Debora Spar,
la presidente del Barnard College, prestigiosa scuola femminile di
New York, ha confessato nel suo libro Wonder Women che la sua
generazione ha frainteso l’appello del femminismo alla liberazione
delle donne, scambiandolo con l’imperativo a fare tutto, ad essere
superdonne: far carriera come gli uomini e intanto diventare madri,
crescere figli perfetti, continuare a restare sveglie per far sesso e
mantenersi in forma come Beyoncé.
Oggi,
al telefono da New York, Debora Spar descrive quest’ansia come una
specie di dipendenza da cui bisogna riabilitarsi, imparando ad essere
imperfette.
«Devi
ricordare a te stessa che è okay dire di no, devi individuare intere
categorie di cose che non cercherai di fare bene. Cucinare per
esempio: è una cosa che adoro, ma ho dovuto accettare che lo farò
male e mai come Martha Stewart. Come la corsa: ho fatto jogging per
tutta la mia vita, ma non ho alcuna ambizione competitiva. Ci sono
una serie di attività che ho tolto dalla lista delle cose-da-fare e
ho inserito in una lista delle cose-da-fare-meno-bene».
Gran
parte delle aspettative della generazione post-femminista di Spar
erano dovute al fatto che le madri non avevano potuto fare tutto.
«Quelle
ragazze degli anni Quaranta e Cinquanta, cresciute per essere madri,
volevano che le figlie avessero qualcosa di più delle lavatrici,
delle asciugatrici e dei ferri da stiro, volevano che facessero
carriera e che partecipassero più attivamente alla società».
L’idea di poter fare tutto nello stesso tempo e alla perfezione,
secondo Spar, è stata promossa dai media con immagini e prodotti
come Barbie astronauta, che riusciva ad essere sexy mentre orbitava
intorno alla luna, oppure la pubblicità del profumo «Charlie» in
cui una donna con i capelli lunghi e fluttuanti, una tuta blu
aderente e i tacchi a spillo teneva in una mano una valigetta da
ufficio e nell’altra una bambina bellissima.
Dodici
anni fa, a 38 anni, dopo aver avuto due figli maschi, Debora Spar
andò col marito fino in Russia per adottare una bambina. Kristina
aveva sei anni e non parlava una parola d’inglese, ma prese la mano
del futuro papà e gli chiese: « Kupi mnye Barbi?», «Mi compri una
Barbie?» L’hanno portata in America, Debora l’ha educata con
grande attenzione agli stereotipi di genere («Non potevo fare
altrimenti, considerato il mio lavoro») ed è cresciuta con un papà
che fa i lavori di casa (il che secondo uno studio recente aumenta le
probabilità che diventi astronauta). La mamma la portava avanti e
indietro a corsi e attività d’ogni tipo, inclusi calcio e
balletto, finché un giorno non si è schiantata contro un palo del
telefono e si è resa conto che la cosa più importante non è
riempire la vita dei figli ma aiutarli a conoscere se stessi e a
scegliere ciò che li appassiona.
«La
loro generazione è più realista della nostra. Sanno che non possono
fare tutto alla perfezione». Pochi giorni fa Kristina, che ha
compiuto 18 anni, è andata a frequentare l’università. Quel
giorno, sua madre ha notato che si è soffermata davanti allo
specchio e ha scelto con cura la biancheria da portare al campus. «È
molto femminile ma va bene così perché è sicura di sé». Come
molte ragazze tra i 18 e i 22 anni, spiega Spar, pensa che il mondo
che l’aspetta sia paritario. «Si scontreranno con una realtà
diversa, più avanti, nel mondo lavoro. Anche se in alcuni settori le
chance delle donne oggi sono le stesse degli uomini, non è ancora
così dappertutto».
Anche
in casa i ruoli di uomini e donne sono cambiati rispetto agli anni
Settanta. In America, nel 1965 le ore settimanali dedicate dai padri
ai lavori domestici erano quattro, oggi sono 18 – secondo un
rapporto dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo –
ma le ore impiegate dalle donne continuano ad essere di più (27). In
Italia la differenza è la più grande di tutti i paesi
industrializzati: 36 ore le donne, 14 ore gli uomini. La ragione,
sostiene Spar, è in parte che gli uomini sono più disponibili a
contribuire alla cura dei figli piuttosto che ai lavori domestici, ma
anche che le donne sono restie a cedere certi spazi e responsabilità.
«Ma anche se la coppia si divide i compiti equamente, quando
entrambi i partner lavorano non ci sono semplicemente abbastanza ore
in una giornata».
Per
fortuna, dice la studiosa, il mondo del lavoro sta un po’
cambiando. «Oggi Silicon Valley è diventato il posto più
desiderabile dove i giovani più brillanti cercano il primo impiego,
incluse molte ragazze. Aziende come Google e Facebook cercano di
creare un ambiente più piacevole per tutti, con cibo gratis, tavoli
da ping pong, e anche una riduzione delle ore lavorative. E anche
alcune banche e agenzie di consulenza, proprio per contrastare la
competizione delle aziende high-tech, stanno iniziando a cambiare,
riducendo le ore di lavoro e aumentando gli eventi sociali». Un
cambiamento, questo, che potrà aiutare a conciliare lavoro e
famiglia senza richiedere doti di superdonne.
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