lunedì 27 ottobre 2014

Iran, cosa muore con Reyhaneh di Monica Lanfranco

Sono migliaia le donne e le bambine che muoiono per la violenza che subiscono in famiglia (più spesso) o per mano di sconosciuti ogni giorno sul pianeta, nel silenzio o nel disinteresse del loro paese e della comunità internazionale. Il pensiero è insopportabile, così come lo è quello per ogni ingiustizia compiuta sulle persone e sull’ambiente, e per questo non possiamo costantemente avere in mente sangue e dolore: se lo facessimo sempre saremmo già alla pazzia.
Però è vero che quando la vittima della violenza ha un volto e un nome ciò dà corpo e spessore alla realtà che si elude ogni giorno, e scegliendo di non abbassare lo sguardo o di coprirsi le orecchie l’impatto del reale è ineludibile, se si ha una coscienza.
Alla Secular Conference di Londra, indetta da alcune reti laiche tra le quali One Law for all, Women living under muslim laws e Secularism is a women issue la studiosa Karima Bennoune, docente arabo americana di legislazione internazionale ha scelto di parlare delle vittime del fondamentalismo facendo scorrere dietro di lei i volti di uomini e donne di varie provenienze geografiche, attiviste e attivisti per la laicità, che hanno trovato la morte negli ultimi anni per mano degli islamisti.
Non c’è stato nulla di enfatico o di eroico nel breve racconto delle biografie: Karima ha chiesto che si ricordino queste persone perchè fare memoria è un gesto politico prioritario per avere futuro e ricordare che “la libertà di vivere senza il giogo dell’ideologia religiosa non è realtà in molti luoghi del pianeta. Non si tratta di fede – ha scandito – ma di fanatismo, di politica, e di regime”.
Fa impressione il coraggio di Reyhaneh Jabbari, la donna iraniana impiccata dal regime perché, avendo reagito e ucciso il suo stupratore, si è rifiutata di aver salva la vita ‘riabilitando’ la memoria dell’uomo ritrattando l’accusa di violenza. Reyhaneh non ha ceduto, pur nella solitudine della sua cella, dopo anni di reclusione e forse di tortura, all’umanissima tentazione nella quale cadde la pur fiera e determinata Olympe de Gouges: tre secoli fa l’autrice della Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, condannata a morte per questo dai ‘rivoluzionari’, tentò di avere risparmiata la vita affermando di essere incinta. Alcuni precedenti negli anni scorsi che si erano risolti positivamente, tra i quali quelli di Safiya Husaini e Meriam Yehya Ibrahim avevano fatto sperare in una svolta favorevole. Ma in tempi di Isis e di febbre fondamentalista l’occasione, nel regimi teocratico iraniano, per ribadire che non si sgarra era servita sul piatto d’argento.
Così la forca per Reyhaneh è l’allungarsi della scura ombra del terrore e dell’inumanità che rischia, come si è stato detto a Londra, di travolgere il mondo.


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