lunedì 12 gennaio 2015

Nigeria, ma quali bimbe-bomba? di Manuela Campitelli

Prendi una bambina, anzi tre.
Prendile giovani, 10 anni appena e preparale in un giorno di festa.
Vestile di tutto punto e poi imbottiscile di esplosivo e mandale a morire in un mercato affollato di gente.
 Questo è accaduto il 10 e l’11 gennaio in Nigeria, dove tre bambine sono state fatte esplodere in mezzo alla folla. 
“Tre bambine sono state fatte esplodere”, ha un significato ben diverso da “tre bimbe-bomba si sono fatte esplodere”
Sono impronte linguistiche che spostano l’asse dall’essere carnefice all’essere vittima, differenze narrative che pesano come macigni nel raccontare un fatto, perché approfondiscono la notizia andando oltre l’episodio in sé.
Così come è stata tratta la notizia delle bambine fatte esplodere in Nigeria, da parte di molti giornali e telegiornali, uccide quelle bambine due volte. Scrivere di “attentatrici” e di “protagoniste” che si sono fatte esplodere causando la morte di decine di civili, racconta solo una parte di quella che è accaduto e dimentica dell’orrore personale di tre vittime, di fronte al dramma collettivo di un’intera comunità.
L’accostamento bimbe-bomba è a dir poco una stonatura, un ossimoro impietoso, un’invenzione lessicale giornalistica superficiale che dimentica cosa dovrebbe significare avere 10 anni e cosa significhi averli in un paese in conflitto. Avere 10 anni dovrebbe significa andare a scuola, giocare e gioire. Averli in paese in guerra, magari una guerra dimenticata, significa anche poter crescere con l’idea che morire carica di esplosivo in un giorno di festa sia l’unica strada possibile. Non perché l’hai scelto, ma perché te l’hanno fatto credere. Quelle tre bambine sono state uccise, hanno perso la vita in un attentato kamikaze che prima ancora del loro corpo ha violato la loro vita, la loro capacità di distinguere il bene dal male, la loro possibilità di scegliere se vivere o morire. Che le abbiamo obbligate o lo abbiano fatto consensualmente il significato non cambia. Perché il consenso non presuppone la consapevolezza.
A 10 anni non puoi aver scelto di farti esplodere carica di esplosivo. A 10 anni il solo fatto di essere andata in giro carica di esplosivo, ti rende una vittima e non un’ attentatrice.
A tutte loro che non hanno voce, e se per questo neanche un nome, forse la voce dovremmo darla noi.
“Ho 10 anni e se mi faccio esplodere non è una mia scelta. Ho 10 anni e non sono una bimba bomba, sono una bimba e basta”.


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