Nei
social (soprattutto Facebook) gira la testimonianza di Jacques Berès,
fondatore di Medici senza Frontiere, sulla situazione curda
E
colpisce molto ciò che Berès riporta sulle donne armate curde, vere
eroine combattenti, temute anche dall’ISIS (il c.d. nuovo Stato
Islamico): “Almeno il 40% dei guerriglieri che ho operato in
seguito a gravi ferite provocate da esplosioni, missili e bombe sono
donne. Questa è una caratteristica unica nella regione. Le strutture
della società sono laiche, il ruolo della donna qui è importante, a
capo di ogni istituzione ci sono generalmente un uomo e una donna,
una visione nettamente in contrasto con la misoginia tipica di queste
zone del Medioriente e soprattutto che cozza con la visione
integralista che vogliono imporre i seguaci del Califfo. Sono stato a
un chilometro dal fronte di battaglia con l’ISIS. Ho visto molte
donne guerrigliere e anche giovani respingere gli assalti dei
jihadisti con armi modeste.”
Da
questa notizia (non nuovissima, perché sapevamo dell’esistenza
delle donne curde armate, ormai da un po’ di tempo) nascono
commenti ed opinioni di donne sul tema delle “DONNE NELL’ESERCITO”
(comprendendo nelle discussioni, eserciti nazionali o gruppi
partigiani di resistenza).
Le
femministe storiche non amano l’idea delle armi e della donna
nell’esercito, rifiutando in tal senso un modello maschile di
“risoluzione dei conflitti”.
C’è
un rifiuto delle armi e della violenza come problem solving di
tensioni sociali, culturali, economiche.
C’è
un rifiuto delle donne nell’esercito, considerando il tutto come
una “ripetizione” degli errori al maschile.
Quindi:
le donne devono e possono risolvere in modo alternativo e diverso la
società e la cultura, perché volere la parità dei diritti-doveri
non significa cerca di imitare i lati peggiori e distruttivi del
mondo maschile.
Condivido
questo pensiero.
MA.
C’è un MA.
Come
ho scritto nel gruppo FEMMINISTE di Facebook – come commento al
post di una giovane soldatessa, che sollecita l’arruolamento di
donne nell’esercito italiano – deve esistere una “via di fuga”,
una “via di emergenza” rispetto al pensiero di fondo, a quello
che poniamo come uno dei “principi etici” del femminismo.
La
“via di emergenza”, secondo me è la seguente: non si può dire
in senso assoluto che le donne rifiutano le armi e l’esercito.
Facile
dirlo in tempo di pace.
Facile
dirlo se non stiamo vivendo la situazione delle donne curde.
Facile
dirlo se non siamo sottoposte alla minaccia di RAPIMENTI, STUPRO,
MASSACRO da parte di fanatici organizzati in esercito.
Se
fossimo nelle donne curde, rifiuteremmo l’uso delle armi?
Se
fossimo nelle donne curde, attenderemmo in santa pace di essere
stuprate e vendute come schiave?
Se
fossimo nelle donne curde, non difenderemmo le nostre madri, sorelle
e figlie?
Io
sono contro le armi: tutte, sia ben chiaro. Proprio non ne sopporto
neppure la vista. Odio anche la caccia, figuriamoci se tollero l’uso
delle armi in “normali condizioni di vita”. Ma non sempre e non
in tutto il mondo, esistono “normali condizioni di vita”.
La
violenza fa parte dell’uomo, da sempre.
Certo,
sarebbe bello contrastarla civilmente, combatterla con le parole, le
azioni positive, il confronto, il dialogo costruttivo. Ma ci sono
momenti storici e contesti culturali dove la PAROLA non basta a
garantire la sopravvivenza di sé e del proprio gruppo sociale. Ci
sono eventi più grandi delle buone intenzioni delle donne.
Purtroppo.
Io
ammiro quindi le donne curde: stanno dimostrando al mondo intero una
forza, una determinazione, una capacità organizzativa incredibile.
Non sono donne di eserciti occidentali, finanziati e strutturati:
sono al livello di partigiane sulle montagne, nel senso che gli
arruolamenti e gli addestramenti avvengono in situazione di
emergenza.
Ricordate
le nostre partigiane?
Sì,
c’è chi sostiene che alcune combattevano senza armi. Ma senza armi
il nazismo e il fascismo sarebbero sopravvissuti. Purtroppo le guerre
non si fanno con le parole, il sangue non si lava con le parole, le
teste e gli arti mozzati non si “ricuciono” con le parole.
Pur
odiando le armi, mi chiedo quindi cosa farei di fronte al pericolo di
violenza e morte: credo che il mio ”spirito di sopravvivenza”
sarebbe più forte di qualsiasi altro spirito, volontà e buona
intenzione.
Sono
femminista e il femminismo odia le armi. Ma ama le donne.
Quindi,
credo che – in fondo – le amiche femministe comprenderanno la
difficile e terribile posizione delle donne armate curde: hanno
scelto di combattere. Per sopravvivere.
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