Desidero
proporvi questa mia traduzione di un articolo di Rémi Barroux,
pubblicato su Le Monde il 12 gennaio 2015. Il mio francese è
pessimo, ho cercato di fare del mio meglio perché l’argomento mi
sembrava interessante, ma sono benvenute le vostre correzioni!
I
progressi verso la parità tra donne e uomini sono reali, ma la
strada è ancora lunga. I passi in avanti sono paradossali e
incompleti, scrivono gli autori dell’Atlas mondial des femmes, il
primo del genere, presentato lunedì 12 gennaio, presso l’Institut
national d’études démographiques (INED) e pubblicato da
Autrement.
La
causa dei diritti delle donne è relativamente recente: solo nel 1945
l’ONU ha adottato una Carta che stabilisce i principi generali di
eguaglianza tra i sessi. Da allora, diverse conferenze internazionali
hanno chiarito gli obiettivi. Il 18 dicembre 1979 l’Assemblea
Generale dell’ONU ha adottato, in particolare, la Convenzione (qui)
sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le
donne.
E la
quarta Conferenza mondiale tenutasi nel 1995 a Pechino – di cui
quest’anno si celebra il ventennale – , si è conclusa con una
Dichiarazione e un programma d’azione per l’emancipazione
sociale, economica e politica delle donne
Com’è
la situazione reale oggi? “Vi sono miglioramenti in vari settori,
come ad esempio la sanità e l’istruzione, ma registriamo anche dei
peggioramenti”, spiega Isabelle Attané, demografa e dell’INED e
coautrice dell’Atlas. Meno numerose rispetto agli uomini dal 1950 –
le donne sono quasi 3,6 miliardi rispetto a una popolazione mondiale
di 7,4 miliardi di persone – vivono più a lungo, in qualunque
parte del mondo. Ma si tratta di uno dei pochi vantaggi che possono
vantare rispetto agli uomini. Nel 2010, il rischio per un uomo di
morire a 20 anni era tre volte superiore a quello di una donna.
Ahimè, questa speranza di vita maggiore nasconde un più rilevante
degrado della salute della donna, a causa in particolare di “una
difficoltà a conciliare vita professionale e vita familiare, poiché
le attività domestiche poggiano maggiormente sulle spalle delle
donne rispetto agli uomini, oltre a quelle lavorative” scrive la
demografa Emmanuelle Cambois.
Per
il resto le disuguaglianze sono sistematicamente contro le donne.
Particolarmente esposte nella vita domestica, sono loro che soffrono
maggiormente a causa delle violenze sessuali (75-85%). questo
incremento nelle statistiche delle violenze, secondo la sociologa
Alice Debauche, è dovuto a “una liberazione dell’espressione
delle donne”. In Francia per esempio, il numero degli stupri
denunciati è passato da circa un migliaio nel 1980 a circa dieci
volte tanto nel 2000. Le misurazioni e i raffronti in merito alla
violenza, tuttavia, restano complicate da fare, perché le
definizioni giuridiche degli stupri, delle aggressioni o delle
molestie, le possibilità di uscire dal silenzio differiscono da un
paese all’altro.
Nel
settore economico cresce l’accesso al lavoro, ma “vediamo che le
donne restano una variabile di aggiustamento privilegiata in un
contesto di liberalizzazione e di crisi economica”, sostiene Attané
(in pratica sono le prime a pagare le conseguenze di una crisi e ad
essere licenziate, ndr). Nei paesi in cui i lavori informali e
domestici sono importanti, questo aspetto potrebbe essere meno
percepito. Ma la maggiore vulnerabilità delle donne è reale. Più
spesso disoccupate, sono anche coloro che rischiano maggiormente di
perdere il loro posto di lavoro. Le donne hanno una maggiore
propensione ad accettare il rischio di perdere il posto nei
successivi sei mesi: in Finlandia (17% donne-11% uomini), in
Danimarca (11% e 7%), in Belgio (quasi 10% e 4%), in Spagna o in
Austria. In altri paesi come Francia, Portogallo e Regno Unito, la
minaccia pesa sulle industrie tradizionalmente maschili, che porta a
spiegare la minore paura delle donne di perdere il lavoro rispetto
agli uomini. (In pratica, una donna si attende con maggiori
probabilità di venire licenziata in caso di crisi, per questo
sarebbe meno preoccupata e più propensa ad accettare l’eventualità:
come dire, che ne siamo consapevoli, lo accettiamo meglio, insomma
viviamo meglio le fregature, bah, sono perplessa, ndr).
L’occupazione
femminile resta confinata alle posizioni di minor conto,
nell’agricoltura, nel commercio e nei servizi. Sono pagate meno e
più colpite dalla povertà. Negli Usa, il tasso di povertà delle
donne è stato del 14,5% contro il 10,9% degli uomini nel 2011. E
soprattutto continuano a fare la “doppia giornata” di lavoro:
tornate a casa, la maggior parte deve svolgere le mansioni
domestiche, lavare i piatti, pulire, cura dei bambini e delle persone
non autosufficienti ecc. In Francia questi compiti occupano 20,32 ore
settimanali rispetto alle 8,38 ore degli uomini.Se includiamo
bricolage, giardinaggio, shopping o giocare con i bambini, lo
squilibrio si riduce ad appena 26,15 ore per le donne contro le 16,20
per gli uomini.
“L’uguaglianza
di genere proclamato in numerosi testi non è acquisito di fatto, è
necessario mettere in evidenza gli ostacoli”, avverte Isabelle
Attané. Nella sfera privata, ad esempio, le rappresentazioni sono
complicate. “Sappiamo che la politica scolastica è guidata dalla
socializzazione di genere, già presente in ambito familiare”. Le
donne laureate in materie scientifiche sono la maggioranza in Asia
centrale, in Medio Oriente e Nord Africa, mentre in Europa
occidentale e Nord America le donne sono poco presenti negli studi
quali l’informatica e l’ingegneria, privilegiando ambiti quali la
sanità, il sociale e la puericultura.
Le
disuguaglianze si sono spostate, sostiene Wilfried Rault, sociologo
presso l’INED e coautore dello studio. “Il tasso si
scolarizzazione delle donne progredisce, i canali e l’accesso a
determinate professioni sono più discriminanti. Questo avveniva già
in passato, ma il confine si è spostato: le disuguaglianze si
verificano più tardi”.
Nel
mondo del cinema, dice Brigitte Rollet, esperta in audiovisivi e
insegnante a Sciences-Po, le donne rappresentavano l’86% dei posti
di lavoro nel settore dei costumi e il 62% in quello delle
scenografie, ma il 32% nella regia o il 22% nel suono, secondo la
ricerca sugli studenti diplomati alla Fémis, l’école nationale
supérieure des métiers de l’image et du son, tra il 2000 e il
2010.
Il
prodotto cinematografico, nonostante le protagoniste femminili siano
presenti sui manifesti, è molto maschile. Infatti, la quota di donne
nella redazione di Positif è solo del 12%, l’8% presso Première e
il 22 % presso Cahiers du cinéma. Erano inesistenti nel CdA di UGC
nel 2013, solo il 25% presso Pathé e il 30% in quello di Studio
Canal e Gaumon. Per completare il quadro inglorioso, dalla creazione
del premio César nel 1976, una sola donna, Tonie Marshall, ha vinto
il premio come miglior regista.
L’offensiva
del conservatorismo (qui un articolo) a livello nazionale e
internazionale, attraverso stati come il Vaticano o i paesi più
integralisti dell’Africa e del Golfo, rallentano la marcia verso
l’uguaglianza. Al di là dei più reazionari, molti stati sono
riluttanti all’idea che ci siano testi internazionali che fissino
le regole. Ciò accade in Europa sul diritto di aborto, in Spagna
come in Italia, o nel dibattito francese. C’è una vera e propria
confusione tra la questione dell’uguaglianza e quella della
differenza, ritiene Wilfried Rault. Non vi è alcuna legge naturale
che colpisca uomini e donne. E nessun discorso può giustificare la
disuguaglianza. Per dirla come Simone de Beauvoir, nel 1949, “Non
si nasce donna, si diventa” (Il secondo sesso).
A
complicare questa lunga marcia verso l’uguaglianza, i miglioramenti
possono anche generare nuovi problemi. Ad esempio, l’accesso alla
contraccezione mette più pressione alle donne che agli uomini,
creando una nuova disuguaglianza. Tra tutti i contraccettivi, la
sterilizzazione femminile è la più utilizzata al mondo (18,9%) (ndr
qui un articolo recente su quello che accade in India), prima della
spirale intrauterina (14,3 %) e della pillola (8,8 %) e ben prima del
preservativo maschile (7,6%). “La sterilizzazione delle donne,
usata soprattutto in Brasile e in Messico, preclude la via alla
maternità dopo i primi figli, mentre gli uomini possono ancora
diventare padri, spiega Carole Brugeilles, demografa e insegnante
presso l’università Paris Ouest, e terza co-autrice dell’Atlas.
Un altro esempio è la medicalizzazione del parto, un progresso
innegabile, ma a volte porta a una iper-medicalizzazione che mette a
repentaglio la salute della donna. Il cesareo dovrebbe essere una
pratica accessibile a tutte le donne che ne hanno bisogno (e spesso
(in alcuni paesi) non è così). Quando però si verificano delle
percentuali di cesareo che superano il 30% dei parti, per esempio, ci
si dovrebbe domandare se si può parlare di reale progresso, oppure
non si debba parlare addirittura di una forma di violenza.
Le
disuguaglianze tra uomini e donne si riconfigurano, si spostano, si
edulcorano, sostengono gli autori dell’Atlas. Per coloro che ci
hanno messo più di un secolo per ottenere il diritto di voto – le
donne neozelandesi votano dal 1893, mentre le kuwaitiane hanno potuto
partecipare alle elezioni comunali solo nel 2006 – e coloro che
ancora non possono farlo come in Arabia Saudita , le disuguaglianze
sono ben lontane dallo scomparire.
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