lunedì 16 febbraio 2015

Un omicidio brutale, una risposta senza precedenti, così forte da costringere il Primo Ministro Ahmet Davutoglu a correre ai ripari e promettere interventi urgenti, mentre in Turchia c’è chi invoca il ripristino della pena di morte.

La morte di Özgecan Aslan, 20 anni, studentessa universitaria, ha sconvolto il Paese per le modalità e l’efferatezza e dato vita a un’ondata di protesta che ha portato di nuovo in primo piano con forza la condizione delle donne nel Paese. Tutto si è svolto la scorsa settimana. L’ 11 febbraio i genitori della ragazza, che studiava psicologia a Mersin, nel sud-est della Turchia, hanno denunciato la sua scomparsa alla polizia. In poco più di 48 ore, è arrivata la brutale verità. Özgecan si trovava su un minibus che doveva riportarla a casa, quando, una volta fatti scendere tutti gli altri studenti, l’autista del veicolo, aiutato da un complice, ha cambiato il percorso, arrivando in un luogo isolato.
Qui i due hanno cercato di violentarla, ma la ragazza si è difesa, rispondendo con gas urticante al peperoncino. A quel punto, la perversione sessuale si è trasformata in follia omicida e la ragazza è stata prima accoltellata e poi uccisa con una spranga.
Non solo. Uno dei due assassini le ha anche tagliato le dita e bruciato il corpo, in modo tale che non fosse possibile risalire al loro DNA. Una lezione appresa dalle decine di serie televisive su casi di omicidi irrisolti, faide familiari, veri e propri inni alla violenza, che vengono proposte dalle tv turche.
Gli assassini si sono poi presentati dal padre di uno dei due con il corpo carbonizzato, chiedendo di essere aiutati a occultarlo. Erano convinti di averla fatta franca, ma, nella fretta, si sono dimenticati di ripulire il pulmino dalle tracce di sangue, e soprattutto di fare sparire il cappellino che Özgecan
indossava e che è stato riconosciuto dalla famiglia venerdì. Nel fine settimana l’arresto dei tre, che ora rischiano pene severe.
La morte brutale della giovane ha dato come una scossa alle associazioni per i diritti delle donne della Mezzaluna che si sono riversate in piazza. Manifestazioni alle quali hanno partecipato migliaia di persone, per prime le compagne di università della vittima, che l’avevano vista sorridente per l’ultima volta sul pulmino della morte. Scandivano slogan che chiedevano più uguaglianza e rispetto e mostravano cartelli con la foto della vittima e la scritta “dimenticare è come uccidere”.
Centinaia di donne turche hanno sfidato l'imam di Mersin che aveva chiesto loro di stare in disparte durante la cerimonia funebre di Ozgecan Aslan, uccisa a vent'anni durante un tentativo di stupro. Tra le migliaia di persone presenti al funerale, infatti, le donne hanno disubbidito all'imam e partecipato alla preghiera funebre in prima linea, portando a spalla la bara di Aslan.
Quelle donne sono le stesse che adesso puntano il dito contro il governo islamico-moderato guidato dall’Akp, il Partito fondato dal presidente Erdogan e che guida il Paese dal 2002. Oggi in Turchia per protesta, milioni di persone indosseranno qualcosa di nero per ricordare la brutale morte della giovane e una situazione, quella delle donne, sempre più drammatica.
Dati inquietanti del Ministero delle Politiche Sociali, pubblicati negli scorsi giorni, hanno rivelato che 4 donne turche su 10 sono esposte a violenze fisiche o psicologiche. Il 38% delle donne sono state vittima di atti di violenza commessi in famiglia. Il 12% delle donne sposate e il 10% delle donne in gravidanza a violenze sessuali. L’89% non denuncia gli abusi a cui viene sottoposta, un po’ per paura un po’ perché non sa a chi rivolgersi, ed è per questo che secondo le autorità quello che si vede dalle statistiche sia solo la punta di un terribile iceberg.

 Il Premier Ahmet Davutoglu sconvolto dalla notizia della morte di Özgecan e preoccupato per l’influsso che le proteste potrebbero avere sul voto del prossimo giugno, ha promesso provvedimenti severi in tempi rapidi. E nel Paese è tornato in primo piano il dibattito se ripristinare la pena di morte per i reati più gravi, ipotesi sostenuta qualche anno fa anche dall’allora premier Erdogan. L’abolizione definitiva della pena capitale, nel 2004, era stato il lascia passare turco per l’avvio dei negoziati per l’ingresso in Unione Europea.   

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