venerdì 27 febbraio 2015

Cecilia, avvocato di strada per restituire i diritti ai senza fissa dimora di Letizia Rittatore Vonwiller

Cecilia Capossela, 34 anni, un figlio di pochi mesi, Lorenzo, dal 2004 fa la volontaria nello studio legale più grande d’Italia. L’organizzazione «Avvocato di strada», nata a Bologna alla fine del 2000 e con sedi in tutta Italia, grazie all’impegno del fondatore e presidente Antonio Mumolo, offre assistenza legale gratuita a persone senza fissa dimora.
In che cosa consiste questa attività? «Trascorro due ore in un dormitorio di Bologna: dalle otto alle dieci di sera, quando i senzatetto rientrano per la cena dalla giornata alla ricerca di lavoro o altro, e aspetto che si facciano avanti con le loro richieste», spiega Cecilia che, nata a Benevento, vive dal 1998 a Bologna, dove si è laureata in giurisprudenza, si è sposata, e lavora come avvocato in uno studio privato di diritto civile.
Gli homeless sono persone che, non avendo una residenza, non sono riconosciuti dallo Stato e pertanto sono privati dei loro diritti fondamentali, come la sanità e la tutela legale. «La prima cosa da capire è se tutto quello che mi viene raccontato è vero o è frutto di fantasia. Controllo poi tutta la documentazione, quando presente – c’è chi arriva con lettere della banca di 10 anni prima, missive al presidente della Repubblica mai inviate, vecchissime carte d’identità. Faccio loro delle domande per capire di cosa hanno effettivamente bisogno. Importante è anche scoprire il loro servizio sociale di riferimento, come Sert (Servizi per le Tossicodipendenze), in modo tale da avere un referente con cui confrontarsi o a cui chiedere altra documentazione. A volte capita anche di avere di fronte dei mitomani o qualcuno che ha semplicemente bisogno di parlare o che è convinto di avere dei diritti che si rivelano infondati. La maggior parte però ha bisogno davvero di essere seguita per ottenere quello che chiede o che gli spetta. A differenza di come avviene negli sportelli, cui gli utenti si recano volontariamente, nel dormitorio è come se andassi a casa loro. A volte capita di incontrare senzatetto che sanno di aver bisogno di te, ma che sono arroganti: buttano le carte per terra, ti guardano storto, sono diffidenti soprattutto con le donne o ti rinfacciano di non fare abbastanza. La sfida, in questo caso, è smussare le asprezze e conquistare la fiducia».
Il primo passo nella tutela di queste persone è l’ottenimento della residenza, senza la quale lo Stato italiano non riconosce alcun tipo di diritto, tanto meno la tutela legale.
«Avvocato di strada ha dovuto affrontare una causa pilota contro il Comune di Bologna, per la tutela del diritto alla residenza che aveva negato a una persona senza fissa dimora» racconta Cecilia. «L’azione giudiziaria si è conclusa con il riconoscimento di tale diritto e con la condanna del Comune di Bologna al pagamento delle spese legali. A seguito della pronuncia del giudice, le persone senza fissa dimora, in tutto il territorio nazionale, oggi possono richiedere e ottenere la residenza anagrafica presso i dormitori, i centri di accoglienza, le associazioni, una panchina, basta che indichino l’ubicazione (piazza o via) e la fascia oraria in cui è possibile trovarli. Il risultato è ancora più importante se si pensa che l’iscrizione nei registri anagrafici è il presupposto imprescindibile per beneficiare dell’assistenza sanitaria nazionale, per esercitare il diritto di voto, per iscriversi alle liste di collocamento, per aprire la partita IVA e, in generale, per godere di diritti. Questa è stata una battaglia vinta dalla nostra associazione».
Le problematiche affrontate in diritto civile sono molteplici: ci sono padri separati che non riescono a mantenere la famiglia, perché magari hanno perso il lavoro, e sono costretti a vivere in strada, e che hanno però diritto a chiedere alcune modifiche delle condizioni della separazione; genitori non accuditi dai figli che hanno invece diritto al mantenimento; questioni di eredità; risarcimenti da infortuni sul lavoro; trattamenti economici inadeguati; assegnazione della casa comunale».

Ma la triade maternità-lavoro-volontariato è possibile? «Certo!», risponde Cecilia che nel periodo della gravidanza ha continuato a prestare servizio nel dormitorio. «Ora con la nascita e l’allattamento è più difficile, ma ho intenzione di ricominciare presto perché è un’attività che mi stimola. Vedo realtà che in uno studio legale tradizionale non affronterei mai, mi sforzo per trovare escamotage, risolvere questioni complesse», conclude. «E poi è bello quando riesci a vincere, a far applicare la giustizia e magari conquistare anche un equo risarcimento danni, com’è accaduto a una persona che aveva avuto un incidente su un mezzo pubblico. A seguito dell’azione legale ha avuto un risarcimento in denaro dei danni fisici subiti. Così è ripartita. A volte basta anche poco per ritornare alla vita».

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