Ci sono luoghi lontani,
altri mondi immutabili, dove vengono lapidate per adulterio,
ammazzate se non portano il velo, esortate a non sorridere; dove non
possono guidare, andare a scuola, rifiutare il marito scelto dalla
famiglia; dove vengono date in sposa a dieci anni a vecchiacci,
rapite per trasformarle in kamikaze, stuprate e impiccate, dove le
bambine vengono mutilate dei genitali perché non conoscano il
piacere. Sono luoghi, mondi dove tutto è regolato dal funesto e
pazzo imperio maschile sulle donne, creature inferiori secondo leggi
e costumi millenari.
L’Italia sarebbe
invece il loro paradiso, il regno della parità dove abbondano
ministre e amministratrici delegate e quelle che cacciano il compagno
di casa, se non fosse che ogni tanto i loro uomini le ammazzano per
troppo amore. Ma allora sarà il caso di vantarsi di antifemmismo,
come ha fatto una piccola folla di giovani americane con i loro
cartelli infantili sui blog, dimenticandosi di altri mondi e altri
modi umiliati e pericolosi di essere donna; o sarebbe meglio lasciare
perdere, e semplicemente convincere il marito che non deve
schiaffeggiare la moglie solo perché lei guadagna di più o anche
organizzare una protesta tra signore perché secondo l’Istat le
pensioni maschili sono almeno il doppio
di quelle femminili.
Non c’è bisogno di
dichiararsi femministe, suscitando ancora qualche sghignazzo, se si
esce volentieri tra amiche o ci si innervosisce se i compagni di
università, ancora oggi ti prendono in giro consigliandoti di
lasciar perdere la laurea e startene in cucina. Né soprattutto di
vantarsi di essere antifemministe solo perché si portano i tacchi a
spillo anche sulle rocce o si seguono avidamente le ricette di Giallo
Zafferano anziché rileggere Sputiamo su Hegel , testo fondamentale
di Carla Lonzi sul femminismo combattivo e
colto.
La ribellione delle
donne ha attraversato i secoli, alternativamente ha vinto e ha perso,
e negli anni ‘70 del ventesimo secolo è esplosa, e i padri avevano
smesso da poco di chiudere in casa, pestare, ammazzare, le figlie
colpevoli di minigonna. C’erano favolose novità, a parte gli
zoccoli e le gonne da zingara: a Milano si andava al Piccolo Teatro
ad ascoltare Betty Friedan, quella della Mistica della femminilità
che aveva smontato la noiosissima vita delle americane bon ton, in
casa tutto il giorno a cotonarsi e ad attendere il ritorno del marito
dal lavoro per offrirgli l’aperitivo, come a noi che ciabattavamo
in cucina era possibile invidiare solo al cinema. La Friedan era una
signora brutta e leggermente soporifera (poi venne Germaine Greer,
bella e seducente), peccato che, pur ormai votate al femminismo,
bisognava correre a casa a far da mangiare. Un marito che avesse
trovato la tavola non apparecchiata era una bestemmia, lui sarebbe
rimasto di sale, lei si sarebbe vergognata del terribile misfatto.
Anche adesso veramente, e senza vergognarsi, la tavola può restare
sgombra, a meno che sia lui a pensarci, e di solito in questo caso si
mangia meglio.
Il femminismo del
secolo scorso era capitato in un momento politico fortunato, in cui
anche i giovani maschi ansiosi di rivoluzione volevano fare
autocoscienza e se mai il loro difetto era che si rifiutavano di
liberare le ragazze, sia pure su loro insistente richiesta, della
ingombrante e impolitica verginità. La verità è che le donne si
sono liberate di talmente tante limitazioni che ormai non se ne
rendono più conto: per esempio non vanno più in galera se fanno le
corna al marito, il marito non è assolto se ammazza la moglie colta
in flagrante, non si viene più licenziate se ci si sposa, né
sposandosi la dote e gli eventuali guadagni non sono esclusiva
proprietà del marito, come i figli, l’interruzione di gravidanza è
legale e non si muore più di scannamento clandestino: si può andare
all’università e fare il magistrato, anche il generale, tutto
tranne il prete, figuriamoci il Papa, ma pazienza. Il marito non è
più un padrone e non gli si deve ubbidienza, poi non è detto (vedi
posta del cuore) che non sia un despota (anche lei però) nel qual
caso si può sempre andarsene. Era tanto grama la condizione delle
donne, anche italiane, in passato, che ormai sembra di aver ottenuto
se non tutto, quasi tutto: eppure c’è ancora molto da fare, basta
pensarci un momento, femminismo o no. Le leggi volute anche dagli
uomini, per lo meno da quelli ansiosi di giustizia, hanno cambiato la
vita femminile. E gli uomini, compresi quelli ansiosi di giustizia, a
parte le leggi e la politica, hanno davvero imparato a considerare le
donne in modo paritario, persone autonome e libere? Certo, ma allora
perché talvolta, anzi spesso, certo per sbaglio, si ritrovano in
preda a un inarrestabile sessismo, tipo il giovane grillino che ha
accusato una collega di aver fatto strada coi pompini? Perché capita
che una mano maschile sfiori il fianco della collega, (ai miei tempi
in tram era immancabile la cosiddetta “mano morta” che si subiva
in silenzio per “non far brutta figura”) o che in strada uomini
attempati e dignitosi mormorino sconcezze alla ragazza che gli passa
accanto? In ufficio anche la manager può essere presa per la
fattorina (vedi per esempio il film Nel centro del mirino in cui il
poliziotto Eastwood chiede il caffè alla collega poliziotta
credendola un’inserviente): se una si merita un complimento
professionale la paragonano per maggior bravura a una collega, mai a
un collega.
Ce ne è centinaia di
queste storie quotidiane che fanno imbestialire le donne, che adesso
le raccontano nel blog “Everyday sexism projet” anche italiano, o
nel “Women’s blog” del Guardian raccolte per esempio sotto il
titolo “10 scenari sessisti che le donne devono affrontare sul
lavoro”, tipo se una risponde con una certa forza può sentirsi
dire “Hai le tue cose per essere così astiosa?”. Certi
atteggiamenti innocui ma molto fastidiosi non sono molto cambiati:
negli anni ‘60, unica donna al Giorno, osai, in un gruppetto di
colleghi, fare il nome di un regista che in quel momento nessuno di
loro ricordava e fui subito tacitata, “Non fare la saccente!”.
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