AssiaDjebar lei aveva subito compreso che la partita
dell’emancipazione femminile passava attraverso il corpo delle
donne: “Per tutte, giovani o vecchie, in clausura o
mezze-emancipate, la lingua resta quella del loro corpo: quel corpo
che gli occhi dei maschi chiedono sia invisibile, finché non
riescono a incarcerarlo coprendolo interamente; quel corpo in trance,
danzante, che si adatta alla speranza e alla disperazione; quel corpo
ribelle, in grado di leggere e scrivere, in cerca di qualche spiaggia
sconosciuta come meta del suo messaggio d’amore”, spiegò con una
prosa armonica la scrittrice algerina.Perché lei, mentre le cugine
pensavano a mettersi il velo, imparava il francese e andava al liceo:
nel 1955 va a Parigi, dove è la prima donna ammessa all’École
Normale Supérieure de Sèvres. E nel ’58 è a Tunisi dove da un
giornale locale denuncia il dramma dei rifugiati algerini. L’esordio
letterario si intreccia poi con la guerra di liberazione algerina.
Nello stesso anno sposa Ahmed Ould-Rouïs, membro della Resistenza
Algerina, dal quale divorzia per poi sposare nel 1980 il poeta Malek
Alloula.Nel 1962 è ad Algeri dopo la dichiarazione d’indipendenza
algerina. Insegna Storia del Nord Africa presso la Facoltà di
Lettere poi nel 1977 ecco l’esordio dietro la macchina da presa con
La Nouba des femmes du Mont Chenoua, film in bianco e nero che vince
il Premio Internazionale della Critica al Festival di Venezia nel
1979, dove si narra la vicenda di una donna che decide di tornare
sulle montagne berbere del suo paese natale alla ricerca delle
“Madri” che parteciparono alla guerra d’indipendenza algerina
per ritrovare i suoni della “memoria strappata”. Con le
recrudescenze dell’oscurantismo islamico che fa irruzione in
Algeria negli anni ottanta, la Djebar si allontana definitivamente
dal suo paese natale per trasferirsi negli Usa, in Louisiana, poi a
Parigi, e ancora a New York: ironia della sorte proprio pochi giorni
prima degli attentati dell’11 settembre 2001: “Quella mattina ero
lì, a dieci minuti a piedi dalle Torri Gemelle, chiusa nel mio
appartamento, senza televisione. (…) La mia prima impressione è
stata che il dramma che avevo conosciuto in Algeria negli anni della
violenza integralista fosse sotto i miei occhi in una versione più
spettacolare”, spiegò la Djebar. “La cosa che più mi ha
colpito, nei giorni successivi, sono state le fotografie dei dispersi
appese dappertutto e, a partire dal quarto giorno, la disperazione
dei parenti che capivano che non avrebbero più avuto indietro
neppure i loro corpi. È stato allora che ho deciso di chiamare il
romanzo che avevo appena finito La donna senza sepoltura”. Djebar
è, infine, stata la prima donna di origine araba a far parte
dell’Accademia di Francia nel 2006. “E’ una fortuna essere uno
scrittore, perché la scrittura – e questo me lo prometto ogni
giorno interiormente – deve essere risparmiata dal sangue e
dall’oscurità della violenza”, disse in un’intervista a
Giovanna Taviani. “Ancor di più oggi mi rendo conto che il compito
della scrittura letteraria è proprio questo: lavorare su se stessi,
sulla propria memoria, sul ritorno o sul non-ritorno”
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