Un libro che riesce a
dare una prospettiva storica, radicarsi nel presente ed evitare
rigidità ideologica e nostalgia del passato.
Quello curato da Ilaria
Bussoni e Raffaella Perna è un libro importante, e per diverse
ragioni. Tanto per cominciare, è curato da due giovani studiose che
hanno raccolto 16 contributi firmati da altrettante autrici
appartenenti a generazioni diverse; pochi i nomi di ‘provata fama’.
Anche se per la maggior
parte si tratta di interventi brevi, ve ne sono alcuni assai
consistenti; tra questi ultimi si distingue quello con cui si apre il
libro di Laura Corradi, tentativo ben riuscito di ricostruire le
origini del gesto triangolare con le quattro dita: viene ricordato un
convegno a Parigi agli inizi degli anni ‘70, in cui Giovanna Pala,
del collettivo Pompeo Magno di Roma, risponde al provocatorio pugno
chiuso di un uomo unendo i pollici e gli indici nel gesto famoso,
accolta da un’ovazione entusiasta delle donne lì presenti,
riprodotta in un numero dalla rivista “Le torchon brule” e in
Italia sulla prima pagina de “L’Espresso” formato lenzuolo.
Altrettanto
interessanti i contributi delle due curatrici. Il primo, di Ilaria
Bussoni, è dedicato a indagare il valore politico-simbolico del
gesto con un titolo assai efficace - “E con un gesto le donne si
inventarono il sesso”. In esso, a partire dal famoso articolo di
Carla Lonzi su donna clitoridea e vaginale, si afferma: “ciò che
Lonzi fa è propriamente dare un nome a questo sesso non conteggiato
dal precedente regime della visibilità, della dicibilità,
anatomica”(p.59). Il saggio di Raffaella Perna (“Politiche del
corpo”) si muove con disinvoltura tra artiste attive in un contesto
internazionale. Perna ripercorre con ottima capacità di sintesi e
buona conoscenza di protagoniste e questioni teoriche in gioco, i
complessi meandri di un dibattito divenuto nel tempo assai complesso,
tenendosi a distanza assai equilibrata rispetto a movimenti e artiste
che negli anni ’70-‘80 assumevano posizioni dogmatiche e di
radicalità conflittuale. Uno scambio tra femministe di età e
provenienze diverse, riunite a Bologna tra il 2013 e il 2014 nel
Collettiva XXX, serve ad arricchire il testo scritto di un effetto
orale; indispensabile accompagnamento trattandosi di un lavoro su
gesti e sessualità nello spazio pubblico.
Il libro soddisfa a
pieni voti quello che, mi sembra, costituisce ormai un complesso di
requisiti ineliminabili di produzione critica femminista di buona
qualità: una equilibrata amalgama e combinazione tra obiettivi
politici deprivata di toni ideologici; rivendicazione senza nostalgie
di forti legami con la tradizione degli anni ’70; conoscenza
approfondita – non infarinatura giornalistica, urgenza militante, o
rivestimento accademico - delle principali questioni di natura
teorica che attraversano le politiche e i saperi specialistici.
L’insieme di competenze scientifiche ad alto livello - qualcosa che
da tempo le generazioni più giovani formatesi nel mondo anglofono o
a Utrecht hanno imparato a maneggiare stando all’estero –
comincia finalmente a riversarsi nella produzione in lingua italiana,
per decenni mortificata dalla presenza sporadica, per decenni poco
visibile e penalizzante degli studi di genere nel nostro paese.
Accanto alle ricostruzioni autobiografiche, attraverso interviste e
memorie scritte, si scava nei fondi e archivi poco conosciuti di
artiste e protagoniste spesso note soltanto a cerchie ristrette di
amiche/ci e galleriste/i, che dalle ricerche di Marija Gimbutas sulla
Grande Madre al Dinner Party ideato da Judy Chicago, giù giù fino
ai monologhi di Eve Ensler e all’attivismo delle Femen hanno
contribuito a elaborare e diffondere le infinite varianti intorno al
tema ‘vaginale’.
Il libro – ed è uno dei suoi pregi – solleva molte
curiosità e non impone prospettive a senso unico. In primo luogo, ha
il merito di cominciare a esplorare con genuino desiderio di indagare
in profondità il periodo delle origini del femminismo, dimostrando
quanto poco lavoro di ricerca al riguardo sia stato fatto in questi
anni. Pur contando con magnifiche biblioteche specializzate (a
Bologna), con preziosi depositi di fondi archivistici aperti al
pubblico (la Fondazione Badaracco a Milano, il Centro Internazionale
a Roma, tra altri), gli studi sulle origini si contano purtroppo
sulle dita di una mano, e sfigurano – tenuti da parte gli
irraggiungibili risultati raggiunti negli Stati Uniti e nel resto del
mondo anglofono negli ultimi cinquant’anni – anche a un semplice
confronto con quanto è stato fatto e continua a farsi in Francia, in
Spagna, in Olanda, e in molti paesi extra-occidentali. In secondo
luogo, invita a fornire ulteriori indagini su contesti extra-romani.
Il sud era assai ricco di gruppi di artiste, e così Milano e Torino;
cerchiamo di studiare di più questi margini niente affatto
marginali.
Com’è giusto che
sia, in questa raccolta la parte del leone, anche se sarebbe un
errore considerare quest’unica angolatura come quella fondamentale,
la fanno le donne impegnate nelle arti visive (critiche, pittrici,
scultrici, registe, fotografe, attrici, performers). Centrale è il
ruolo svolto dal gruppo di Rivolta femminile, dove militava Carla
Accardi, e da Carla Lonzi. Di quest’ultima, in seguito ai più
recenti studi sugli anni della formazione e quelli in cui componeva
Autoritratto (1969) – le interviste con 9 artisti famosi – si
ricostruiscono le vicende che segnarono una svolta radicale nel modo
di considerare il lavoro della critica d’arte, e l’abbandono
definitivo di Lonzi dalla professione per dedicarsi al femminismo:
“Questo libro – scriveva Lonzi in Autoritratto – non intende
proporre un feticismo dell’artista, ma richiamarlo in un altro
rapporto con la società, negando il ruolo, e perciò il potere, del
critico in quanto controllo repressivo sull’arte e gli artisti …”.
Arricchita di materiale inedito, la vicenda viene ben ricostruita nel
contributo di Vanessa Martini.
Tutto intorno c’era
un pullulare di altre iniziative e di molte artiste che si muovevano
con grande autonomia, attivissime all’epoca e anche dopo:
non-italiane che lavoravano in Italia e italiane trasferite
all’estero, insieme a tante intelligenti trait d’union tra mondi
solo geograficamente lontani (Suzanne Santoro, Nikki de Saint Phalle,
Ketty La Rocca, Francesca Woodman, Mirella Bentivoglio, Anne-Marie
Souzeau Boetti, e molte altre). Questo libro contribuisce a farle
uscire dalle stanze riservate alle poche adepte/i al mestiere e a
rinnovare l’interesse per le loro opere.
Ampiamente illustrato
con bellissime immagini, in gran parte dovute ad artiste, registe e
fotografe che negli anni ’70 si trovavano soprattutto a Roma -
Paola Agosti, Agnese De Donato, Luisa Di Gaetano – dispiace dover
lamentare l’assenza di una pagina di semplici dati biografici delle
autrici, come anche di una bibliografia e di un indice dei nomi, che
ci auguriamo siano aggiunti in una prossima edizione.
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