Scrittrice,
giornalista, ex avvocato. Soprattutto femminista. Wassyla Tamzali, 74
anni, nata in Algeria, è la “voce” delle donne arabe, di quelle
donne che sognano una società dove pari diritti e pari dignità (con
gli uomini) non debbano nascondersi sotto il velo islamico. «La
parola femminismo – dice in un francese senza inflessioni la
signora Tamzali, un’intellettuale che ha vissuto da protagonista la
lotta di liberazione del suo Paese – può apparire desueta in
Occidente. Ma nei Paesi arabi è più che attuale, ed è capace di
mettere in pericolo chi la pronuncia». Certo, aggiunge Wassyla,
anche nei Paesi più avanzati le donne hanno ancora molto da
conquistare quanto a posizione e rivendicazioni. Però «è un fatto
che in Italia il movimento è virtualmente scomparso».
La
pasionaria dei diritti femminili («ma io parlo di liberazione della
donna»), è molto chiara sul valore intrinseco delle definizioni:
«Io rifiuto il termine neo femminista. Sono solo femminista, punto.
Perché la parola nel mondo arabo può acquistare significati
differenti a seconda di quali termini le vengono accostati. Per
esempio, c’è chi professa il femminismo islamico. Che è una
copertura per annacquare la nostra lotta per l’emancipazione.
Insieme a tutte le altre donne abbiamo sentito la necessità di
tornare all’inizio del femminismo. Che è un’ideologia della
liberazione. Non è solo una questione di diritti. No, è soprattutto
un veicolo per ottenere la liberazione delle donne in quanto
individui. Dunque, se me lo chiede le dico che non è ancora finito
il suo scopo».
Wassyla
Tamzali conosce il mondo arabo e conosce l’Europa e oltre. È
conscia della differenza fondamentale tra la condizione femminile nei
Paesi più avanzati e nei Paesi arabo-islamici. Ma non si lascia
ingannare dalle apparenze. «La condizione delle donne è carente
anche in Occidente – spiega -. La violenza, l’ineguaglianza c’è
anche da voi. Certo, le donne sono più libere, possono uscire sole,
lavorano. Perché le società da voi sono più avanzate, la Chiesa
non ha più il ruolo di freno che aveva un tempo».
«Ma
– prosegue – la morale sessuale, ovvero il rapporto tra uomini e
donne è tutt’altro che paritaria». Eppure nel mondo
arabo-islamico il ruolo della donna è continuamente minacciato, le
conquiste sono neglette… «È così. Nei Paesi arabi, in Algeria,
in tutto il Maghreb, la dominazione sulle donne è una parte
integrante della politica. Dipende della struttura delle società.
Lottiamo per i nostri diritti da 50 anni, e se non riusciamo a
progredire è perché dovremmo riuscire a cambiare l’intera
società. Il potere politico, da noi, è militare e fondato sui clan
familiari. La piramide resta intatta se agli uomini, ai maschi, è
garantito il diritto di vita e di morte sulla famiglia».
L’oppressione
della donna come mezzo per la sopravvivenza politica, insomma. «In
tutti questi Paesi il potere economico, l’amministrazione, la
diplomazia sono nelle mani dei clan politici, non dei partiti. Sono
tutti governi totalitari: per garantirsi l’acquiescenza del popolo,
è garantito all’ultimo dei cittadini maschi il potere sulle
donne».
Dopo
decenni di lotta per il proprio genere, Wassyla Tamzali, che ha letto
con attenzione Pasolini, parla dell’enigma della condizione delle
donne. «Noi non viviamo in Paesi primitivi: sono moderni, hanno
tutti vantaggi della modernità, si può viaggiare, studiare,
istruirsi. Tutti tranne le donne. Questa differenza – secondo
Wassyla è il punto nodale della questione – è basata sulla
superiorità della mascolinità, vista come un totem dalla società.
La religione non c’entra. L’Islam è la maschera di questa deriva
verso una fallocrazia fiera della propria condizione. Prendiamo il
velo: perché occorre metterlo? Perché gli uomini non abbiamo
desiderio sessuale, cioè si suppone che il desiderio dei maschi
valga più di ogni cosa. Non è una condizione genetica, non è
perché siamo arabi. È una questione politica. Il velo è collegato
alla gestione del potere».
Certo,
la strada è ancora lunga perché si possa parlare di donne
protagoniste della loro esistenza. anche nei Paesi arabi. «Le donne
sono deboli, non solo fisicamente: se una donna non ha un uomo nella
sua vita (perché ha perso il marito, o magari perché ha divorziato)
cessa di esistere socialmente, e perciò è molto fragile. Quando
mette il velo accetta il sistema, perché fuori da questo sistema non
si esiste. Ecco perché sono contro il femminismo islamico: una
dottrina che sostiene come noi laiche non avremmo legittimità a
occuparci delle donne musulmane».
D’altro
canto, dice ancora Wassyla Tamzali – che domenica 14 settembre sarà
sul palco del Teatro Franco Parenti, a Milano, accanto a Lizzie
Doron, Aliza Lavie e le altre protagoniste del Festival Jewish and
the City all’incontro Condotte e condottiere, libere di essere
donne - si può essere musulmane e femministe. «Io sono una libera
pensatrice. Ma ho molte amiche profondamente devote. Praticano la
religione e chiedono libertà, come si può essere cristiane o ebree
e femministe. Ci sono Imam donne a New York. E io credo che la
religione debba evolversi dal di dentro. Mentre noi non abbiamo
impatto sulla dottrina, siamo laici, siamo fuori. Femminista
islamica? Un ossimoro. Il movimento è solo propaganda. L’obiettivo
non è liberare la donna ma attribuire solo qualche diritto».
Non
c’è molto spazio per l’ottimismo, dunque, per vedere un futuro
dove le donne musulmane saranno padrone del proprio destino. «Al
contrario, le cose miglioreranno. È successo in Tunisia e, anche, a
suo modo, in Marocco. Pr quanto ci sia ancora molto da fare. Certo, i
mostri che dobbiamo affrontare sono potenti e tutti figli della
dittatura, dai salafiti agli integralisti di Iraq e Arabia Saudita.
Ma c’è sempre chi crea, le donne sono artiste, scrivono, fanno
film, dipingono. Siamo come le lucciole di Pasolini, rappresentiamo
il mondo come era, con i suoi valori morali. Non dobbiamo essere
disperate. Sì siamo le lucciole del mondo arabo».
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