Cecilia
Capossela, 34 anni, un figlio di pochi mesi, Lorenzo, dal 2004 fa la
volontaria nello studio legale più grande d’Italia.
L’organizzazione «Avvocato di strada», nata a Bologna alla fine
del 2000 e con sedi in tutta Italia, grazie all’impegno del
fondatore e presidente Antonio Mumolo, offre assistenza legale
gratuita a persone senza fissa dimora.
In
che cosa consiste questa attività? «Trascorro due ore in un
dormitorio di Bologna: dalle otto alle dieci di sera, quando i
senzatetto rientrano per la cena dalla giornata alla ricerca di
lavoro o altro, e aspetto che si facciano avanti con le loro
richieste», spiega Cecilia che, nata a Benevento, vive dal 1998 a
Bologna, dove si è laureata in giurisprudenza, si è sposata, e
lavora come avvocato in uno studio privato di diritto civile.
Gli
homeless sono persone che, non avendo una residenza, non sono
riconosciuti dallo Stato e pertanto sono privati dei loro diritti
fondamentali, come la sanità e la tutela legale. «La prima cosa da
capire è se tutto quello che mi viene raccontato è vero o è frutto
di fantasia. Controllo poi tutta la documentazione, quando presente –
c’è chi arriva con lettere della banca di 10 anni prima, missive
al presidente della Repubblica mai inviate, vecchissime carte
d’identità. Faccio loro delle domande per capire di cosa hanno
effettivamente bisogno. Importante è anche scoprire il loro servizio
sociale di riferimento, come Sert (Servizi per le Tossicodipendenze),
in modo tale da avere un referente con cui confrontarsi o a cui
chiedere altra documentazione. A volte capita anche di avere di
fronte dei mitomani o qualcuno che ha semplicemente bisogno di
parlare o che è convinto di avere dei diritti che si rivelano
infondati. La maggior parte però ha bisogno davvero di essere
seguita per ottenere quello che chiede o che gli spetta. A differenza
di come avviene negli sportelli, cui gli utenti si recano
volontariamente, nel dormitorio è come se andassi a casa loro. A
volte capita di incontrare senzatetto che sanno di aver bisogno di
te, ma che sono arroganti: buttano le carte per terra, ti guardano
storto, sono diffidenti soprattutto con le donne o ti rinfacciano di
non fare abbastanza. La sfida, in questo caso, è smussare le
asprezze e conquistare la fiducia».
Il
primo passo nella tutela di queste persone è l’ottenimento della
residenza, senza la quale lo Stato italiano non riconosce alcun tipo
di diritto, tanto meno la tutela legale.
«Avvocato
di strada ha dovuto affrontare una causa pilota contro il Comune di
Bologna, per la tutela del diritto alla residenza che aveva negato a
una persona senza fissa dimora» racconta Cecilia. «L’azione
giudiziaria si è conclusa con il riconoscimento di tale diritto e
con la condanna del Comune di Bologna al pagamento delle spese
legali. A seguito della pronuncia del giudice, le persone senza fissa
dimora, in tutto il territorio nazionale, oggi possono richiedere e
ottenere la residenza anagrafica presso i dormitori, i centri di
accoglienza, le associazioni, una panchina, basta che indichino
l’ubicazione (piazza o via) e la fascia oraria in cui è possibile
trovarli. Il risultato è ancora più importante se si pensa che
l’iscrizione nei registri anagrafici è il presupposto
imprescindibile per beneficiare dell’assistenza sanitaria
nazionale, per esercitare il diritto di voto, per iscriversi alle
liste di collocamento, per aprire la partita IVA e, in generale, per
godere di diritti. Questa è stata una battaglia vinta dalla nostra
associazione».
Le
problematiche affrontate in diritto civile sono molteplici: ci sono
padri separati che non riescono a mantenere la famiglia, perché
magari hanno perso il lavoro, e sono costretti a vivere in strada, e
che hanno però diritto a chiedere alcune modifiche delle condizioni
della separazione; genitori non accuditi dai figli che hanno invece
diritto al mantenimento; questioni di eredità; risarcimenti da
infortuni sul lavoro; trattamenti economici inadeguati; assegnazione
della casa comunale».
Ma
la triade maternità-lavoro-volontariato è possibile? «Certo!»,
risponde Cecilia che nel periodo della gravidanza ha continuato a
prestare servizio nel dormitorio. «Ora con la nascita e
l’allattamento è più difficile, ma ho intenzione di ricominciare
presto perché è un’attività che mi stimola. Vedo realtà che in
uno studio legale tradizionale non affronterei mai, mi sforzo per
trovare escamotage, risolvere questioni complesse», conclude. «E
poi è bello quando riesci a vincere, a far applicare la giustizia e
magari conquistare anche un equo risarcimento danni, com’è
accaduto a una persona che aveva avuto un incidente su un mezzo
pubblico. A seguito dell’azione legale ha avuto un risarcimento in
denaro dei danni fisici subiti. Così è ripartita. A volte basta
anche poco per ritornare alla vita».
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