domenica 1 febbraio 2015

Le donne di Kobane: le più belle del mondo

Mi sono perso nel guardare le foto dei festeggiamenti dei curdi, l’altro giorno. Mi sono perso nei loro sorrisi, nei volti puliti, nei capelli sciolti e nei pugni sollevati al vento, contro un cielo nero, buio, di una notte illuminata a giorno.
Non mi sono sentito rincuorato o felice quando ho letto la notizia di Kobane libera; lo sono stato quando ho visto queste foto – quando ai vincitori, ho potuto associare un volto. E che bellezza c’era in questo volto. Un volto di donna, giovane; un volto finalmente libero – com’è finalmente libera Kobane – dall’ansia e dallo stress, ringiovanito della contentezza della vittoria, rilassato come non lo era da mesi.
La notizia della liberazione di Kobane ci ha raggiunti qualche ora dopo la vittoria di Tsipras in Grecia. E per questo, dice qualcuno, è passata un po’ in sordina. I pochi quotidiani che ne hanno parlato hanno l’hanno ridotta a niente, a un passaggio necessario, a una svolta attesa e non così tanto sperata. Kobane libera è stata solo terra tolta all’Isis, per questi quotidiani. Eppure, e lo sanno bene i curdi, non è così. Kobane libera segna la vittoria dell’umanità, un’umanità che riprende fiato dalla pesantezza della solitudine e dell’estremismo. Abbandonata da tutti, ricordata da pochi, celebrata dai più deboli.
Non sono un attivista e forse non lo sarò mai. Non sono nemmeno uno dei sostenitori della prima ora, eppure anche io mi sono innamorato di Kobane, delle donne di Kobane, le più belle del mondo. Belle di una bellezza nuova, rigenerata, scaturita come una fiamma dall’incontenibile gioia di ritornare per le strade della propria città, da donne libere.
L’esempio virtuoso di Kobane, piccolo e allo stesso tempo grande, è anch’esso passato in sordina. Tra chi ne ha parlato riducendolo a passaggio forzato della cronaca e chi – forse esagerando, forse no – l’ha definito modello vincente, nuovo e moderno (la parità assoluta tra uomini e donne, nessuna discriminazione, nessuna differenza) ha fatto da cappello ad articoli e da ciccia agli editoriali. È stata l’ambientazione perfetta per una storia che dopo i primi mesi di interesse internazionale è caduta nel dimenticatoio. I giornalisti rimasti sul posto sono diminuiti: alla resistenza curda, è stato “preferito” l’attentato francese. Perché parlare di più cose, a una platea costantemente bombardata da input e informazioni com’è quella che popola il web e legge i giornali oggi, è un azzardo. E si rischierebbe di perdere l’attenzione.
Anche per questo la vittoria delle donne di Kobane è stata più bella: perché hanno lottato quanto e più degli uomini, e sono state protagoniste del loro destino e della loro vita. Prima schiacciate, allontanate a forza dalle loro case, costrette a vedere i loro conquistatori padroni nella loro città attraverso le fessure della rete metallica alzata sul confine, e poi libere, trionfatrici, sorridenti.
Le donne di Kobane sono le più belle del mondo, e in quelle foto di ieri, del loro trionfo, lo resteranno per sempre. Simboli di una lotta povera, del più debole contro il più forte, della giustizia e della libertà contro l’estremismo cieco e nero; l’urlo di dolore di una città, di una nazione, di un popolo rimasto inascoltato, e che da solo, non per miracolo ma per la forza di coloro che hanno resistito e combattuto, si è fatto largo tra le macerie e le strade abbandonate, tra i razzi, i proiettili, la morte. Il sorriso di quelle donne è un sorriso che sa di vita.


Nessun commento: