Tre direttrici
d'orchestra sul podio, l'Aida, la Tosca e la Traviata, una soprano
impegnata per le donne etiopi e donne che raccontano le proprie
aspirazioni e il proprio lavoro.
Il Festival dell'Opera di Macerata
compie 50 anni e festeggia celebrando le #donneallopera
Giunto alla
cinquantesima edizione, il Macerata Opera Festival 2014 si presenta
quest’anno con lo slogan “L’opera è donna”. Un leitmotiv che
permea tutta la stagione lirica, dalle scelte artistiche a quelle
musicali, alle strategie di comunicazione.
Quattro donne sono,
infatti, le protagoniste assolute dei tre titoli proposti – “Aida”,
“Tosca” e “La Traviata”: una schiava etiope e una principessa
egiziana, una cantante della Roma papalina, e una cortigiana
parigina. Tuttavia, la novità non risiede tanto nella scelta dei
titoli, che rappresentano un ever green del repertorio operistico più
conosciuto e che assicurano il successo delle vendite al botteghino.
È un’operazione non particolarmente difficile visto che la storia
della lirica è piena di libretti in cui è una figura femminile ad
essere il vero motore della trama.
La vera novità è che
a dirigere i titoli in cartellone sono tre direttrici d’orchestra:
Julia Jones, Eun Sun Kim e Speranza Scappucci. Un cambiamento
epocale, visto che il podio all’interno del golfo mistico è stato
quasi sempre appannaggio di direttori. Nell’immaginario collettivo
le bacchette illustri sono Herbert von Karajan, Claudio Abbado,
Riccardo Muti, Lorin Maazel, solo per citarne alcuni; in pochissimi
conoscono Sarah Caldwell, che a Boston e a New York è riuscita a
ritagliarsi uno spazio di tutto rilievo. Ma perché le direttrici
faticano tanto a salire sul podio di un’orchestra?
Indubbiamente scontano
pregiudizi e retaggi che considerano prettamente maschile la capacità
di “comandare a bacchetta”. Perché un maestro concertatore
dovrebbe cedere il posto a una maestra concertatrice? Il direttore
era nel passato per antonomasia un uomo e ancora oggi tale prassi è
dura a morire.
E pensare, invece, che
i teatri dell’opera hanno dato storicamente la possibilità a molte
donne di emanciparsi e guadagnare bene. Nei primi anni
dell’Ottocento, le donne iniziano a calcare la scena e le cantanti
salgono alla ribalta, con dei cachet stellari da far invidia ai
professionisti più affermati dell’epoca, e agli stessi
compositori. È necessario aspettare gli anni Settanta dell’Ottocento
per avere in Italia la prima medica, gli anni Ottanta per la prima
avvocatessa e il 1963 per la prima magistrata. Già da molto tempo
invece, le cantanti avevano conquistato la loro autonomia, divenendo
spesso più famose e influenti degli stessi compositori; la storia
musicale è piena, infatti, di scelte compositive o registiche
dettate dalla volontà di una diva: un’aria aggiunta per dare più
spazio in scena a questa o a quella soprano – come è stato proprio
per l’“Aida”; un brano musicale abbassato di tonalità per
venire incontro a questa o quell’artista; un costume di scena non
proprio ortodosso ma concesso per accontentare questa o
quell’interprete. Guai a non tenere conto delle esigenze artistiche
delle prime donne (non dimenticando però che di “primi uomini”
ce ne erano e ce ne sono altrettanti, e altrettanto esigenti).
Certo, si tratta di una
talento naturale, la voce, che però da sola non bastava; per
diventare cantanti liriche era necessario studiare, e lo studio, per
le donne, avveniva in contesti non istituzionali: principalmente in
casa con docenti privati o con un familiare, sicuramente non nei
conservatori, dove le donne non potevano entrare[i]. L’esclusione
dai luoghi del sapere ha lasciato lunghi strascichi: ancora oggi nel
gergo teatrale ci si congratula con il “Maestro” Muti, il
“Maestro” Zeffirelli o il “Maestro” Domingo, mentre, e a
parità di titolo di studio, facciamo i complimenti alla “Signora”
Cedolins per la splendida Aida cantata allo Sferisterio il 18 luglio.
Non solo fiori per le
cantanti liriche, prima del Novecento; il pubblico che dai palchi del
teatro applaudiva con vigore il merito artistico, non era poi così
generoso fuori: come verso altre donne autonome e con una vita fuori
dalle norme, anche nei confronti delle cantanti (e del loro mestiere)
c’erano moltissimi pregiudizi: le dive erano spesso single o
avevano accanto un uomo che faceva il loro stesso lavoro o
apparteneva al loro stesso ambiente; sposarsi con chi era estraneo al
mondo teatrale significava dover abbandonare le scene.
Mentre il Novecento ha
visto il pieno affrancamento del mestiere della cantante, in linea
con una tendenza più generale che per fortuna ha coinvolto anche
altri campi professionali, non è successo lo stesso con la direzione
d’orchestra; speriamo che “L’opera è donna” sia il segno di
un cambiamento. Tornando al Macerata Opera Festival è importante
ricordare come questo impegno per le donne si realizzi anche
attraverso altre attività: #donneallopera è diventato lo slogan di
una campagna che racconta il lavoro e le aspirazioni delle donne
contemporanee. Tre le domande per partecipare: chi sei e cosa fai?
cosa chiedi per la donna di oggi? chi è per te la donna
contemporanea? E se scorriamo la bacheca sulla pagina dedicata del
sito del teatro, incontriamo Stefania, impegnata con la sua macchina
fotografica; Monica, che ci parla delle ceramiste al lavoro;
Donatella, che disegna e realizza gioielli; e tante altre che hanno
voluto raccontarsi e raccontare il proprio lavoro. A questa
iniziativa sulle donne al lavoro se ne aggiunge una che si ispira
all’Aida: “Aida per le donne etiopi” è una campagna con cui
l’Associazione Arena Sferisterio e la soprano Fiorenza Cedolins,
interprete di Aida, sostengono il progetto “Vicky-Water” della
ONG ActionAid. L’obiettivo del progetto è il miglioramento
dell’accesso all’acqua e delle condizioni sanitarie delle donne e
delle comunità del distretto di Azernet in Etiopia. La condizione di
estrema povertà è fortemente aggravata da una pronunciata
disuguaglianza di genere: spetta tradizionalmente alle donne e alle
bambine la raccolta dell’acqua; attività, questa, che le costringe
a camminare per diverse ore al giorno per raggiungere le fonti,
sottraendo molto tempo all’istruzione. Ne deriva un differenziale
di genere nel tasso di alfabetizzazione a sfavore della componente
femminile della popolazione etiope, che ne aggrava ulteriormente la
condizione. La raccolta fondi, portata avanti con passione, durante
gli intervalli, da tante cooperanti, è finalizzata alla costruzione
di quattro nuovi chioschi di acqua potabile e al rafforzamento di
gruppi di risparmio e credito per dare la possibilità alle donne di
avviare una propria attività che ne garantisca l’indipendenza
economica; questo, nella convinzione che il lavoro e l’autonomia
economica siano il primo passo verso l’uguaglianza di genere.
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