venerdì 30 gennaio 2015

A COLLOQUIO CON ERNA SOLBERG «Qui la politica non ha genere» di Eliana Di Caro

Il primo ministro norvegese racconta come le donne siano coinvolte a tutti i livelli della cosa pubblica e per i cittadini non faccia differenza votare per candidati dei due sessi, una conquista che risale al 1981 con la prima premier
La Norvegia è un Paese per donne, si sa. Ma che addirittura, sul fronte della rappresentanza nella politica, non si ponga oggi «il terna uomo/donna perché qui la cosa non fa differenza, la gente è abituata», beh, alle nostre latitudini colpisce sempre: anche perché lo dice la voce autorevole del primo ministro Erna Solberg, 53 anni, madre di due figli e una vita dedicata al Partito conservatore. «Sono il secondo premier donna, dopo il primo ne11981 (Gro Harlem Brundtland, ndr).
Sin da allora si è agito e sono state poste le basi per creare lo spazio per altre colleghe. Ne abbiamo molte coinvolte a livello locale e regionale. Nel Consiglio dei ministri il 50% dei componenti è donna», racconta a Troms0, nel Nord del Paese, a margine di «Arctic Frontiers», un convegno con i maggiori attori economici, politici e ambientali che ruotano attorno all'area cruciale dell'Artico.
«C'è ancora disuguaglianza prosegue negli affari: sono poche le donne leader, quelle che creano la loro impresa, ma se si guarda al settore pubblico, alla vita sociale, alle politiche del mercato del lavoro e alle negoziazioni sindacali che lo regolano, sono gestiti dalle donne. Ci sono molte donne in gioco, oggi in Norvegia». Probabilmente c'è un valore aggiunto dato dal gender nell'esercizio della politica, che negli anni ha portato i suoi frutti. «Abbiamo delle priorità diverse dagli uomini, viviamo la maternità, ci occupiamo della crescita dei figli. Certamente è cambiata l'agenda politica rispetto a 20, 25 anni fa. Gli asili sono diventati importanti nei programmi di tutti i partiti da quando sono arrivate le donne al potere, meno lo è la maternità. Il desiderio di libertà delle donne, oggi, è più forte, con un effetto dirompente sulla famiglia; c'è un nuovo dibattito. Ma ovviamente, il fatto che io sia madre ha un'influenza su come interpreto il mio ruolo».
In Norvegia il 40% delle donne preferisce lavorare part time, «e questo ha una ricaduta sulla carriera, oltre che sulla remunerazione. A volte lo decidono volontariamente, altre volte no, perché entrano in settori dove è difficile ottenere un contratto a tempo pieno. Va anche detto che nel privato, ad esempio, un ingegnere uomo riesce a negoziare uno stipendio più alto. Ciononostante, secondo le statistiche internazionali siamo una delle società più eque, ci superano soltanto l'Islanda e la Svezia».
Anche da un punto di vista sociale, Solberg descrive un Paese in cui «le politiche di integrazione sono efficaci», benché proprio lei sia stata minacciata di morte nel 2010 dal mullah Krekar, un curdo iracheno arrivato a Oslo nel '91 come rifugiato, rivelatosi poi un estremista e inserito nella lista dei terroristi dalle Nazioni Unite (Solberg ne aveva chiesto, da ministro dell'Immigrazione, l'espulsione). Il primo ministro racconta di «molte ragazze con un background di minoranza etnica che frequentano l'università, più delle stesse norvegesi. Grazie al nostro basso livello di disoccupazione e alla nostra politica per la casa non ci sono ghetti, un problema per altri Paesi. Gli immigrati hanno un alloggio in affitto, intanto risparmiano per comprarsi una casa. Certo, c'è chi è andato in Siria e in Iraq a combattere per l'Isis. Rimane il fatto che il più grosso attacco terroristico non è arrivato da chi appartiene a una minoranza ma da un giovane norvegese dell'estrema destra che nel 2011 ha ucciso 77 persone (il doppio attentato di Anders Breivik a Oslo e all'isola di Utoya, ndr). Dobbiamo parlare dei nostri valori e fare in modo che la gente si renda conto che è importante lottare per la loro difesa». Difficile dire se e quanto c'entri la crisi economica con questi episodi, anche perché, tiene a sottolineare il premier, la Norvegia «è stato il Paese meno colpito dalla tempesta finanziaria del 2008 2010, per via del petrolio. Ora che l'attività petrolifera è ridotta e il prezzo del greggio sta scendendo un bel po', dobbiamo correre ai ripari. Non c'è un effetto diretto sul budget perché abbiamo un grosso surplus grazie al nostro fondo sovrano, un cuscino anti crisi. Così abbiamo le risorse per mettere in atto i cambiamenti necessari, abbiamo meno problemi degli altri Paesi, ma dobbiamo pensare a un nuovo corso, nuovi lavori e innovazione. Se si guarda al quadro della Norvegia, il livello di disoccupazione è del 3,4%, ma è l'ora di un aggiustamento».
Siamo nel cuore dell'Artico, proprio nei giorni in cui si confrontano esponenti delle principali majore c'è chi, come Nina Jensen, leader del wwf, spinge per un contenimento delle operazioni petrolifere, giudicate «costose, rischiose e neanche del tutto vantaggiose». «C'è stato un alto livello di investimenti nel gas e nel petrolio negli anni scorsi ricorda Solberg e questo significa che andremo avanti per i prossimi 20, 30 anni, apriremo nuove aree a Nord, ma l'impatto non sarà forte come in passato. Abbiamo bisogno di investire per continuare a crescere, abbiamo la possibilità di farlo in modo più lento rispetto agli altri Stati europei che sono colpiti dalla crisi e hanno una forte disoccupazione. Penso al potenziamento della pesca, di settori come alluminio e acciaio, dei componenti delle auto, alla green econorny».

Prima di salutarla, uno sguardo all'Italia, e una curiosità: ha mai conosciuto una collega italiana? «No, non una donna. Ho incontrato il vostro Presidente a Roma, a giugno, con il primo ministro. Ha un'ottima prospettiva dei processi economici, ha una visione storica». Tra quattro giorni comincia il percorso di voto per il nuovo inquilino del Quirinale, e l'auspicio arriva spontaneo: «Sarebbe bello vedere una donna capo dello Stato, in Italia».

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