“Quella della ‘signora Sisa’ è una figura epica. La sua è la storia esemplare di forza e vitalità di una donna egiziana che ‘vale cento uomini’, e che cerca con onestà di guadagnarsi la vita senza chiedere l’elemosina, andando oltre ogni limite imposto dalle tradizioni”. Così la racconta Muhssin Gud su Akhbar El Yom (settimanale egiziano fondato nel 1944).
Sisa ha dedicato tutta la vita alla sua unica figlia, Huda. Rimasta vedova durante il sesto mese di gravidanza, ha rifiutato di risposarsi e da subito, con la piccola ancora nella pancia, si è vista costretta a lavorare per mantenersi, nonostante avesse sei fratelli maschi in famiglia. Ma al tempo, nella comunità dell’Alto Egitto dove è nata, esistevano tradizioni che impedivano alle donne di lavorare: il modo escogitato da Sisa per aggirarle è stato allora di travestirsi da uomo, indossando un gelbab (abito lungo) di lana, una sciarpa e un cappello. Le sue mani delicate non le hanno impedito di fare lavori pesanti da uomo, come costruire mattoni all’interno del cimitero del villaggio, o fare il muratore: “Il lavoro è duro, ma mi dà la dignità”, è ciò che Sisa ripete sempre.
“La sua felicità era poter comprare alla figlia tutto ciò che desiderava – racconta Akhbar El Yom – Sisa ha subito molestie verbali da parte di tanti uomini, ma non ha esitato a reagire prendendoli a testate... ‘Ho rifiutato di chiedere l’elemosina finché non è cresciuta mia figlia, dice: ora che è sposata e ha cinque figli avevo pensato che era arrivato il momento di smettere di lavorare. Ma all’improvviso s’è ammalato mio genero e mi sono trovata a doverci andare di nuovo per aiutare la famiglia’”.
Sisa dice che la sua salute non è più come prima, per questo adesso, ormai traferita al Cairo, lavora come lustrascarpe, “un lavoro leggero giusto per non ridurmi a chiedere l’elemosina alla mia età: ho più di 64 anni”. “Mi sveglio un’ora prima dell’alba – racconta – faccio la preghiera e poi esco con la scatoletta per lustrare le scarpe. Rientro la sera, faccio cena e vado a dormire”. Sisa esce col suo gelbab tradizionale e la sua imama (sciarpa avvolta intorno alla testa) e gira nelle vie: “Nessuno qui conosce il mio segreto – dice – tranne Dio: ho la voce da uomo, l’ho acquisita durante il mio lavoro nel cimitero”.
“Ho fatto lavori difficili – conclude con soddisfazione – per non lasciare mia figlia senzatetto, e ovviamente questo mi ha fatto guadagnare il rispetto di tutti. Cosa mi manca? Vorrei una pensione per mio genero che è invalido e una piccola casa per tutti noi che ora siamo divisi, se fate qualcosa prego per voi. Ma prego per voi lo stesso, anche se non fate niente”. (Traduzione di Zahra Youssofi)
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