Prendi una bambina,
anzi tre.
Prendile giovani, 10 anni appena e preparale in un giorno
di festa.
Vestile di tutto punto e poi imbottiscile di esplosivo e
mandale a morire in un mercato affollato di gente.
Questo è
accaduto il 10 e l’11 gennaio in Nigeria, dove tre bambine sono
state fatte esplodere in mezzo alla folla.
“Tre bambine sono state
fatte esplodere”, ha un significato ben diverso da “tre
bimbe-bomba si sono fatte esplodere”
Sono impronte linguistiche
che spostano l’asse dall’essere carnefice all’essere vittima,
differenze narrative che pesano come macigni nel raccontare un fatto,
perché approfondiscono la notizia andando oltre l’episodio in sé.
Così come è stata
tratta la notizia delle bambine fatte esplodere in Nigeria, da parte
di molti giornali e telegiornali, uccide quelle bambine due volte.
Scrivere di “attentatrici” e di “protagoniste” che si sono
fatte esplodere causando la morte di decine di civili, racconta solo
una parte di quella che è accaduto e dimentica dell’orrore
personale di tre vittime, di fronte al dramma collettivo di un’intera
comunità.
L’accostamento
bimbe-bomba è a dir poco una stonatura, un ossimoro impietoso,
un’invenzione lessicale giornalistica superficiale che dimentica
cosa dovrebbe significare avere 10 anni e cosa significhi averli in
un paese in conflitto. Avere 10 anni dovrebbe significa andare a
scuola, giocare e gioire. Averli in paese in guerra, magari una
guerra dimenticata, significa anche poter crescere con l’idea che
morire carica di esplosivo in un giorno di festa sia l’unica strada
possibile. Non perché l’hai scelto, ma perché te l’hanno fatto
credere. Quelle tre bambine sono state uccise, hanno perso la vita in
un attentato kamikaze che prima ancora del loro corpo ha violato la
loro vita, la loro capacità di distinguere il bene dal male, la loro
possibilità di scegliere se vivere o morire. Che le abbiamo
obbligate o lo abbiano fatto consensualmente il significato non
cambia. Perché il consenso non presuppone la consapevolezza.
A 10 anni non puoi
aver scelto di farti esplodere carica di esplosivo. A 10 anni il solo
fatto di essere andata in giro carica di esplosivo, ti rende una
vittima e non un’ attentatrice.
A tutte loro che non
hanno voce, e se per questo neanche un nome, forse la voce dovremmo
darla noi.
“Ho 10 anni e se mi faccio esplodere non è una mia
scelta. Ho 10 anni e non sono una bimba bomba, sono una bimba e
basta”.
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