Il
primo ministro norvegese racconta come le donne siano coinvolte a
tutti i livelli della cosa pubblica e per i cittadini non faccia
differenza votare per candidati dei due sessi, una conquista che
risale al 1981 con la prima premier
La
Norvegia è un Paese per donne, si sa. Ma che addirittura, sul fronte
della rappresentanza nella politica, non si ponga oggi «il terna
uomo/donna perché qui la cosa non fa differenza, la gente è
abituata», beh, alle nostre latitudini colpisce sempre: anche perché
lo dice la voce autorevole del primo ministro Erna Solberg, 53 anni,
madre di due figli e una vita dedicata al Partito conservatore. «Sono
il secondo premier donna, dopo il primo ne11981 (Gro Harlem
Brundtland, ndr).
Sin
da allora si è agito e sono state poste le basi per creare lo spazio
per altre colleghe. Ne abbiamo molte coinvolte a livello locale e
regionale. Nel Consiglio dei ministri il 50% dei componenti è
donna», racconta a Troms0, nel Nord del Paese, a margine di «Arctic
Frontiers», un convegno con i maggiori attori economici, politici e
ambientali che ruotano attorno all'area cruciale dell'Artico.
«C'è
ancora disuguaglianza prosegue negli affari: sono poche le donne
leader, quelle che creano la loro impresa, ma se si guarda al settore
pubblico, alla vita sociale, alle politiche del mercato del lavoro e
alle negoziazioni sindacali che lo regolano, sono gestiti dalle
donne. Ci sono molte donne in gioco, oggi in Norvegia».
Probabilmente c'è un valore aggiunto dato dal gender nell'esercizio
della politica, che negli anni ha portato i suoi frutti. «Abbiamo
delle priorità diverse dagli uomini, viviamo la maternità, ci
occupiamo della crescita dei figli. Certamente è cambiata l'agenda
politica rispetto a 20, 25 anni fa. Gli asili sono diventati
importanti nei programmi di tutti i partiti da quando sono arrivate
le donne al potere, meno lo è la maternità. Il desiderio di libertà
delle donne, oggi, è più forte, con un effetto dirompente sulla
famiglia; c'è un nuovo dibattito. Ma ovviamente, il fatto che io sia
madre ha un'influenza su come interpreto il mio ruolo».
In
Norvegia il 40% delle donne preferisce lavorare part time, «e questo
ha una ricaduta sulla carriera, oltre che sulla remunerazione. A
volte lo decidono volontariamente, altre volte no, perché entrano in
settori dove è difficile ottenere un contratto a tempo pieno. Va
anche detto che nel privato, ad esempio, un ingegnere uomo riesce a
negoziare uno stipendio più alto. Ciononostante, secondo le
statistiche internazionali siamo una delle società più eque, ci
superano soltanto l'Islanda e la Svezia».
Anche
da un punto di vista sociale, Solberg descrive un Paese in cui «le
politiche di integrazione sono efficaci», benché proprio lei sia
stata minacciata di morte nel 2010 dal mullah Krekar, un curdo
iracheno arrivato a Oslo nel '91 come rifugiato, rivelatosi poi un
estremista e inserito nella lista dei terroristi dalle Nazioni Unite
(Solberg ne aveva chiesto, da ministro dell'Immigrazione,
l'espulsione). Il primo ministro racconta di «molte ragazze con un
background di minoranza etnica che frequentano l'università, più
delle stesse norvegesi. Grazie al nostro basso livello di
disoccupazione e alla nostra politica per la casa non ci sono ghetti,
un problema per altri Paesi. Gli immigrati hanno un alloggio in
affitto, intanto risparmiano per comprarsi una casa. Certo, c'è chi
è andato in Siria e in Iraq a combattere per l'Isis. Rimane il fatto
che il più grosso attacco terroristico non è arrivato da chi
appartiene a una minoranza ma da un giovane norvegese dell'estrema
destra che nel 2011 ha ucciso 77 persone (il doppio attentato di
Anders Breivik a Oslo e all'isola di Utoya, ndr). Dobbiamo parlare
dei nostri valori e fare in modo che la gente si renda conto che è
importante lottare per la loro difesa». Difficile dire se e quanto
c'entri la crisi economica con questi episodi, anche perché, tiene a
sottolineare il premier, la Norvegia «è stato il Paese meno colpito
dalla tempesta finanziaria del 2008 2010, per via del petrolio. Ora
che l'attività petrolifera è ridotta e il prezzo del greggio sta
scendendo un bel po', dobbiamo correre ai ripari. Non c'è un effetto
diretto sul budget perché abbiamo un grosso surplus grazie al nostro
fondo sovrano, un cuscino anti crisi. Così abbiamo le risorse per
mettere in atto i cambiamenti necessari, abbiamo meno problemi degli
altri Paesi, ma dobbiamo pensare a un nuovo corso, nuovi lavori e
innovazione. Se si guarda al quadro della Norvegia, il livello di
disoccupazione è del 3,4%, ma è l'ora di un aggiustamento».
Siamo
nel cuore dell'Artico, proprio nei giorni in cui si confrontano
esponenti delle principali majore c'è chi, come Nina Jensen, leader
del wwf, spinge per un contenimento delle operazioni petrolifere,
giudicate «costose, rischiose e neanche del tutto vantaggiose».
«C'è stato un alto livello di investimenti nel gas e nel petrolio
negli anni scorsi ricorda Solberg e questo significa che andremo
avanti per i prossimi 20, 30 anni, apriremo nuove aree a Nord, ma
l'impatto non sarà forte come in passato. Abbiamo bisogno di
investire per continuare a crescere, abbiamo la possibilità di farlo
in modo più lento rispetto agli altri Stati europei che sono colpiti
dalla crisi e hanno una forte disoccupazione. Penso al potenziamento
della pesca, di settori come alluminio e acciaio, dei componenti
delle auto, alla green econorny».
Prima
di salutarla, uno sguardo all'Italia, e una curiosità: ha mai
conosciuto una collega italiana? «No, non una donna. Ho incontrato
il vostro Presidente a Roma, a giugno, con il primo ministro. Ha
un'ottima prospettiva dei processi economici, ha una visione
storica». Tra quattro giorni comincia il percorso di voto per il
nuovo inquilino del Quirinale, e l'auspicio arriva spontaneo:
«Sarebbe bello vedere una donna capo dello Stato, in Italia».
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