mercoledì 17 settembre 2014

Wassyla Tamzali: il femminismo in Italia è virtualmente scomparso

Scrittrice, giornalista, ex avvocato. Soprattutto femminista. Wassyla Tamzali, 74 anni, nata in Algeria, è la “voce” delle donne arabe, di quelle donne che sognano una società dove pari diritti e pari dignità (con gli uomini) non debbano nascondersi sotto il velo islamico. «La parola femminismo – dice in un francese senza inflessioni la signora Tamzali, un’intellettuale che ha vissuto da protagonista la lotta di liberazione del suo Paese – può apparire desueta in Occidente. Ma nei Paesi arabi è più che attuale, ed è capace di mettere in pericolo chi la pronuncia». Certo, aggiunge Wassyla, anche nei Paesi più avanzati le donne hanno ancora molto da conquistare quanto a posizione e rivendicazioni. Però «è un fatto che in Italia il movimento è virtualmente scomparso».
La pasionaria dei diritti femminili («ma io parlo di liberazione della donna»), è molto chiara sul valore intrinseco delle definizioni: «Io rifiuto il termine neo femminista. Sono solo femminista, punto. Perché la parola nel mondo arabo può acquistare significati differenti a seconda di quali termini le vengono accostati. Per esempio, c’è chi professa il femminismo islamico. Che è una copertura per annacquare la nostra lotta per l’emancipazione. Insieme a tutte le altre donne abbiamo sentito la necessità di tornare all’inizio del femminismo. Che è un’ideologia della liberazione. Non è solo una questione di diritti. No, è soprattutto un veicolo per ottenere la liberazione delle donne in quanto individui. Dunque, se me lo chiede le dico che non è ancora finito il suo scopo».
Wassyla Tamzali conosce il mondo arabo e conosce l’Europa e oltre. È conscia della differenza fondamentale tra la condizione femminile nei Paesi più avanzati e nei Paesi arabo-islamici. Ma non si lascia ingannare dalle apparenze. «La condizione delle donne è carente anche in Occidente – spiega -. La violenza, l’ineguaglianza c’è anche da voi. Certo, le donne sono più libere, possono uscire sole, lavorano. Perché le società da voi sono più avanzate, la Chiesa non ha più il ruolo di freno che aveva un tempo».
«Ma – prosegue – la morale sessuale, ovvero il rapporto tra uomini e donne è tutt’altro che paritaria». Eppure nel mondo arabo-islamico il ruolo della donna è continuamente minacciato, le conquiste sono neglette… «È così. Nei Paesi arabi, in Algeria, in tutto il Maghreb, la dominazione sulle donne è una parte integrante della politica. Dipende della struttura delle società. Lottiamo per i nostri diritti da 50 anni, e se non riusciamo a progredire è perché dovremmo riuscire a cambiare l’intera società. Il potere politico, da noi, è militare e fondato sui clan familiari. La piramide resta intatta se agli uomini, ai maschi, è garantito il diritto di vita e di morte sulla famiglia».
L’oppressione della donna come mezzo per la sopravvivenza politica, insomma. «In tutti questi Paesi il potere economico, l’amministrazione, la diplomazia sono nelle mani dei clan politici, non dei partiti. Sono tutti governi totalitari: per garantirsi l’acquiescenza del popolo, è garantito all’ultimo dei cittadini maschi il potere sulle donne».
Dopo decenni di lotta per il proprio genere, Wassyla Tamzali, che ha letto con attenzione Pasolini, parla dell’enigma della condizione delle donne. «Noi non viviamo in Paesi primitivi: sono moderni, hanno tutti vantaggi della modernità, si può viaggiare, studiare, istruirsi. Tutti tranne le donne. Questa differenza – secondo Wassyla è il punto nodale della questione – è basata sulla superiorità della mascolinità, vista come un totem dalla società. La religione non c’entra. L’Islam è la maschera di questa deriva verso una fallocrazia fiera della propria condizione. Prendiamo il velo: perché occorre metterlo? Perché gli uomini non abbiamo desiderio sessuale, cioè si suppone che il desiderio dei maschi valga più di ogni cosa. Non è una condizione genetica, non è perché siamo arabi. È una questione politica. Il velo è collegato alla gestione del potere».
Certo, la strada è ancora lunga perché si possa parlare di donne protagoniste della loro esistenza. anche nei Paesi arabi. «Le donne sono deboli, non solo fisicamente: se una donna non ha un uomo nella sua vita (perché ha perso il marito, o magari perché ha divorziato) cessa di esistere socialmente, e perciò è molto fragile. Quando mette il velo accetta il sistema, perché fuori da questo sistema non si esiste. Ecco perché sono contro il femminismo islamico: una dottrina che sostiene come noi laiche non avremmo legittimità a occuparci delle donne musulmane».
D’altro canto, dice ancora Wassyla Tamzali – che domenica 14 settembre sarà sul palco del Teatro Franco Parenti, a Milano, accanto a Lizzie Doron, Aliza Lavie e le altre protagoniste del Festival Jewish and the City all’incontro Condotte e condottiere, libere di essere donne - si può essere musulmane e femministe. «Io sono una libera pensatrice. Ma ho molte amiche profondamente devote. Praticano la religione e chiedono libertà, come si può essere cristiane o ebree e femministe. Ci sono Imam donne a New York. E io credo che la religione debba evolversi dal di dentro. Mentre noi non abbiamo impatto sulla dottrina, siamo laici, siamo fuori. Femminista islamica? Un ossimoro. Il movimento è solo propaganda. L’obiettivo non è liberare la donna ma attribuire solo qualche diritto».
Non c’è molto spazio per l’ottimismo, dunque, per vedere un futuro dove le donne musulmane saranno padrone del proprio destino. «Al contrario, le cose miglioreranno. È successo in Tunisia e, anche, a suo modo, in Marocco. Pr quanto ci sia ancora molto da fare. Certo, i mostri che dobbiamo affrontare sono potenti e tutti figli della dittatura, dai salafiti agli integralisti di Iraq e Arabia Saudita. Ma c’è sempre chi crea, le donne sono artiste, scrivono, fanno film, dipingono. Siamo come le lucciole di Pasolini, rappresentiamo il mondo come era, con i suoi valori morali. Non dobbiamo essere disperate. Sì siamo le lucciole del mondo arabo».

Nessun commento: