martedì 7 ottobre 2014

SOLDATESSE PUBBLICATO DA PAROLADISTREGA

Nei social (soprattutto Facebook) gira la testimonianza di Jacques Berès, fondatore di Medici senza Frontiere, sulla situazione curda
E colpisce molto ciò che Berès riporta sulle donne armate curde, vere eroine combattenti, temute anche dall’ISIS (il c.d. nuovo Stato Islamico): “Almeno il 40% dei guerriglieri che ho operato in seguito a gravi ferite provocate da esplosioni, missili e bombe sono donne. Questa è una caratteristica unica nella regione. Le strutture della società sono laiche, il ruolo della donna qui è importante, a capo di ogni istituzione ci sono generalmente un uomo e una donna, una visione nettamente in contrasto con la misoginia tipica di queste zone del Medioriente e soprattutto che cozza con la visione integralista che vogliono imporre i seguaci del Califfo. Sono stato a un chilometro dal fronte di battaglia con l’ISIS. Ho visto molte donne guerrigliere e anche giovani respingere gli assalti dei jihadisti con armi modeste.”
Da questa notizia (non nuovissima, perché sapevamo dell’esistenza delle donne curde armate, ormai da un po’ di tempo) nascono commenti ed opinioni di donne sul tema delle “DONNE NELL’ESERCITO” (comprendendo nelle discussioni, eserciti nazionali o gruppi partigiani di resistenza).
Le femministe storiche non amano l’idea delle armi e della donna nell’esercito, rifiutando in tal senso un modello maschile di “risoluzione dei conflitti”.
C’è un rifiuto delle armi e della violenza come problem solving di tensioni sociali, culturali, economiche.
C’è un rifiuto delle donne nell’esercito, considerando il tutto come una “ripetizione” degli errori al maschile.
Quindi: le donne devono e possono risolvere in modo alternativo e diverso la società e la cultura, perché volere la parità dei diritti-doveri non significa cerca di imitare i lati peggiori e distruttivi del mondo maschile.
Condivido questo pensiero.
MA. C’è un MA.
Come ho scritto nel gruppo FEMMINISTE di Facebook – come commento al post di una giovane soldatessa, che sollecita l’arruolamento di donne nell’esercito italiano – deve esistere una “via di fuga”, una “via di emergenza” rispetto al pensiero di fondo, a quello che poniamo come uno dei “principi etici” del femminismo.
La “via di emergenza”, secondo me è la seguente: non si può dire in senso assoluto che le donne rifiutano le armi e l’esercito.
Facile dirlo in tempo di pace.
Facile dirlo se non stiamo vivendo la situazione delle donne curde.
Facile dirlo se non siamo sottoposte alla minaccia di RAPIMENTI, STUPRO, MASSACRO da parte di fanatici organizzati in esercito.
Se fossimo nelle donne curde, rifiuteremmo l’uso delle armi?
Se fossimo nelle donne curde, attenderemmo in santa pace di essere stuprate e vendute come schiave?
Se fossimo nelle donne curde, non difenderemmo le nostre madri, sorelle e figlie?
Io sono contro le armi: tutte, sia ben chiaro. Proprio non ne sopporto neppure la vista. Odio anche la caccia, figuriamoci se tollero l’uso delle armi in “normali condizioni di vita”. Ma non sempre e non in tutto il mondo, esistono “normali condizioni di vita”.
La violenza fa parte dell’uomo, da sempre.
Certo, sarebbe bello contrastarla civilmente, combatterla con le parole, le azioni positive, il confronto, il dialogo costruttivo. Ma ci sono momenti storici e contesti culturali dove la PAROLA non basta a garantire la sopravvivenza di sé e del proprio gruppo sociale. Ci sono eventi più grandi delle buone intenzioni delle donne. Purtroppo.
Io ammiro quindi le donne curde: stanno dimostrando al mondo intero una forza, una determinazione, una capacità organizzativa incredibile. Non sono donne di eserciti occidentali, finanziati e strutturati: sono al livello di partigiane sulle montagne, nel senso che gli arruolamenti e gli addestramenti avvengono in situazione di emergenza.
Ricordate le nostre partigiane?
Sì, c’è chi sostiene che alcune combattevano senza armi. Ma senza armi il nazismo e il fascismo sarebbero sopravvissuti. Purtroppo le guerre non si fanno con le parole, il sangue non si lava con le parole, le teste e gli arti mozzati non si “ricuciono” con le parole.
Pur odiando le armi, mi chiedo quindi cosa farei di fronte al pericolo di violenza e morte: credo che il mio ”spirito di sopravvivenza” sarebbe più forte di qualsiasi altro spirito, volontà e buona intenzione.
Sono femminista e il femminismo odia le armi. Ma ama le donne.
Quindi, credo che – in fondo – le amiche femministe comprenderanno la difficile e terribile posizione delle donne armate curde: hanno scelto di combattere. Per sopravvivere.




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