La
mancanza di ragazze nelle facoltà tecnico-scientifiche ha un costo
economico e sociale molto alto, questo è ormai un dato di fatto di
cui sono consapevoli anche i governi. Alla Sapienza alcune donne
hanno cercato di capire cosa c'è che non va e cosa si può fare per
cambiare
La
scarsa presenza femminile negli ambiti scientifico-tecnologici è un
problema presente in tutte le nazioni occidentali, tanto da indurre i
governi di USA ed Europei a promuovere azioni specifiche. José
Barroso affermava, da presidente della Commissione Ue, che ci sono
circa 900.000 posti di lavoro vacanti in ICT in Europa e che con una
percentuale femminile in ICT pari a quella maschile, il PIL europeo
registrerebbe un incremento di circa 9 miliardi l’anno.
In
Italia le donne ottengono risultati scolastici migliori dei maschi in
tutte le materie – matematica compresa – ma sono solo il 23%
degli iscritti nei corsi di laurea in ingegneria e il 38% nei corsi
di area scientifica. Di questa fanno parte le ingegnerie, il corso di
laurea in fisica e il corso di laurea in informatica.
Con
riferimento in particolare ai dati relativi all'Università Sapienza
di Roma, in linea con il dato nazionale, i corsi di laurea con la
minor presenza femminile risultano quello in informatica e quello in
ingegneria meccanica; risultano al di sotto della percentuale delle
ingegnerie i corsi in ingegneria elettronica, informatica e
automatica, elettrotecnica, della sicurezza, energetica,
aerospaziale. Il massimo di presenza femminile si registra
nell’ingegneria clinica, nell’ingegneria gestionale e
nell’ingegneria per l'ambiente e il territorio.
Gli
stereotipi di genere, infatti, e ancor prima il patrimonio profondo
culturale ed emotivo acquisito in ambito familiare, definendo ciò
che le persone sono e dovrebbero essere, condizionano sottilmente
scelte e comportamenti, indirizzando le ragazze verso professioni
“femminili”, convincendole della loro inferiorità in campo
matematico e scientifico, e facendo percepire l’ingegneria, le
scienze e la matematica come maschili.
Le
ragazze sono una minoranza tra i diplomati che si presentano ai test
di accesso alle facoltà scientifico-tecnologiche ed inoltre molte
ragazze che ottengono buoni risultati nei test di ingegneria alla
fine optano per altre facoltà, anche a causa dell’auto-svalutazione
per cui sottostimano la propria performance successiva. Nella tabella
sottostante sono riportati alcuni dati sulle/gli studenti
dell'Università Sapienza che, pur promosse/i ai test di accesso, non
si immatricolano al corrispondente corso di laurea. L’interpretazione
dei dati non è agevole, perché molti studenti alla fine non si
immatricolano in Sapienza, e dunque non si ha notizia delle loro
scelte successive, e perché non sono note le motivazioni di
ciascuna/o; si nota comunque (anche per i casi non riportati) che il
dato femminile è sempre maggiore.
Infine
ragazzi e ragazze perseguono fini universitari in parte differenti. I
ragazzi si orientano verso facoltà con maggiori probabilità di
occupazione e ritorno economico, le ragazze verso una professione che
le gratificherà. Tale frattura lungo l’asse
strumentale-lavorativo/progettuale-professionale fa sì che ragazze e
ragazzi si indirizzino verso facoltà ritenute più idonee all’uno
o all’altro obiettivo. Tuttavia, analizzando le motivazioni dei
ragazzi e delle ragazze che scelgono le stesse facoltà si nota che
queste coincidono; gli obiettivi e le aspettative che conducono alla
scelta, anche per le facoltà a forte concentrazione di genere, non
variano al variare del genere degli intervistati. Perciò tale
concentrazione si ha perché, mediamente, maschi e femmine da un lato
descrivono le facoltà in modo simile e dall’altro cercano nel
proprio percorso cose differenti.
L’attribuire
alle stesse facoltà, a forte concentrazione di genere, stesse
caratteristiche è d’altronde effetto delle rappresentazioni (che
daranno vita ai processi immaginativi e di identificazione per la
scelta delle diverse facoltà) che di esse fanno le agenzie formative
e che nascono da aspettative e attività ludiche del genere
preponderante. Perciò nell’immaginario collettivo l’ingegneria
meccanica è limitata a motori e Formula 1, l’informatica a
videogiochi o hacker, l’ingegneria civile all’immagine di ponti
imponenti e cantieri in deserti ostili; l’ambito di tali discipline
è ovviamente molto più vasto, ma i richiami, che emotivamente
risuonano e che per questo sono anche utilizzati nella “pubblicità”
che le facoltà fanno di se stesse, si indirizzano ai giochi e alle
fantasie del gruppo maggioritario, che conferma se stesso e informa
di sé il luogo della formazione. Le ragazze affollano i corsi di
laurea in ingegneria che al momento della loro comparsa, e in alcuni
casi ancora oggi, si sono potuti considerare non tanto più
“femminili”, in confronto ai tradizionali ambiti saturi di
“maschilità”, quanto inediti, e perciò ancora non ascrivibili
irreversibilmente a un genere: a suo tempo l’elettronica, poi
l’ambiente e il territorio, oggi la biomedica.
In
aggiunta, è ormai noto che successo e attrattiva sono connessi in
modo opposto per uomini e donne. Se un uomo ha successo piace a
tutte/i, se ha successo una donna a tutte/i piace meno; perciò il
successo professionale deriva per gli uomini dal rinforzo positivo
che ottengono a ogni passo, mentre le donne sono spesso considerate
in modo sfavorevole (anche riconoscendo i loro risultati). Le
ragazze, in assenza di rinforzi positivi legati non solo alla
competenza ma anche alla loro “piacevolezza” in termini di
relazione con gli altri, non osano scegliere facoltà connotate anche
dal successo che è possibile ottenere nel mondo grazie ad esse.
In
Sapienza, singole facoltà o corsi di laurea hanno intrapreso
iniziative per incrementare la presenza femminile. Nell’ambito del
progetto NERD (Non È Roba per Donne?) sono stati proposti seminari
divulgativi alle scuole superiori, per mostrare alle studenti la
natura creativa dell’informatica. Il progetto “La Nuvola Rosa”,
ha realizzato molti corsi gratuiti per le ragazze delle scuole
superiori sull'importanza delle competenze scientifiche per il loro
futuro lavorativo e sugli stereotipi che non consentono una piena
realizzazione professionale. Alle studenti con i migliori risultati
nei test di accesso a corsi della classe industriale con bassa
presenza femminile sono state erogate borse di studio. Giornate di
celebrazione sono state dedicate ad alcune madri della scienza come
Rita Levi Montalcini e Ada Lovelace. Queste e altre iniziative hanno
tentato di favorire l’incontro con modelli femminili di successo,
di contrastare alcuni stereotipi come l’hacker e il nerd nei quali
le ragazze non si identificano e di mostrare come alcune aziende
comincino a considerare strategica una significativa presenza
femminile. Esse si sono perciò focalizzate sull’orientamento delle
ragazze che durante gli ultimi anni di scuola si pongono il problema
della scelta della facoltà.
Andrebbero
implementate anche azioni che intervengano precocemente e a livelli
più profondi, che implichino la collaborazione con le insegnanti di
matematica e fisica, per portare a consapevolezza le/gli studenti
degli stereotipi di genere, mostrare che il bagaglio di capacità
tecnico-scientifiche è patrimonio anche delle ragazze, evidenziare
attitudini in cui esse eccellono, come il problem solving, svelare la
dinamica di auto-svalutazione alla base dei meccanismi di rinuncia.
Poiché sentirsi adeguati a un compito (e desiderare di realizzarlo)
è legato all’ambiente in cui ci formiamo (che ci trasmette gli
stereotipi), è importante mostrare che le aspettative nei confronti
di ciascuna non sono univoche e che una parte di mondo che le
circonda (le ingegnere, le ricercatrici, le insegnanti e le docenti
universitarie, le professioniste) autorizza le ragazze a orientarsi
verso ambiti “maschili” e può garantire loro i rinforzi positivi
legati sia alla competenza che alla loro “gradevolezza” per gli
altri.
Di
tali stereotipi di genere vanno rese/i consapevoli le/i docenti
dell’ateneo, con seminari di formazione che svelino quanta parte
attiva tutte/i abbiamo nella loro trasmissione.
Il
primo passo è raggiungere il consenso sull’importanza del
monitoraggio in ottica di genere, consenso ancora lontano dall’essere
maggioritario. Interrogarsi sulle scelte delle ragazze, su esiti e
modalità dei percorsi formativi, valutati anche per la diversa
efficacia nei riguardi dei due generi, è una pratica ancora tutta da
costruire.
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