martedì 14 ottobre 2014

Francia, Sandrine Mazetier multa un deputato per averla chiamata “Il Presidente” di Stefania Manservigi

La battaglia per il raggiungimento della parità di genere si combatte (anche) con il linguaggio. È questo il messaggio lanciato da Sandrine Mazetier, vicepresidente dell’Assemblea Nazionale francese, resasi protagonista di un episodio significativo destinato a creare discussione e a riaprire il mai veramente chiuso discorso sulla connessione tra la parità di genere e l’utilizzo di un linguaggio appropriato.
Sandrine Mazetier, vicepresidente dell'Assemblea Nazionale francese, ha multato un deputato per averla chiamata ripetutamente "Il Presidente" 
La Mazetier, infatti, ha multato un deputato che ha insistito nel rivolgersi a lei definendola “Il Presidente” nonostante l’invito della stessa a correggere l’espressione linguistica in “la Presidente”. La sanzione disposta per il deputato è di 1378 euro ed andrà ad intaccare l’indennità mensile percepita.
Una reazione sconsiderata? Non in Francia dove il rispetto di genere è citato e tutelato nel regolamento dell’Assemblea Nazionale francese, a differenza del vuoto regolamentare esistente in Italia dove la parità di genere costituisce da sempre un obiettivo ancora lontano e di difficile piena realizzazione.
A sottolineare la profonda differenza esistente nelle due nazioni geograficamente così vicine ma culturalmente mai così lontane sull’argomento, è stata la Presidente della Camera Laura Boldrini, da sempre sensibile alla tematica della parità di genere e sostenitrice delle battaglie delle donne per l’affermazione della stessa. Dopo aver inviato una lettera di apprezzamento a Sandrine Mazetier, la Boldrini ha così evidenziato sul suo profilo Facebook la situazione ancora oggi esistente nel nostro paese, che ci distanzia in maniera netta da quanto avvenuto in Francia:
«[...]da noi l’uso scorretto del linguaggio, quello che declina solo al maschile alcuni ruoli di responsabilità rivestiti da donne, è questione che viene liquidata generalmente come una perdita di tempo, un’impuntatura tardo-femminista, talvolta da deridere.
Non conta nemmeno il fatto che l’Accademia della Crusca, la nostra più prestigiosa istituzione linguistica, abbia chiaramente detto che nel denominare le professioni va rispettato il genere di appartenenza.
La Francia ci conferma, se ce ne fosse bisogno, che il tema è serio, e che il rispetto di noi donne passa anche attraverso le parole giuste.»
La battaglia sulla parità di genere nel linguaggio è stata, in effetti, da sempre sostenuta dall’Accademia della Crusca, l’istituto nazionale per la salvaguardia e lo studio della lingua italiana, una vera e propria istituzione per la nostra lingua. Nel maggio 2012, infatti, l’Accademia aveva collaborato alla realizzazione del progetto “Genere e linguaggio. Parole e immagini della comunicazione”. Il progetto, realizzato grazie al finanziamento della Regione Toscana, era nato da una riflessione avviata da tempo dal Comitato Pari Opportunità sul modo in cui il mondo femminile viene rappresentato attraverso le parole e le immagini. In quell’occasione la Presidente dell’Accademia, Nicoletta Maraschio, aveva lavorato alla prefazione dello scritto «Linee Guida per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo». Una presa di posizione non del tutto nuova da parte della presidente che già nel 2011 aveva curato insieme all’Istituto di teoria e tecniche dell’informazione giuridica, una Guida alla redazione degli atti amministrativi. Segni inequivocabili della posizione assunta dall’Accademia della Crusca nell’annosa questione sul linguaggio e la parità di genere.



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