sabato 7 febbraio 2015

La paradossale marcia delle donne verso l’emancipazione di Simona Sforza

Desidero proporvi questa mia traduzione di un articolo di Rémi Barroux, pubblicato su Le Monde il 12 gennaio 2015. Il mio francese è pessimo, ho cercato di fare del mio meglio perché l’argomento mi sembrava interessante, ma sono benvenute le vostre correzioni!
I progressi verso la parità tra donne e uomini sono reali, ma la strada è ancora lunga. I passi in avanti sono paradossali e incompleti, scrivono gli autori dell’Atlas mondial des femmes, il primo del genere, presentato lunedì 12 gennaio, presso l’Institut national d’études démographiques (INED) e pubblicato da Autrement.
La causa dei diritti delle donne è relativamente recente: solo nel 1945 l’ONU ha adottato una Carta che stabilisce i principi generali di eguaglianza tra i sessi. Da allora, diverse conferenze internazionali hanno chiarito gli obiettivi. Il 18 dicembre 1979 l’Assemblea Generale dell’ONU ha adottato, in particolare, la Convenzione (qui) sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne.
E la quarta Conferenza mondiale tenutasi nel 1995 a Pechino – di cui quest’anno si celebra il ventennale – , si è conclusa con una Dichiarazione e un programma d’azione per l’emancipazione sociale, economica e politica delle donne
Com’è la situazione reale oggi? “Vi sono miglioramenti in vari settori, come ad esempio la sanità e l’istruzione, ma registriamo anche dei peggioramenti”, spiega Isabelle Attané, demografa e dell’INED e coautrice dell’Atlas. Meno numerose rispetto agli uomini dal 1950 – le donne sono quasi 3,6 miliardi rispetto a una popolazione mondiale di 7,4 miliardi di persone – vivono più a lungo, in qualunque parte del mondo. Ma si tratta di uno dei pochi vantaggi che possono vantare rispetto agli uomini. Nel 2010, il rischio per un uomo di morire a 20 anni era tre volte superiore a quello di una donna. Ahimè, questa speranza di vita maggiore nasconde un più rilevante degrado della salute della donna, a causa in particolare di “una difficoltà a conciliare vita professionale e vita familiare, poiché le attività domestiche poggiano maggiormente sulle spalle delle donne rispetto agli uomini, oltre a quelle lavorative” scrive la demografa Emmanuelle Cambois.
Per il resto le disuguaglianze sono sistematicamente contro le donne. Particolarmente esposte nella vita domestica, sono loro che soffrono maggiormente a causa delle violenze sessuali (75-85%). questo incremento nelle statistiche delle violenze, secondo la sociologa Alice Debauche, è dovuto a “una liberazione dell’espressione delle donne”. In Francia per esempio, il numero degli stupri denunciati è passato da circa un migliaio nel 1980 a circa dieci volte tanto nel 2000. Le misurazioni e i raffronti in merito alla violenza, tuttavia, restano complicate da fare, perché le definizioni giuridiche degli stupri, delle aggressioni o delle molestie, le possibilità di uscire dal silenzio differiscono da un paese all’altro.
Nel settore economico cresce l’accesso al lavoro, ma “vediamo che le donne restano una variabile di aggiustamento privilegiata in un contesto di liberalizzazione e di crisi economica”, sostiene Attané (in pratica sono le prime a pagare le conseguenze di una crisi e ad essere licenziate, ndr). Nei paesi in cui i lavori informali e domestici sono importanti, questo aspetto potrebbe essere meno percepito. Ma la maggiore vulnerabilità delle donne è reale. Più spesso disoccupate, sono anche coloro che rischiano maggiormente di perdere il loro posto di lavoro. Le donne hanno una maggiore propensione ad accettare il rischio di perdere il posto nei successivi sei mesi: in Finlandia (17% donne-11% uomini), in Danimarca (11% e 7%), in Belgio (quasi 10% e 4%), in Spagna o in Austria. In altri paesi come Francia, Portogallo e Regno Unito, la minaccia pesa sulle industrie tradizionalmente maschili, che porta a spiegare la minore paura delle donne di perdere il lavoro rispetto agli uomini. (In pratica, una donna si attende con maggiori probabilità di venire licenziata in caso di crisi, per questo sarebbe meno preoccupata e più propensa ad accettare l’eventualità: come dire, che ne siamo consapevoli, lo accettiamo meglio, insomma viviamo meglio le fregature, bah, sono perplessa, ndr).
L’occupazione femminile resta confinata alle posizioni di minor conto, nell’agricoltura, nel commercio e nei servizi. Sono pagate meno e più colpite dalla povertà. Negli Usa, il tasso di povertà delle donne è stato del 14,5% contro il 10,9% degli uomini nel 2011. E soprattutto continuano a fare la “doppia giornata” di lavoro: tornate a casa, la maggior parte deve svolgere le mansioni domestiche, lavare i piatti, pulire, cura dei bambini e delle persone non autosufficienti ecc. In Francia questi compiti occupano 20,32 ore settimanali rispetto alle 8,38 ore degli uomini.Se includiamo bricolage, giardinaggio, shopping o giocare con i bambini, lo squilibrio si riduce ad appena 26,15 ore per le donne contro le 16,20 per gli uomini.
“L’uguaglianza di genere proclamato in numerosi testi non è acquisito di fatto, è necessario mettere in evidenza gli ostacoli”, avverte Isabelle Attané. Nella sfera privata, ad esempio, le rappresentazioni sono complicate. “Sappiamo che la politica scolastica è guidata dalla socializzazione di genere, già presente in ambito familiare”. Le donne laureate in materie scientifiche sono la maggioranza in Asia centrale, in Medio Oriente e Nord Africa, mentre in Europa occidentale e Nord America le donne sono poco presenti negli studi quali l’informatica e l’ingegneria, privilegiando ambiti quali la sanità, il sociale e la puericultura.
Le disuguaglianze si sono spostate, sostiene Wilfried Rault, sociologo presso l’INED e coautore dello studio. “Il tasso si scolarizzazione delle donne progredisce, i canali e l’accesso a determinate professioni sono più discriminanti. Questo avveniva già in passato, ma il confine si è spostato: le disuguaglianze si verificano più tardi”.
Nel mondo del cinema, dice Brigitte Rollet, esperta in audiovisivi e insegnante a Sciences-Po, le donne rappresentavano l’86% dei posti di lavoro nel settore dei costumi e il 62% in quello delle scenografie, ma il 32% nella regia o il 22% nel suono, secondo la ricerca sugli studenti diplomati alla Fémis, l’école nationale supérieure des métiers de l’image et du son, tra il 2000 e il 2010.
Il prodotto cinematografico, nonostante le protagoniste femminili siano presenti sui manifesti, è molto maschile. Infatti, la quota di donne nella redazione di Positif è solo del 12%, l’8% presso Première e il 22 % presso Cahiers du cinéma. Erano inesistenti nel CdA di UGC nel 2013, solo il 25% presso Pathé e il 30% in quello di Studio Canal e Gaumon. Per completare il quadro inglorioso, dalla creazione del premio César nel 1976, una sola donna, Tonie Marshall, ha vinto il premio come miglior regista.
L’offensiva del conservatorismo (qui un articolo) a livello nazionale e internazionale, attraverso stati come il Vaticano o i paesi più integralisti dell’Africa e del Golfo, rallentano la marcia verso l’uguaglianza. Al di là dei più reazionari, molti stati sono riluttanti all’idea che ci siano testi internazionali che fissino le regole. Ciò accade in Europa sul diritto di aborto, in Spagna come in Italia, o nel dibattito francese. C’è una vera e propria confusione tra la questione dell’uguaglianza e quella della differenza, ritiene Wilfried Rault. Non vi è alcuna legge naturale che colpisca uomini e donne. E nessun discorso può giustificare la disuguaglianza. Per dirla come Simone de Beauvoir, nel 1949, “Non si nasce donna, si diventa” (Il secondo sesso).
A complicare questa lunga marcia verso l’uguaglianza, i miglioramenti possono anche generare nuovi problemi. Ad esempio, l’accesso alla contraccezione mette più pressione alle donne che agli uomini, creando una nuova disuguaglianza. Tra tutti i contraccettivi, la sterilizzazione femminile è la più utilizzata al mondo (18,9%) (ndr qui un articolo recente su quello che accade in India), prima della spirale intrauterina (14,3 %) e della pillola (8,8 %) e ben prima del preservativo maschile (7,6%). “La sterilizzazione delle donne, usata soprattutto in Brasile e in Messico, preclude la via alla maternità dopo i primi figli, mentre gli uomini possono ancora diventare padri, spiega Carole Brugeilles, demografa e insegnante presso l’università Paris Ouest, e terza co-autrice dell’Atlas. Un altro esempio è la medicalizzazione del parto, un progresso innegabile, ma a volte porta a una iper-medicalizzazione che mette a repentaglio la salute della donna. Il cesareo dovrebbe essere una pratica accessibile a tutte le donne che ne hanno bisogno (e spesso (in alcuni paesi) non è così). Quando però si verificano delle percentuali di cesareo che superano il 30% dei parti, per esempio, ci si dovrebbe domandare se si può parlare di reale progresso, oppure non si debba parlare addirittura di una forma di violenza.

Le disuguaglianze tra uomini e donne si riconfigurano, si spostano, si edulcorano, sostengono gli autori dell’Atlas. Per coloro che ci hanno messo più di un secolo per ottenere il diritto di voto – le donne neozelandesi votano dal 1893, mentre le kuwaitiane hanno potuto partecipare alle elezioni comunali solo nel 2006 – e coloro che ancora non possono farlo come in Arabia Saudita , le disuguaglianze sono ben lontane dallo scomparire.

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