giovedì 7 agosto 2014

Donne all'Opera. Palco, podio e acqua potabile


Tre direttrici d'orchestra sul podio, l'Aida, la Tosca e la Traviata, una soprano impegnata per le donne etiopi e donne che raccontano le proprie aspirazioni e il proprio lavoro.
Il Festival dell'Opera di Macerata compie 50 anni e festeggia celebrando le #donneallopera
Giunto alla cinquantesima edizione, il Macerata Opera Festival 2014 si presenta quest’anno con lo slogan “L’opera è donna”. Un leitmotiv che permea tutta la stagione lirica, dalle scelte artistiche a quelle musicali, alle strategie di comunicazione.
Quattro donne sono, infatti, le protagoniste assolute dei tre titoli proposti – “Aida”, “Tosca” e “La Traviata”: una schiava etiope e una principessa egiziana, una cantante della Roma papalina, e una cortigiana parigina. Tuttavia, la novità non risiede tanto nella scelta dei titoli, che rappresentano un ever green del repertorio operistico più conosciuto e che assicurano il successo delle vendite al botteghino. È un’operazione non particolarmente difficile visto che la storia della lirica è piena di libretti in cui è una figura femminile ad essere il vero motore della trama.
La vera novità è che a dirigere i titoli in cartellone sono tre direttrici d’orchestra: Julia Jones, Eun Sun Kim e Speranza Scappucci. Un cambiamento epocale, visto che il podio all’interno del golfo mistico è stato quasi sempre appannaggio di direttori. Nell’immaginario collettivo le bacchette illustri sono Herbert von Karajan, Claudio Abbado, Riccardo Muti, Lorin Maazel, solo per citarne alcuni; in pochissimi conoscono Sarah Caldwell, che a Boston e a New York è riuscita a ritagliarsi uno spazio di tutto rilievo. Ma perché le direttrici faticano tanto a salire sul podio di un’orchestra?
Indubbiamente scontano pregiudizi e retaggi che considerano prettamente maschile la capacità di “comandare a bacchetta”. Perché un maestro concertatore dovrebbe cedere il posto a una maestra concertatrice? Il direttore era nel passato per antonomasia un uomo e ancora oggi tale prassi è dura a morire.
E pensare, invece, che i teatri dell’opera hanno dato storicamente la possibilità a molte donne di emanciparsi e guadagnare bene. Nei primi anni dell’Ottocento, le donne iniziano a calcare la scena e le cantanti salgono alla ribalta, con dei cachet stellari da far invidia ai professionisti più affermati dell’epoca, e agli stessi compositori. È necessario aspettare gli anni Settanta dell’Ottocento per avere in Italia la prima medica, gli anni Ottanta per la prima avvocatessa e il 1963 per la prima magistrata. Già da molto tempo invece, le cantanti avevano conquistato la loro autonomia, divenendo spesso più famose e influenti degli stessi compositori; la storia musicale è piena, infatti, di scelte compositive o registiche dettate dalla volontà di una diva: un’aria aggiunta per dare più spazio in scena a questa o a quella soprano – come è stato proprio per l’“Aida”; un brano musicale abbassato di tonalità per venire incontro a questa o quell’artista; un costume di scena non proprio ortodosso ma concesso per accontentare questa o quell’interprete. Guai a non tenere conto delle esigenze artistiche delle prime donne (non dimenticando però che di “primi uomini” ce ne erano e ce ne sono altrettanti, e altrettanto esigenti).
Certo, si tratta di una talento naturale, la voce, che però da sola non bastava; per diventare cantanti liriche era necessario studiare, e lo studio, per le donne, avveniva in contesti non istituzionali: principalmente in casa con docenti privati o con un familiare, sicuramente non nei conservatori, dove le donne non potevano entrare[i]. L’esclusione dai luoghi del sapere ha lasciato lunghi strascichi: ancora oggi nel gergo teatrale ci si congratula con il “Maestro” Muti, il “Maestro” Zeffirelli o il “Maestro” Domingo, mentre, e a parità di titolo di studio, facciamo i complimenti alla “Signora” Cedolins per la splendida Aida cantata allo Sferisterio il 18 luglio.
Non solo fiori per le cantanti liriche, prima del Novecento; il pubblico che dai palchi del teatro applaudiva con vigore il merito artistico, non era poi così generoso fuori: come verso altre donne autonome e con una vita fuori dalle norme, anche nei confronti delle cantanti (e del loro mestiere) c’erano moltissimi pregiudizi: le dive erano spesso single o avevano accanto un uomo che faceva il loro stesso lavoro o apparteneva al loro stesso ambiente; sposarsi con chi era estraneo al mondo teatrale significava dover abbandonare le scene.
Mentre il Novecento ha visto il pieno affrancamento del mestiere della cantante, in linea con una tendenza più generale che per fortuna ha coinvolto anche altri campi professionali, non è successo lo stesso con la direzione d’orchestra; speriamo che “L’opera è donna” sia il segno di un cambiamento. Tornando al Macerata Opera Festival è importante ricordare come questo impegno per le donne si realizzi anche attraverso altre attività: #donneallopera è diventato lo slogan di una campagna che racconta il lavoro e le aspirazioni delle donne contemporanee. Tre le domande per partecipare: chi sei e cosa fai? cosa chiedi per la donna di oggi? chi è per te la donna contemporanea? E se scorriamo la bacheca sulla pagina dedicata del sito del teatro, incontriamo Stefania, impegnata con la sua macchina fotografica; Monica, che ci parla delle ceramiste al lavoro; Donatella, che disegna e realizza gioielli; e tante altre che hanno voluto raccontarsi e raccontare il proprio lavoro. A questa iniziativa sulle donne al lavoro se ne aggiunge una che si ispira all’Aida: “Aida per le donne etiopi” è una campagna con cui l’Associazione Arena Sferisterio e la soprano Fiorenza Cedolins, interprete di Aida, sostengono il progetto “Vicky-Water” della ONG ActionAid. L’obiettivo del progetto è il miglioramento dell’accesso all’acqua e delle condizioni sanitarie delle donne e delle comunità del distretto di Azernet in Etiopia. La condizione di estrema povertà è fortemente aggravata da una pronunciata disuguaglianza di genere: spetta tradizionalmente alle donne e alle bambine la raccolta dell’acqua; attività, questa, che le costringe a camminare per diverse ore al giorno per raggiungere le fonti, sottraendo molto tempo all’istruzione. Ne deriva un differenziale di genere nel tasso di alfabetizzazione a sfavore della componente femminile della popolazione etiope, che ne aggrava ulteriormente la condizione. La raccolta fondi, portata avanti con passione, durante gli intervalli, da tante cooperanti, è finalizzata alla costruzione di quattro nuovi chioschi di acqua potabile e al rafforzamento di gruppi di risparmio e credito per dare la possibilità alle donne di avviare una propria attività che ne garantisca l’indipendenza economica; questo, nella convinzione che il lavoro e l’autonomia economica siano il primo passo verso l’uguaglianza di genere.


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