Dedicato
ancora a quelle donne che fanno le
"finte evolute" e chiamano tutte ancora al "maschile: "
Noi
dobbiamo guardare senza paura dietro la difficoltà delle donne di
femminilizzare le parole che definiscono i loro mestieri, le loro
qualifiche pubbliche. Non diamo per assodato che sia facile farlo.
Quando ho cominciato a scrivere libri e a girare film, le domande più
ricorrenti erano: "Cosa c'è di femminile nelle tue storie? Ti
senti un'artista donna?" Ero giovane e prendevo queste domande
come degli insulti, rispondevo:"L'arte non ha sesso." Mi ci
sono voluti anni per capire e sentire che non c'era diminuzione nel
sentirmi una donna che scrive e fa film, che la mia forza e la mia
creatività erano invece cresciute nel corpo e nella mente di una
donna. Ma allora facevo bene a diffidare delle domande che tendevano
a relegare il mio lavoro nella riserva delle femmine. Noi dobbiamo
porci questa domanda: l'accesso sempre più numerose delle donne
nella società, al potere, nelle professioni, arricchirà il mondo di
un altro punto di vista, di un'altra storia? O invece ci adegueremo
alla società che troviamo e da cui per millenni siamo state fuori.
Se ci sentiamo pari ma diverse e vogliamo rendere diverso il mondo,
allora la "a" finale che ci definisce sarà la nostra
grandezza. Se non vogliamo distinguerci la sentiremo ancora e per
molto tempo come la nostra vergogna e il nostro limite. Dietro questa
scelta c'è la questione politica più importante che le donne si
trovano ora davanti.
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